Don Ermis Segatti e il lungo viaggio verso l’accoglienza delle persone omosessuali e trans nella Chiesa Cattolica

Riflettere su cosa è stato fatto sinora e su cosa ancora deve essere fatto per la piena accoglienza delle persone omosessuali e transessuali all’interno della comunità dei credenti cattolici: questo era l’ambizioso obiettivo di un incontro organizzato, lo scorso 25 gennaio 2012, da Nuova Proposta.
Nuova Proposta è un’associazione di donne e uomini omosessuali attiva a Roma da oltre vent’anni, che si propone il duplice obiettivo, da un lato di offrire uno spazio accogliente dove le persone omosessuali e transessuali cristiane, che incontrino difficoltà nel coniugare serenamente la loro fede con il loro orientamento affettivo o la loro identità di genere, abbiano la possibilità di mettere in comune il loro vissuto, ritrovare la speranza e riconquistare un rapporto quotidiano con la figura di Dio Padre, dall’altro di mettersi a disposizione delle comunità cristiane per fornire supporto informativo e formativo su cosa significhi essere omosessuali e transessuali, su quali siano le principali difficoltà e disagi che queste persone incontrano nel loro cammino di vita.
In sintesi, l’obiettivo del lavoro di gruppi come Nuova Proposta è di riuscire a garantire ad ogni persona, inclusi omosessuali e transessuali, piena cittadinanza all’interno delle comunità cristiane, senza più dover costringere nessuno a nascondersi, a celare aspetti importanti di sé, dando a ciascuno la prospettiva di una vita piena e realizzata.
L’incontro ha avuto luogo nei locali della Chiesa Valdese di Piazza Cavour che da tempo ospita il gruppo, ed ha avuto come protagonista don Ermis Segatti, referente della diocesi di Torino per l’Università e la Cultura.
La presenza di don Ermis a Roma è stata fortemente voluta da Nuova Proposta all’interno del proprio programma di incontri sociali 2011/2012, centrato sul tema “La verità ci rende liberi, la libertà ci rende autentici – le persone omosessuali e transessuali cristiane in cammino tra verità, autenticità e dignità”; don Ermis, infatti, in virtù del suo essere un autorevole rappresentante del mondo cattolico, ha potuto fornire la sua vista da un osservatorio privilegiato su quanto dentro la gerarchia cattolica si sta muovendo in tema di fede e omosessualità.
Don Ermis ha iniziato il suo intervento partendo dal racconto di ciò che accadde a Torino qualche anno fa, quando alcuni gruppi di credenti omosessuali, in occasione dell’organizzazione del Gay Pride nazionale, che si sarebbe svolto a Torino nel 2009, chiesero ufficialmente all’arcidiocesi un confronto e l’apertura di un dialogo che portasse ad abbattere il forte pregiudizio di cui ancora oggi sono vittima le persone omosessuali e transessuali all’interno delle comunità cattoliche.
Il cardinal Poletto accolse l’invito e delegò don Valter Danna (ora vicario generale della diocesi di Torino) e lo stesso don Ermis alla gestione del tavolo di confronto con i credenti omosessuali.
I lavori proseguirono piuttosto alacremente nei mesi successivi, sotto gli occhi piuttosto stupiti di diverse parti della Chiesa. Era infatti una delle prime volte in cui il tema dell’orientamento affettivo trovava cittadinanza in uno spazio di dialogo tra gerarchia e fedeli omosessuali, seppur informalmente costituito.
Fino ad allora, infatti, i confronti erano si erano svolti in maniera ufficiosa, sotto l’embargo del silenzio. Anche a Roma, ad esempio, contatti con la diocesi erano avvenuti negli anni ’90, ma sempre a titolo personale, come nel caso del vescovo monsignor Riva che, prima della sua morte, incontrò alcune volte, in modalità riservata, il gruppo Nuova Proposta.
Don Ermis ci ha ricordato quanto la conoscenza da parte della gerarchia cattolica delle tematiche collegate all’orientamento affettivo fosse avvolta da profonde lacune e quanto queste lacune siano spesso ancora presenti oggi.
I primi passi del lavoro del tavolo di lavoro, quindi, furono dedicati ad un approfondimento proprio della conoscenza e, in un secondo momento alla definizione di proposte e suggerimenti che, infine, trovarono concretizzazione nella pubblicazione di un agile testo, Fede e omosessualità, edito dal Effatà nel 2009, che veniva presentato come “sussidio per l’accompagnamento pastorale delle persone omosessuali” e che, pur mantenendosi pienamente sul tracciato del Magistero Cattolico, dedicava, in maniera inedita, particolare attenzione a termini quali “rispetto” ed “accoglienza”, spesso dimenticati nel brusio mediatico sul tema del rapporto omosessualità e Chiesa.
Dopo i primi mesi di confronto assai proficui, ha proseguito don Ermis, il tavolo di confronto torinese fu purtroppo interrotto (anche se don Ermis ha utilizzato un termine teologicamente carico di speranza, parlando piuttosto di “sospensione”) e quindi rimangono ancora inevase moltissime questioni, moltissime domande non hanno trovato una risposta.
Negli ultimi mesi, nuovi capitoli di confronto tra fedeli omosessuali e le diocesi si sono aperti, senza una precisa regia unica e coordinata.
Molte le domande che a viva voce le persone omosessuali ancora oggi chiedono alla Chiesa: essere amati e non giudicati, poter avere piena cittadinanza dentro le comunità senza fingere (come spesso accade) di essere altro da quello che è la verità della propria esistenza, che finisca la visione dell’omosessualità come qualcosa da “curare” (vedi la crescente diffusione in ambiti cattolici fondamentalisti delle “teorie riparative” dell’omosessualità).
Ma la vera questione irrisolta, e che riguarderà il dibattito prossimo futuro su Fede e Omosessualità, concerne la dimensione affettiva delle persone omosessuali che, al momento, la posizione ufficiale della Chiesa relega alla inesorabile negazione.
Lo stesso libro partorito dal lavoro del tavolo torinese non prevede altra ipotesi per gli omosessuali che la castità, imposta e non desiderata.
Ai gruppi di omosessuali cristiani tocca, ha concluso don Ermis, il difficile compito di prendere in mano l’iniziativa e continuare a stimolare un dialogo costruttivo su un tema per il quale le resistenze sono, a livello pastorale, fortissime e radicatissime e spesso di ostacolo ad una reciproca comprensione; l’obiettivo a lungo termine resta quello di un programma pastorale che metta al centro prima la persona e poi la sua condizione di omosessuale e quindi la sua effettiva dimensione affettiva.
Solo a questo punto, ci è parso trapelare dalle parole di don Ermis, sarà possibile adempiere al mandato biblico di Genesi 2 19 in cui Dio ordina ad Adamo di “dare il nome a tutte le cose” e quindi anche all’amore omosessuale, quell’amore che, come diceva Oscar Wilde, non osa dire il suo nome.