Don Pezzini parla di fede e omosessualità perché ‘Dio ama tutte le persone’
Intervista di Susanna Peraldo tratta dal bisettimanale Il Biellese del 1 dicembre 2009
Cattolici, credenti e omosessuali. A questo “mondo” parla don Domenico Pezzini, un sacerdote conosciuto anche nel Biellese. A lui si deve il primo gruppo di discussione e confronto a Milano su (fede e) omosessualità.
Don Pezzini, per qualcuno l’omosessualità è malattia, per altri vizio, Ma allora che cos’è?
Né l’uno né l’altra. Lo si dovrebbe sapere già da molto tempo senza neanche dover ricorrere a chissà quali argomentazioni scientifiche o cosiddette tali. Basterebbe conoscere degli/delle omosessuali nella ordinarietà della loro vita e delle loro relazioni per rendersi conto che si tratta di persone né più né meno normali di tante altre.
Il che cos’è dipende da che idea uno si fa della sessualità. Non essendo negli umani un puro meccanismo anatomico, ma qualcosa che prende senso dal suo intrecciarsi con l’affettività e il mondo delle relazioni, l’omosessualità può essere intesa come una “modo di relazionarsi” che si dirige affettivamente verso una persona del proprio sesso, coinvolgendo in tal modo l’immaginario e il mondo delle emozioni, o, se si vuole, tutta la parte più profonda di una persona.
Lei da anni ha dato vita a un gruppo ed a varie iniziative. Ce ne parla?
In realtà sono due i gruppi cui ho dato vita: uno, il Guado, iniziato nel 1980, e un secondo, la Fonte, che è partito nel 1986 dopo che, per divergenze di impostazione, avevo lasciato il Guado, che, come la Fonte, continua tuttora la sua attività con una propria metodologia.
Il metodo della Fonte si basa essenzialmente sull’incontro e sul confronto tra le persone. Scegliamo un tema all’anno: quest’anno sono stati i comandamenti, da rileggere in chiave attuale; l’anno scorso è stato come guarire dal risentimento, uno stato d’animo che per ragioni più che comprensibili è facile rintracciare negli omosessuali che non si sono ancora riconciliati con se stessi.
Trattandosi di un gruppo di omosessuali credenti, con i più svariati livelli di credenza, si alternano temi di fede con altri più di carattere psicologico. Ma ciò che conta di più non è arrivare a conclusioni obbligatoriamente condivise, ma di permettere alle persone di conoscersi, essendo il gruppo stesso inteso come “scuola di relazione”, e in quanto tale esperienza di chiesa, che diventa esplicita nell’abitudine di pregare il Vespro, oltre che in modo più evidente nei ritiri-convivenza che facciamo tre volte all’anno, dove i momenti di preghiera sono i più importanti.
Pubblichiamo anche quattro volte all’anno un giornalino, Acqua di fonte, che è anche disponibile online sul sito: www.gruppolafonte.it insieme a documenti e notizie sull’attività del gruppo. Altre iniziative non ce ne sono. Mi capita di fare qualche intervento quando sono invitato, ma non faccio nessuna iniziativa che si potrebbe dire “di propaganda”.
Ho pubblicato due libri, oltre e vari articoli, ma devo dire che con mia grande soddisfazione il gruppo ha raggiunto una sua maturità, grazie soprattutto al lavoro di alcuni, e che ha dimostrato, in certe mie prolungate assenze, di camminare benissimo con lo proprie gambe.
Come è arrivato a questo “mondo”?
Abbastanza casualmente, rispondendo a una lettera di un ragazzo pubblicata su Rocca nel lontano 1979 che manifestava la sua sofferenza nel non poter tenero assieme la sua fede e la sua sessualità diversa, La motivazione che mi ha spinto a immaginare un gruppo di incontro fu soprattutto il fatto che ritengo intollorabile che una persona si senta esclusa dalla Chiesa, e ancora più dall’annuncio del Vangelo, per il fatto di essere omosessuale. Che cosa può dire un prete agli omosessuali?
Quello che dice a tutti gli altri. Che cioè l’annuncio riguarda un Dio che ama tutto le creature che ha voluto, che ogni persona trova in questo Dio la fondamentale vocazione ad amare e essere amata, secondo modalità che vanno scoperte alla luce della parola di Dio e interrogando il proprio desiderio. Ho intitolato il libro che ho scritto per i genitori che hanno un figlio/a omosessuale “Le mani del vasaio” per ricordare che di vasaio ce n’è uno solo, Dio, e i vasi li fa lui come vuole, e che a noi tocca scoprire e assecondare, in noi stessi e negli altri, il suo disegno, non certo imporre il nostro.
Ripeto, a scanso di equivoci, che con ciò non intendo dire che ogni capriccio viene da Dio o mi porta a Lui. Quello che ho in mente è l’omosessualità intesa come modo di relazionarsi che comporta affetto, impegno e responsabilità, e quindi anche la coppia omosessuale è un luogo dove chi ha questa identità può fare l’esperienza di un amore dato e ricevuto, e quindi, attraverso questo, raggiungere Dio,
Biella ha conosciuto, dal vivo, il Gay Pride. Che cosa pensa di questa manifestazione?
Pur essendo per temperamento piuttosto allergico a certe manifestazioni pubbliche, riconosco che l’iniziativa è servita negli anni a fare uscire molte persone dalla paura e da malsani sensi di vergogna. Temo che certe de rive, diciamo così ‘pittoresche”, non giovino però molto alla causa, alimentando nella gente l’idea che “tutti” i gay siano esibizionisti ed eccentrici.
