Dov’è il vino? L’urgenza di avere una chiesa cattolica più inclusiva
Testo di padre Paul Morrissey, OSA*, pubblicato sul sito di New Ways Ministry (Stati Uniti) il 19 gennaio 2025. Liberamente tradotto dai volontari del Progetto Gionata.
Nel film Jesus of Nazareth (Gesù di Nazareth di Franco Zeffirelli, 1977), c’è una scena in cui Gesù danza gioiosamente con i suoi discepoli a una festa di nozze. Questa scena è sempre stata una delle mie immagini preferite. Nel Vangelo Gesù lo troviamo proprio a un matrimonio, insieme a sua madre.
Durante il matrimonio, Maria noterà che il vino è finito, un problema che potrebbe mettere in imbarazzo gli sposi. Allora si rivolge a Gesù dicendo: “Non hanno più vino.”
Lui risponde in modo un po’ brusco: “Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora.” È come se stesse dicendo: “Sto passando del tempo con i miei amici. Non disturbarmi.” Inoltre, si rivolge a lei chiamandola “donna”, come se fosse una persona qualunque nella folla.
Ma cosa significa “la mia ora”? Nel Vangelo di Giovanni, questa espressione indica il momento cruciale della passione di Gesù, quando offrirà la sua vita per la nostra salvezza. Al matrimonio di Cana, agli inizi della sua vita pubblica, Gesù sembra consapevole del destino che lo attende e, forse, cerca di ritardarne l’inizio per concedersi ancora un po’ di serenità con i suoi amici. Tuttavia, Maria con decisione dice ai servi: “Fate tutto quello che vi dirà.”
Possiamo essere sicuri che Maria sapesse bene cosa significava “mancare di qualcosa”? La sua esperienza personale – come quella di restare incinta senza essere sposata – le aveva sicuramente fatto provare il senso di vergogna, imbarazzo o pericolo legato al giudizio degli altri. Forse proprio questa sensibilità le ha permesso di comprendere l’importanza di ciò che mancava a quel banchetto e di segnalarlo a suo figlio.
Gesù, anche se inizialmente ritiene che “non sia il momento”, ascolta la compassione di sua madre e dà inizio alla sua vita pubblica. Questo gesto generoso può servire da esempio alla Chiesa mentre impara ad accogliere e amare le persone LGBTQ+.
Anche noi, a volte, possiamo sentirci come qualcosa di “non voluto”, inizialmente accolto con sorpresa e forse vergogna. Ma, nel tempo, possiamo arrivare a dire con fede: “Avvenga per me secondo la tua parola.”
Le letture bibliche sono ricche di immagini di matrimonio e rinascita. Dal libro di Isaia leggiamo: “Per amore di Sion non tacerò, per amore di Gerusalemme non mi concederò riposo.” E ancora: “Non sarai più chiamata ‘Abbandonata’… ma sarai chiamata ‘Mia delizia’.” Infine: “Come un giovane sposa una vergine, così il tuo Creatore ti sposerà.” Queste immagini nuziali parlano di Israele, ma si estendono anche a noi, la Chiesa, eredi spirituali di quel popolo.
Come persone LGBTQ+, possiamo ascoltare questo messaggio? Possiamo sentirci anche noi come la “sposa” di Dio, non più abbandonati, ma accolti come sua delizia? E come Chiesa, possiamo accettare che, se Dio può essere descritto come lo sposo del suo popolo, perché non vedere le relazioni omosessuali come segni dell’amore di Dio?
Il Salmo responsoriale ci invita: “Proclamate a tutti i popoli le meraviglie del Signore.” Sì, Dio ci ha accolti come sposa, individualmente e come comunità. Con gioia indescrivibile, come in una festa di nozze in cui il vino migliore scorre abbondante, entriamo nella tenda del suo amore.
San Paolo, nella seconda lettura, scrive ai Corinzi: “Vi sono diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito.” Questo messaggio sulla diversità celebra la ricchezza della Creazione. Non è forse proprio la consapevolezza della propria diversità che le persone LGBTQ+ portano come dono alla Chiesa? Dopo lotte e sofferenze, abbiamo scoperto l’amore del Creatore per la diversità. Non è questo un messaggio da proclamare, anche se spesso la Chiesa lo teme?
Se ci sentiamo “senza vino” – senza gioia o fiducia nel nostro amore “diverso” – possiamo credere che Gesù possa trasformare l’acqua della nostra quotidianità in vino, quel vino che porta gioia, festa e celebrazione? La Chiesa ha bisogno di questo spirito nuziale, di questa gioia che sgorga come vino pregiato per affrontare con speranza il cammino sinodale, come ci invita Papa Francesco.
*Padre Paul Morrissey è sacerdote agostiniano e pioniere della pastorale gay nella Chiesa cattolica statunitense. Autore di numerosi articoli e libri, il suo ultimo libro Why I Remain a Gay Catholic: A Spiritual-Sexual Journey sarà pubblicato da Paulist Press nel giugno 2025.
Testo originale: Has Our Church ‘Run Out of Wine’ for Loving Those Who Are Different?