Ecco Emmett, ragazzo transgender mormone: “Ho bisogno della forza che Dio mi dà”
Intervista* di Carol Kuruvilla** ad Emmett Claren pubblicata sul Huffington Post (Stati Uniti) il 24 marzo 2016, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
La relazione di Emmett Claren con il mormonismo ebbe inizio con una storia d’amore, dolce e semplice. Quando aveva circa quattro anni dei missionari mormoni visitarono l’appartamento in cui viveva con il padre e il fratello. Suo padre prestò ascolto al messaggio dei missionari e in seguito decise di battezzarsi nella Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni; finì poi per sposare una delle missionarie che l’avevano portato nella Chiesa. Da quell’episodio di conversione la Chiesa mormone è stata molto importante nella vita Emmett, oggi ventiduenne; lui stesso è stato in missione e desidera continuare a far parte della Chiesa.
Ma non è così sicuro che la Chiesa voglia continuare ad accettarlo per quello che è. Negli ultimi sei mesi Emmett ha prodotto dei video comparsi su YouTube che documentano la sua transizione da femmina a maschio. Mentre cerca di far sì che il suo corpo fisico rifletta la sua identità di genere, il suo futuro nella Chiesa mormone è sempre più incerto. I mormoni considerano il genere un’identità fissa, che precede la nostra nascita e ci accompagna durante la nostra vita sulla terra e nell’eternità. Il genere determina le attività a cui un membro è autorizzato a partecipare. Tutti gli uomini adulti degni vengono ordinati al sacerdozio e assistono assieme alle riunioni, mentre le donne hanno la loro organizzazione, chiamata Società di Soccorso. Gli uomini possono benedire in caso di malattia; alle donne invece non è permesso celebrare tale rituale. Queste credenze sui ruoli degli uomini e delle donne nella Chiesa influiscono direttamente sulla sua posizione verso i mormoni LGBT.
Mentre l’accettazione dell’attrazione omosessuale è una realtà per molti, la Chiesa crede che agire di conseguenza costituisca peccato. Naturalmente, essa non accetta il matrimonio omosessuale. Lo scorso novembre la Chiesa ha reso pubblica una nuova, controversa presa di posizione sui mormoni gay e lesbiche che hanno relazioni omosessuali, definendoli apostati soggetti alla scomunica. D’altra parte, la politica riguardante l’atteggiamento da tenere verso i mormoni transgender e la loro accoglienza è ancora oggetto di discussione. Fino ad ora è stata decisa localmente, caso per caso. Alcune congregazioni locali (chiamate “rioni”) sono aperte ai mormoni transgender che assistono agli incontri del genere con cui si identificano, mentre altre non sono altrettanto accoglienti. Ufficialmente la Chiesa rifiuta di ordinare uomini transgender al sacerdozio e chi decide di sottoporsi all’operazione chirurgica di riassegnamento del genere può ricevere sanzioni disciplinari, come precisa il manuale della Chiesa.
Emmett conta di sottoporsi alla mastectomia il prossimo aprile, l’operazione per rimuovere il seno. Il viaggio verso la sua autentica identità di genere è stata piena di alti e bassi, ma ne è uscito con un forte desiderio di rimanere unito a Dio: infatti la sua fede è più forte che mai. HuffPost Religion lo ha incontrato per saperne di più sul suo bel percorso di fede.
Hai mai sperimentato sentimenti di dubbio, rabbia o amarezza nei confronti di Dio e se sì, come li hai affrontati?
Certo che sì. A volte ero arrabbiato con Dio. Quando sono tornato a casa dalla missione sapevo che il prossimo passo che la Chiesa voleva da me era sposarmi con un uomo nel tempio e farmi una famiglia. Questo mi faceva stare male dentro perché sapevo che non l’avrei fatto: non ero attratto dagli uomini. Avevo sempre un groppo allo stomaco. Gridavo a Dio cose del tipo “Perché mi fai passare questo? Perché non mi hai creato normale? Perché devo vivere questo inferno sulla terra?”. Non volevo più vivere. Per un certo periodo ho smesso di andare in chiesa. Ero arrabbiato e non credevo che sarei mai stato felice. Poi, a un certo punto capii che Dio non commette errori. Dio mi ha creato così come sono. Se cedo, non sarò più capace di aiutare nessuno. Lo accetterò e sarà dura, ma se lo farò potrò aiutare altri. Potrò mostrare loro che si può essere fedeli a se stessi e avere comunque Dio nella propria vita. È stato il momento in cui l’ho accolto pienamente nella mia vita. Ho capito che non potevo fare questo senza di lui. Ho bisogno della forza che lui mi dà. Avevo poca forza quando non c’era Dio nella mia vita.
C’è stato un momento del tuo viaggio in cui hai sentito davvero la presenza di Dio nella tua vita o è stato qualcosa di graduale?
