E se un cattolico si scopre omosessuale?
Testimonianza di Fabio
Lo so da sempre, e forse gli altri lo sanno da prima di me. Da quando i compagni delle elementari stigmatizzavano i miei modi forse non abbastanza da maschio alfa, a volte spalleggiati perfino dalla maestra poco paziente con le mie varie “diversità” da insopportabile genietto. Ma a 35 anni posso dire anche di non averlo mai saputo fino a poco tempo fa, perché ci si accetta davvero quando si è disposti a farsi accettare dagli altri, e da poco ho iniziato a non aver paura di quello che sono. Sì, perché in un momento difficile della mia esistenza un abbraccio con un amico gay è inaspettatamente andato oltre trasformandosi in un bacio e, nella pur breve connessione che si è instaurata fra di noi, tutto mi è apparso più chiaro. Mai con una ragazza avevo provato quel “brivido”, quella sintonia che nasce tra corpi che sono già legati attraverso le anime.
Sono cresciuto cattolico e per me era pacifico che si è o maschi o femmine: se non ci si sente in armonia con il proprio corpo oppure si è attratti dalle persone dello stesso sesso c’è per forza qualcosa che non va. Maschio e femmina li creò. “Prima o poi troverò la ragazza adatta a me e vivrò tutta la vita con lei – mi dicevo -, è solo questione di tempo. Ho bisogno di una persona accanto, di stabilità, famiglia, forse di donare amore a dei figli… e queste cose non le troverò in un uomo: non è possibile e comunque uscire con un ragazzo è tabù. In fondo le tendenze omosessuali possono essere reversibili…”. E gli anni passavano, senza che mai scoccasse quella “scintilla” che ti dice che hai trovato “l’altra metà”. E la convinzione degli altri che prima o poi, essendo attivo a livello ecclesiale, sarei naturalmente entrato in seminario lasciava pian piano spazio alla curiosità sul mio celibato così ostinato, così “strano”. Il “bravo ragazzo” che non mette su famiglia desta sospetti. E a casa hanno iniziato a dirmi, forse più consapevoli di me, “pensa a qualcuno con cui passare la vita, ragazzo o ragazza fa lo stesso”. Sorprendente!
Nella Chiesa non ho trovato ostilità, ma indifferenza sì. L’omosessualità è ancora un tabù: “non dircelo e noi non ti chiederemo nulla, basta che non si sappia in giro”. Nessun sostegno spirituale, nessuna possibilità di vivere alla luce del sole, e quando si è costretti a restare nell’ombra si pagano tutte le conseguenze del buio: il vuoto dei rapporti occasionali, la difficoltà di costituire una relazione stabile e fedele, l’impossibilità di vivere una relazione affettiva in pubblico. E io, che tante esperienze bene o male le ho evitate, ci ho messo un bel po’ a capire che l’attrazione fisica che ho per i ragazzi in generale poteva diventare, nei confronti di un ragazzo in particolare, vero amore, forse più vero di quello che mi costringevo a provare per le ragazze. E questa relazione, che non sarà procreativa ma certamente è creativa, alla Chiesa chiedo di riconoscerla come amore: non c’è nulla di antievangelico in questo!
Alla Chiesa chiedo di non concentrarsi sulla morale sessuale in maniera morbosa, perché il sesso non serve solo a far figli ma a creare relazione, e limitarsi al sesso procreativo sarebbe come limitarsi a mangiare pane e acqua per potersi nutrire! Alla Chiesa chiedo di far piazza pulita delle manifestazioni di insofferenza nei confronti degli omosessuali: questo è un atteggiamento antievangelico ammantato di falsa rettitudine morale!
Certi approcci servono solo a farci sentire sbagliati e senz’altro non amati, quando invece non abbiamo nulla di cui sentirci in colpa. E ancora, alla Chiesa chiedo di smettere di guardare agli omosessuali con pietà, come a figli prodighi da accogliere e convertire, quando non da guarire, e di iniziare a guardare ai tanti, tantissimi omosessuali cattolici che vivono a volte esistenze pacificate e a volte, molto più spesso, veri e propri conflitti che generano odio verso se stessi e verso gli altri.
Ma le nostre comunità cristiane sono pronte a questo passo? Non ancora, credo, ed è questo che mi fa vivere “chiuso nell’armadio” con pazienza ma con la voglia e la libertà di sensibilizzare, educare e anche di aprirmi con qualcuno in grado di capire, senza esporre bandiere ma senza provare vergogna. Alla Chiesa mia madre voglio dire che sono un figlio fedele ma in coscienza sento che un omosessuale non può vivere in pienezza conducendo un’esistenza affettivamente castrante. Questo, sì, è contro natura!
E ringrazio tutti quei cattolici che, fedeli al Vangelo, alla Chiesa e alla propria coscienza, con il coraggio di metterci la faccia, conducono giorno dopo giorno una paziente campagna per farsi ascoltare e poter vivere pienamente. Voglio proseguire questo cammino di cui sono appena all’inizio, disposto a farmi portare lontano dallo Spirito.