Famiglie omosessuali: Dagli ospedali alle scuole, quei luoghi dove le coppie di fatto esistono già
Articolo di Laura Eduati pubblicato su Huffington Post Italia il 7 gennaio 2013
Ospedali, scuole, persino uffici della questura. Sono le istituzioni quotidianamente a contatto con le coppie omosessuali che, a volte, decidono di lasciare da parte le procedure standard per venire incontro ai figli di genitori dello stesso sesso. È accaduto all’ospedale di Padova dove la direzione sanitaria ha deciso di dare alla seconda mamma di un neonato, concepito all’estero con la fecondazione eterologa, un braccialetto con la scritta “partner” anziché “padre”.
Succede anche alla clinica Mangiagalli di Milano, dove da tempo medici e infermieri lasciano entrare in sala parto e nella nursery la compagna della partoriente, nonostante per legge quella donna non sia parente e non abbia alcun legame giuridico né con il figlio né con la madre biologica.
E dove i braccialetti non portano alcuna dicitura, ma soltanto un numero identico per il bambino e per i due genitori.
A raccontarlo è Maria Silvia Fiengo, madre di quattro bambini con la compagna Francesca Pardi, entrambe milanesi e titolari della casa editrice per bambini “Lo Stampatello”: «La Mangiagalli, dove sono nati tre dei nostri bambini, non è una eccezione. Ho partorito il primogenito all’ospedale San Paolo, dove una infermiera ad un certo punto fece uscire i parenti dalla stanza lasciando soltanto i padri e Francesca». Sono piccole conquiste ottenute sul campo, spesso suggerite dalla sensibilità dei singoli che devono riconoscere l’esistenza di due mamme o due papà.
Oggi Maria Silvia è rappresentante di classe nella scuola materna frequentata dal quarto figlio, portato in grembo dalla compagna, nonostante non sia legalmente genitore del piccolo. Un altro strappo alla regola.
E poi un altro: «Nelle scuole dei nostri figli molto spesso hanno chiuso un occhio sulle deleghe, obbligatorie per coloro che non sono genitori e che devono andare a prendere i bambini all’uscita. Poiché Francesca non risulta essere la madre di tre bambini e io non risulto essere la madre di uno, secondo la burocrazia entrambe dovremmo firmare dei documenti che autorizzano l’altra a prelevare i bimbi alla fine delle lezioni. Non è stato quasi mai necessario».
I problemi burocratici ai quali vanno incontro le nuove famiglie – l’associazione Famiglie Arcobaleno calcola che in Italia 100mila bambini vivano con almeno un genitore omosessuale, in maggioranza figli da precedenti relazioni etero – sono innumerevoli. La nuova legge che finalmente ha abolito l’odiosa differenza tra figli nati dentro il matrimonio e figli di coppie non sposate, in questo senso ha portato benefici soltanto ai figli biologici di un genitore gay: ma l’altro genitore continua a permanere nel limbo, come un fantasma.
E sono sempre Maria Silvia e Francesca a portare l’esempio dell’iscrizione all’asilo: secondo il certificato Isee sul reddito i loro bambini vivono con due adulti che lavorano, mentre per la legge sulla filiazione il bambino avuto da Pardi è figlio unico e non appartiene al novero delle famiglie numerose che in questi casi vengono avvantaggiate: i tre fratelli, figli biologici di Maria Silvia, semplicemente non esistono. E non esiste nemmeno Maria Silvia, che non può riconoscerlo.
Eppure persino la Questura di Milano ha scelto di scendere a compromessi con la realtà della famiglia Pardi-Fiengo, inserendo nei passaporti di entrambe le donne tutti e quattro i figli, tralasciando il fatto che per legge non è possibile viaggiare all’estero con un bambino non proprio. E poiché il timbro tradizionale porta la dicitura “padre” e “madre”, la poliziotta allo sportello ha cancellato la scritta “padre” aggiungendo il nome della seconda mamma. E dunque mettendo nero su bianco, in un documento legale, il fatto che Francesca e Maria Silvia sono le madri dei loro bambini.
«Nelle scuole e negli ospedali la disobbedienza alla normativa è ormai diffusa», conferma Franco Goretti, che insieme al compagno Tommaso Giartosio ha avuto due figli grazie alla maternità surrogata. Franco e Tommaso, come Maria Silvia e Francesca, sono iscritti all’associazione Famiglie Arcobaleno dove è prassi iscrivere i figli a scuola con il doppio cognome per dare un segnale alle istituzioni. Alcuni istituti accettano perché comprendono la necessità di garantire agli alunni due genitori legali, altri chiudono un occhio, altri ancora chiedono alle famiglie di togliere un cognome quando scoprono che la legge parla chiaramente: il cognome valido è soltanto quello del genitore biologico.
E così, con piccoli aggiustamenti alla regola generale, le famiglie omosessuali tentano di condurre una vita normale. I problemi veri arrivano quando la coppia, come molte coppie eterosessuali, decide di separarsi. E allora può capitare che il genitore biologico possa sfruttare maliziosamente il vuoto normativo per negare all’ex compagno la possibilità di vedere i figli, che per legge non sono figli.
E’ accaduto a Maria Caprì, grafica milanese, che fece ricorso al Tribunale di Milano per chiedere l’affido condiviso dei figli che l’ex compagna le vietava di frequentare. Il giudice riconobbe la funzione genitoriale di Maria, pur non essendo madre biologica dei piccoli, ma ammise che secondo la legge italiana non aveva alcun diritto da reclamare nei loro confronti. Era come se fosse un’amica o, peggio, una conoscente. Eppure la corte scrisse che la donna aveva agito “come un genitore”, e insomma il difetto stava nella regola e non certo nella realtà affettiva. Ed è quello che hanno certificato persino i giudici della Cassazione quando, nel marzo dello scorso anno, hanno respinto la richiesta di due uomini italiani sposati in Olanda che avrebbero voluto vedere riconosciuto il loro stato civile. Non si può, disse la suprema corte. Ma allo stesso tempo incoraggiò il Parlamento a varare una normativa per equiparare le relazioni omosessuali a quelle eterosessuali.
Nel frattempo le famiglie che lo Stato non riconosce cercano di premunirsi contro il dolore e tutelare i loro figli firmando contratti matrimoniali privati con scarso valore legale ai fini ereditari, piccoli accorgimenti che davanti alla normativa spesso si frantumano. «Quando la legge ti descrive in maniera diversa da quella che sei, è molto difficile far quadrare la vita», conclude Maria Silvia.