Personalmente credo molto di più a un lavoro fatto sulla persona, in piccoli gruppi di scambio e di discussione. Purtroppo questo clima di pacatezza manca nella maggior parte dei dibattiti televisivi che non credo aiutino molto a capire. Peccato.
Si può essere “fieri” di essere gay?
Il termine inglese “pride” è stato rapidamente tradotto con “orgoglio”, ma questo rischia di creare malintesi, quasi che (è capitato!) per uscire da un senso di inferiorità sia necessario marcare una superiorità.
Non è così, e sarebbe bene che tutti, da una parte e dall’altra, abbandonassero definitivamente queste modo “competitive” di valutarsi. In effetti un qualsiasi dizionario di inglese mette solo al terzo posto il senso di “pride” come superiorità.
I due significati che lo precedono sono: i. essere contento di ciò che si è; 2. una ragionevole autostima. Se “fiero” vuol dire queste due cose va benissimo.
E sicuro che, anche dal punto di vista religioso, una persona che è cronicamente o patologicamente insoddisfatta di sé, o vive in uno stato di malessere indotto, o anche auto-indotto, perché si sente in qualche modo inferiore, non è in buono state e non può essere una situazione accettabile, e men che meno giustificata a base di vangelo.
Che cosa dice ai genitori che scoprono di avere un figlio omosessuale o una figlia lesbica?
Potrei rimandarli a leggere il mio libro Le mani del vasaio (Editrice Ancora, 2004) dove ho esposto in tre tappe un percorso scandito dai verbi accogliere, comprendere, aiutare. Si tratta di smontare certi pregiudizi per lo più di carattere emotivo, di rileggere con intelligenza la tradizione (Bibbia e magistero), che non è un blocco fisso e immutabile nei secoli, e di aiutare la persona ad accettarsi pacificamente e a apprendere come costruire delle relazioni buone e sensate.
Crede che possa esserci famiglia tra omosessuali?
Penso che al termine “famiglia” vada lasciato il senso che ha assunto nella tradizione, comprendendo due genitori di sesso diverso e dei figli nati da loro. E uno schema che oggi è sottoposto a molte più tensioni che in passato, un campo di lavoro pastorale che ha bisogno di molto sostegno più che della ripetizione un po’ noioso di cliché che rischiano di essere astratti e ideologici.
Quanto agli omosessuali preferisco parlare di “coppia”, dove naturalmente valgono tutti i meccanismo della vita di relazione: questo è quanto va educato e sostenuto. Può sembrare paradossale, ma conosco coppie gay che hanno fatto in certi casi da supporto e hanno potuto guarire coppie eterosessuali di loro amici che erano in crisi.
Omosessuali cattolici e omosessuali non credenti. Che differenza c’è, nel concreto?
Non saprei dire, Negli uni e negli altri c’è spesso un senso di risentimento nei confronti non tanto di Cristo quanto della Chiesa, e hanno più di una ragione.
Spesso la non credenza è in realtà il rifiuto di aderire a una Chiesa da cui si sentono rifiutati. Una volta superato questo stato d’animo, e ritrovata per così dire una fede adulta, chi crede e ha in Gesù un modello di amore, ha in teoria più risorse per vivere una relazione, che abbisogna anche di quella capacità di sopportazione e perdono che in ultima analisi trova una sua base solo nel vangelo.
Ma anche in questo le frontiere tra credenti e non sono spesso molto fluida, e vale sempre il detto di Ignazio di Antiochia, che è meglio essere cristiani senza dirlo che dirlo senza esserlo.
Come la Chiesa accoglie gli omosessuali?
Mah! Se ne sentono di tutti i colori, soprattutto in certi incontri al confessionale. Ho l’impressione che la riaffermazione senza sfumature di cosiddetti “principi” contribuisca a dare l’idea rigida di un giudizio inappellabile e alla fine negativo e senza scampo.
Due cose almeno potrebbero cambiare: l’uso di un linguaggio più sfumato e attento alla complessa realtà delle persone, e soprattutto il riconoscimento aperto e chiaro che esiste una “affettività” omosessuale, e che ciò che tanti gay cercano, come la maggior parte della gente, è una relazione in cui sentirsi amati e poter amare, così da ricevere e dare senso alla propria vita.
E in Italia?
Ho l’impressione che rispetto ad altri paesi, come quelli del nord Europa e del nord America, ci sia un atteggiamento generale che rivela più un impaccio che un desiderio di pastorale seria di accoglienza e sostegno.
Va detto che i movimenti militanti gay a volte riescono a complicare ancora di più le cose, in un contesto dove tutto viene così facilmente strumentalizzato e politicizzato. Ma qualcosa si muove.
Mi piace citare in proposito un’iniziativa della diocesi di Torino che ha prodotto un bel libretto di d. Valter Danna “Fede e omosessualità”, nato dalla collaborazione tra l’ufficio Pastorale della Famiglia e alcuni gruppi di gay credenti della città, E il segno che, se si vuole, un dialogo è possibile, per il bene di tutti.
Ma i gay vanno in paradiso?
Non sono San Pietro, ma non credo che all’ingresso si debba presentare un certificato di provata e riconosciuta eterosessualità, I requisiti di base rimangono quelli stabiliti da Gesù in Mt 25: chi in questa vita accoglie i “piccoli” e i “poveri” sarà accolto da Lui alla fine.