Essere una persona LGBT+ in Wyoming dopo la crocifissione di Matthew Shepard
Testimonianza di Ness Cleary pubblicata sul sito Believe Out Loud (Stati Uniti), liberamente tradotta dai volontari del Progetto Gionata
Noi esseri umani siamo sempre alla ricerca della nostra storia, spesso confrontandola con quella degli altri. Questa è la mia storia.
Parlo per me stessa, non per tutte le persone LGBT. Vivo nello spazio aperto e sconfinato del Wyoming (negli Stati Uniti), in una piccola città chiamata Lander. Sono la più giovane e l’unica ragazza di tre figli. Da bambina, i miei genitori mi hanno sempre protetta da tutto ciò che ritenevano una minaccia per la mia anima. Eppure ricordo gli eventi del 7 ottobre 1998, quando Matthew Shepard fu ucciso e lasciato appeso ad una recinzione.
Allora avevo nove anni e non capivo tutta la storia, ero troppo piccola, ma ricordo la tristezza che provavo per lui e per la sua famiglia. Tutti sembravano conoscere il nome di quel giovane, ma anziché chiamarlo semplicemente “Matthew Shepard”, lo definivano sempre “il gay Matthew Shepard”.
E se non bastava, aggiungevano: “il ragazzo gay appeso alla recinzione”. Anche in quel momento, non avevo idea di cosa significasse davvero tutto ciò. Ricordo solo che non mi piaceva il modo in cui lo etichettavano senza conoscere davvero la sua storia. Anche se molte persone avevano ricordi positivi di lui, era il fatto che fosse gay e che era morto “crocifisso” ad una recinzione a dominare la conversazione.
Crescendo, diventai molto amica della cugina di Matthew Shepard.
Passavamo tanto tempo sedute vicine sull’autobus che ci portava a scuola. Parlavo con lei delle cose che di solito interessano i bambini: giocare, disegnare, la scuola. Un giorno le chiesi di suo cugino. Vidi i suoi occhi riempirsi di lacrime e le sue parole tremare. Non ricordo molto di quella conversazione, ma ricordo che mi colpì profondamente la sua reazione: amava tanto suo cugino e sentiva terribilmente la sua mancanza.
In quel periodo anche mio cugino fu costretto a fare coming out. La mia famiglia non sapeva come reagire e il risultato furono delle parole molto spiacevoli. Nemmeno allora riuscivo a capire perché tutti fossero così sconvolti. “Perché due persone non possono semplicemente amarsi?” ricordo di aver chiesto una volta. Mi risposero che era un peccato.
Da bambini ci insegnavano che l’amore è amore e l’odio è odio. Allora perché è sbagliato amare qualcuno, ma va bene odiare qualcuno per il suo orientamento sessuale? Questa è una domanda che mi porto dentro da anni.
Col passare del tempo, quella domanda è diventata sempre più difficile da comprendere.
Sentivo parlare di crimini, come agenti di polizia che rubavano droghe dai depositi di prove per uso personale, e veniva sempre insabbiato, mentre si puntava il dito contro le persone LGBT, dipingendole come immorali. In quel periodo iniziai a sentirmi “confusa” sessualmente. Cominciai a mettere in dubbio la mia identità sessuale e cosa avrebbe significato per la mia vita.
Passiamo a due estati fa, quando ho incontrato la donna più straordinaria che avessi mai conosciuto. Si chiama Stephanie, ed è stata lei a darmi la motivazione per fare coming out. Quando ho detto alla mia famiglia di essere lesbica, scoppiò il caos. Mi dissero che era solo una fase e che presto mi sarei resa conto di sbagliarmi. Ho perso molte amiche, alcune delle quali conoscevo dall’asilo, che iniziarono a sparlare di me in città usando parole terribili e piene di odio.
In quel periodo io e Stephanie abbiamo iniziato una relazione che le nostre madri ci chiesero di tenere segreta. Essendo entrambe legate alle nostre mamme, rispettammo il loro desiderio: solo amici stretti e familiari sapevano che non eravamo semplicemente coinquiline. Stephanie ed io sappiamo bene perché le nostre madri ci hanno fatto questa richiesta.
La paura di finire come Matthew Shepard è un rischio che corriamo tutte noi che viviamo una relazione omosessuale in mezzo agli eterosessuali del piccolo Wyoming.
Il Wyoming è il posto più vicino al Vecchio West che esista ancora negli Stati Uniti. La gente ha ancora pistole accanto al letto, cani alle porte e credenze resistenti. Non tollerano di essere ingannati, traditi o manipolati. A volte non scoprono tutta la verità fino a quando non hanno già agito per vendetta.
Perciò, per me e la mia ragazza, tenere segreta la nostra relazione è spesso la scelta migliore. Eppure, sapere di dover tenere il nostro amore chiuso dentro è una ferita che brucia. È come se avessi un piede fuori dall’armadio, ma il resto di me restasse dentro. Vivo a metà tra essere fedele a me stessa e mentire alla società. Combatto ogni giorno contro questa realtà.
Gli amici che mi sono rimasti accanto non capiscono questo stile di vita a metà. Pensano che dovrei urlare il mio amore dal tetto più alto. Ma quello che non comprendono è l’odio che ne deriva: gli sguardi cattivi, i commenti pungenti, la discriminazione. Quando glielo spiego, mi chiedono sempre perché non me ne vado. Ma la mia risposta è sempre la stessa: “Questa è casa mia. Non abbandonerò casa mia.”
La mia preoccupazione è che la mia famiglia viva nella paura per la mia vita. Non voglio che mia madre debba vivere nel terrore di ricevere una chiamata in cui le dicono che sono stata ferita o in pericolo. Essere lesbica e vivere nel Wyoming è stata la sfida più dura della mia vita. Alcuni familiari mi hanno spianato la strada per l’amore, rendendo il mio viaggio un po’ più semplice, ma è ancora una battaglia difficile.
Anche se i miei amici vogliono aiutare a rendere il Wyoming un posto più accogliente per le persone LGBT+, chiedo loro di non mettermi in pericolo parlando della mia vita amorosa.
Non credo che questa situazione cambierà mai durante la mia vita, ma spero e prego che non ci sia più separazione nell’amore per le generazioni future. La mia città, Lander, ha organizzato il suo primo Pride Picnic quest’estate. Ero terrorizzata ed entusiasta di partecipare, sono venute più di 250 persone, più di quanto avrei mai potuto immaginare. È stato il mio primo evento Pride, e sono stata felice di viverlo nella mia città. Sapere che un luogo che una volta scacciava LGBT+ ora li sostiene, ed è stato incredibile.
Il cammino verso la libertà non è mai stato facile, ma ora lo vedo possibile.
La strada si sta facendo più chiara e percorribile. Molti di noi nella comunità LGBT sentiamo il Wyoming come una casa, e non vogliamo andarcene. Pian piano, ma con certezza, stiamo arrivando sempre più vicini a conquistare la libertà dell’amore.
E tutto è iniziato grazie a un uomo incredibile: Matthew Shepard.
Testo originale: Being Gay In A Post-Matthew Shepard Wyoming