Dopo gli attentati di Parigi. Abdellah Taïa: “Adesso, dove andiamo?”
Riflessioni di Abdellah Taïa* pubblicate sul quotidiano New York Times (Stati Uniti) il 18 novembre 2015, liberamente tradotte da Giacomo Tessaro
Venerdì scorso, dopo gli attentati terroristici di Parigi, scesi per strada. Ovviamente ero confuso e impaurito. Le cose terribili che erano successe le volevo vedere con i miei occhi, respirarle, camminarci in mezzo. Erano da poco passate le undici e le strade erano deserte, silenziose. Parigi non esisteva più. Parigi era caduta. Tornando a casa, sulle scale mi imbattei nella mia vicina ultrasessantenne, Monique. Ci baciammo più calorosamente del solito. “Questa è la fine! Adesso, dove andiamo a vivere?” mi disse.
“Adesso, dove andiamo a vivere?”: non riesco a togliermi questa domanda dalla testa. Sono arrivato a Parigi dal Marocco sedici anni fa: giovane, musulmano, gay. Cosa accadrà adesso alla mia città? Questi attacchi ci insegnano che non esistono più confini. Ciò che accade in Siria, in Iraq o in Afghanistan accade anche a Parigi.
La notizia arrivò da una delle mie sorelle, che abita in Marocco. La sua telefonata mi buttò giù dal letto alle 10:15: ”Parigi è in guerra. Guerra! Dove sei? Stai bene?”. Parigi? In guerra? Ridimensioniamo le cose. Attacchi terroristici, d’accordo, ma guerra no. La guerra è un’altra cosa, è lontana. Pensavo di essere più intelligente di mia sorella. Più tardi, vagando per le strade deserte, mi accorsi di avere torto. La guerra era arrivata a Parigi. Una guerra cominciata molto tempo fa. L’abbiamo cominciata altrove: in Iraq, in Mali, in Libia. L’abbiamo vista in TV. E ora eccola qui, uscita dai nostri schermi, che ci punta addosso il dito accusatore. Nessuno è innocente.
“Non uscire. Stai a casa: mi stai ascoltando? Ti prego, non uscire fuori per strada nei prossimi giorni” diceva mia sorella. “Mangia quello che hai a casa. Hai capito?” Il medesimo terrore che aveva agghiacciato me aveva afferrato anche mia sorella, a parecchie centinaia di chilometri di distanza, nella notte marocchina di Rabat. Dite quello che volete, non esistono più posti sicuri. Parigi è stata sul punto di affondare. Il terrore islamista non risparmierà più nessuno, né a Baghdad né a Londra. Non seguii il consiglio di mia sorella. Non potevo. Dovevo andare per le strade, per vedere con i miei occhi, per mostrare la mia solidarietà.
Mi sono sistemato a Parigi perché credo nei suoi valori: il razionalismo, l’umanesimo, l’universalismo. Parigi però ha perso, assieme ai suoi confini, anche alcuni valori. La trascuratezza in cui versa una parte della nostra gioventù (in particolare quella di origine maghrebina) è una realtà innegabile. Questa trascuratezza ha prodotto un ambiente che ha condotto alla radicalizzazione, a un gioioso nichilismo, e ora anche al massacro. Gli atteggiamenti razzisti, sempre più frequenti in certi politici e intellettuali, sono diventati pane quotidiano. La Francia ha risposto agli attacchi di venerdì con le seguenti parole, ripetute fino allo sfinimento: rafforzare la sicurezza, contrattacco, guerra. Ma non riusciamo a capire che questo è proprio ciò che desidera lo Stato Islamico?
L’esperienza dei cittadini del mondo arabo può servire di lezione per la Francia. I loro leader hanno resistito a lungo alle spinte verso la modernizzazione e l’autocritica. Sono più oppressivi che mai e fanno tutto il possibile perché i loro popoli non si battano per la libertà. Mentre camminavo per Parigi, ferita proprio come Beirut la notte appena prima, mi resi conto che i cittadini francesi avrebbero conosciuto l’intimità con ciò che gli abitanti di Kabul, Baghdad, Sanaa e altre città vivono da anni. È stato ferito il cuore stesso di ciò che hanno di più caro: la libertà. La libertà di uscire, di ballare, divertirsi, ascoltare musica, creare, stare allegri e, per un attimo almeno, essere innocenti.
Ho abbandonato il Marocco quando ero un giovane gay disperato. A Parigi ho trovato un luogo dove poter lottare per me stesso e per i miei sogni. Ma ora so che nessun luogo è del tutto sicuro e libero. I parigini inizieranno la battaglia per proteggere il loro modo di vivere, di questo sono convinto. Spero soltanto che questa battaglia inalberi i valori francesi di liberté e fraternité invece di essere impregnata di razzismo, isteria islamofoba e nuova guerra al terrore. Ma ho il profondo sospetto che la mia speranza non si avvererà.
Il giorno dopo l’attacco abbiamo appreso che un passaporto siriano è stato trovato vicino a uno dei terroristi suicidi che si sono fatti esplodere nei pressi dello Stade de France. Molto probabilmente era stato rubato o era falso, eppure è stato immediatamente usato come pretesto per rafforzare la sicurezza e chiudere i confini, sfruttando l’odio per i rifugiati che si sta diffondendo in tutta Europa.L’Europa sta diventando sempre più estrema. Ma ricordatevi: se si parla di estremismo, i terroristi islamisti partono con un enorme vantaggio. “Adesso, dove andiamo a vivere?” mi chiese Monique. Ancora non so come risponderle.
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* Abdellah Taïa è il primo scrittore marocchino ad aver dichiarato apertamente di essere omosessuale. Dopo avere studiato letteratura francese all’Università di Rabat, a Ginevra e a Parigi (Sorbona), dove ora vive, a cominciato a scrivere testi romanzeschi di ispirazione autobiografica..
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Testo originale: Is Any Place Safe?