«Due volte genitori» Madri e padri di fronte al coming out
Articolo di Delia Vaccarello tratto da “l’Unità” del 21 agosto 2013
«Noi genitori che sappiamo di avere dei figli omosessuali siamo fortunati. Ci sono quelli che non lo sanno e che non lo potranno mai sapere. Sono i genitori di quei ragazzi che credono di non poter dire mai chi sono davvero ai familiari. E qualcuno pagherà questo tormento interiore con un prezzo terribile»: sono parole profetiche. I genitori che rifiutano i figli, così come i figli che non parlano paralizzati dal terrore del rifiuto, finiscono col farsi molto male.
A pronunciare la «profezia», che diventa attuale ogni volta che un ragazzo o una ragazza omosessuale si suicidano, è uno dei padri che ha preso parte al progetto «Due volte genitori». Si tratta di adulti disposti a svelare le reazioni avute in seguito al coming out dei figli, sono i padri e le madri protagonisti del documentario di Claudio Cipelletti prodotto da Agedo (http://www.duevoltegenitori.com/).
Se per i figli la cosa più difficile è rivelarsi ai genitori, i genitori cosa vivono? «Continua a stupirci il carico di dolore che portano in associazione – raccontavFrancesca Marceca, presidente di Agedo Palermo – Quest’anno sono venute solo mamme. I papà sono rimasti nell’ombra. Le donne hanno raccontato la situazione con molta sofferenza, si sono fatte carico sia del coming out dei figli sia di contenere la reazione del marito». Molto pesanti le reazioni dei padri.
«Alcuni hanno spinto perché il figlio ricorresse alle terapie riparative, si sono rivolti a pseudomedici, hanno fatto viaggi in America». Con quali conseguenze? «I ragazzi sono stati massacrati da questa illusione: “se mi impegno faccio contento papà e mamma e guarisco”.
La negazione dei padri trova anche altre forme: “Invitano i figli a partire per motivi di studio, dicono: “adesso andrà via per l’Erasmus, poi si specializzerà in un altro paese”. Ritengono che il figlio vada allontanato per mettere le distanze tra sé e “la vergogna”, “sperano” che cambiare aria possa fargli bene».
Eppure le reazioni dei padri sembrano anacronistiche, scollate da una realtà che vede Crocetta e Vendola dichiaratamente gay alla testa di Sicilia e Puglia, o il Pride nazionale che a Palermo ha coinvolto migliaia di persone. Che peso hanno questi eventi per il padre di un ragazzo gay?
«Ciò che più importa è il modo in cui il tessuto delle relazioni più strette intende l’omosessualità. Se l’essere gay compare come devianza, peccato, malattia, qualcosa di risibile e di cui vergognarsi, a questo tessuto ci si aggrappa sempre di più e diventa una bolla impermeabile agli eventi pubblici».
È questo tessuto che occorre sfrangiare seminando dubbi e interrogativi, affrontando i conflitti sepolti sotto le false certezze. L’associazione diffonde materiale educativo, ma occorre essere più presenti, lavorare porta a porta.
«Abbiamo pochissimi sostegni, siamo lasciati soli, e io sono arrabbiata perché gli strumenti li abbiamo», aggiunge Marceca. Mancano i fondi e la consapevolezza della necessità di un cambiamento culturale.
«Organizziamo interventi nelle scuole rivolti a padri e madri, ma molti non vengono, temono che sia come confessare che il proprio figlio è gay». Dinanzi agli insuccessi, alla «bolla» che resta impermeabile, ci si chiede: «dove stiamo sbagliando?». Poi qualcosa accade: «Siamo fortunati quando viene una madre che dice: mio figlio sta male, aiutatemi. E fa da apripista».
La vergogna sociale resta fortissima
«Molti genitori sono venuti al pride, pochi dietro lo striscione di Agedo perché era troppo fotografato». È come se l’omosessualità non fosse raccontabile coralmente: «Vengono a dirci: “sai lo dico a mia sorella… l’ho detto a mio marito… Un racconto su fronti separati. Invece il coming out della famiglia deve vedere tutti in sincronia ma non è facile, ci sono tempi ed esigenze diverse».
Qualcosa è cambiato: «La violenza fisica è diminuita, vediamo meno botte e aggressioni in famiglia, quella psicologica resta alta». Il genere gioca un ruolo decisivo: «Le ragazze lesbiche scontano una forte ostilità materna. Sono considerate immature, confuse, traviate. Il loro amore è visto come “qualcosa che passerà”, una idea bislacca come un tatuaggio.
Mia figlia è confusa, ripeteva con insistenza una mamma, e la figlia invece era molto lucida. Con le ragazze lesbiche le mamme sono dure o disconfermanti. I padri più accoglienti». Stando così le cose, si può sempre emigrare: «Per il Pride si è rivolto a noi un ragazzo siciliano che vive in Germania, voleva essere accolto in casa con il compagno, ma ha trovato la porta sbarrata».