Sì, è stato graduale. Ma questo momento c’è stato. Ero all’università [la Brigham Young University in Idaho]. Ero solito fare delle passeggiate per parlare con Dio e un giorno andai a questo giardino nel campus. Ero tutto solo, stavo piangendo, ero depresso e triste e cercavo di capire, “Cosa ci faccio qui su questa terra, cosa vuoi che faccia”… Ero nel giardino che pregavo e questa sensazione mi inondò, mi dissi tipo “Okay, sono transgender e andrà tutto bene. Dio mi ama e ha un progetto per me”. Ed era come se una lampadina si fosse spenta nella mia testa. E intanto pensavo “Mamma mia, mamma mia, ecco perché sono qui”. In maniera graduale mi è venuto in mente che sei qui per aiutare gli altri, non per startene tranquillo e tenere segreta la tua storia. Devi essere abbastanza forte per farlo, per condividere la tua storia. È una cosa che spaventa, ma sarai forte abbastanza perché hai il Signore dalla tua.
Cosa vuol dire per te oggi la Chiesa?
Con la comunità è diverso, perché prima ero una sorella. Ti trattano in maniera diversa. Ora sono più impegnata con la comunità LGBT mormone perché durante la mia transizione avevo troppa paura per essere davvero parte della mia comunità… In chiesa c’è il sacerdozio e, dato che non l’ho ricevuto, non voglio essere troppo coinvolto perché non voglio che mi chiedano di fare qualcosa che non posso fare. Non voglio che emergano situazioni imbarazzanti…
Il mio obiettivo, quello che spero, è di essere completamente immerso nella comunità come ero prima, ma come Emmett. [Nel frattempo] sono sempre andato in chiesa. Preferisco sedermi in fondo perché sono molto consapevole di me stesso… Voglio godermi la riunione senza preoccuparmi di cosa pensa la gente di me. Ma dopo la mia operazione [la mastectomia] voglio sedermi in prima fila. Voglio che la gente sappia che ci sono e che la mia è una testimonianza forte. Non m’interessa cosa pensa la gente, non voglio più nascondermi.
I tuoi amici e i tuoi genitori ti hanno sostenuto?
Molti dei miei amici mi hanno sostenuto e anche la mia famiglia allargata. I miei famigliari più stretti non mi hanno sostenuto molto, sono ancora scioccati. Sono in lutto perché stanno perdendo una figlia, è dura per loro. È un’esperienza nuova. Io ho avuto tutta la vita per affrontarla, loro solo pochi mesi. È una cosa nuova. Tutti i sogni che facevano su di me sono a rischio. È un cambiamento difficile per loro, soprattutto perché mi vedono davvero poco. [Emmett vive in Idaho, i suoi genitori invece in South Dakota.] Qui sto cambiando, soprattutto fisicamente. E non è che mi vedano tutti i giorni. È proprio tutto diverso per loro. Ma la maggior parte della gente che conosco mi ha sostenuto ed è stata davvero una benedizione.
Come concili le tue credenze su Dio e la dottrina proposta dalla tua Chiesa?
Non so se posso parlare in nome di altre persone trans. Nella Chiesa parliamo del fatto che, quando veniamo sulla terra, abbiamo tutti delle prove che ci aspettano. Credo che essere trans sia una di queste prove. È dura essere fedele a me stesso nonostante quello che pensano gli altri. Penso che noi individui trans siamo stati mandati su questa terra per contribuire ad abbattere le barriere, abbattere i muri, cambiare il punto di vista della gente, vincere lo stigma, aiutare la gente a non giudicare. Sono stato in grado di raccontare la mia storia, la mia vita, e questo ha aperto gli occhi alla gente, tipo “Cavoli, prima non capivo cosa volesse dire essere trans o come potessi essere al tempo stesso un trans e un membro fedele della Chiesa”. Aiutare la gente a capire cosa vuol dire essere diversi e che non possiamo giudicare gli altri perché sono diversi. Siamo qui per essere messi alla prova ed è stata terribilmente dura, ma mi ha reso più forte e mi ha anche aiutato ad avere più fiducia e forza per continuare a vivere. Non sono perfetto, ma sto facendo del mio meglio per fare quello che lui vuole e prego per essere uno strumento nelle sue mani. Spero quindi di poter fare la differenza.
* Il testo è stato rivisto per renderlo più chiaro e più breve.
** Carol Kuruvilla scrive per HuffPost Religion. Prima di lavorare per lo Huffington Post, Carol è stata reporter per il New York Daily News, occupandosi di numerosi argomenti. In seguito ha sviluppato la sua passione per i temi religiosi. Carol si è laureata alla New York University nel 2011.
Testo originale: Why This Transgender Mormon Is Holding On To His Faith