Fare o celebrare la liturgia. Vademecum pastorale per i gruppi di cristiani LGBT
Riflessioni di Giovanni del gruppo di riflessione sulla pastorale LGBT del Progetto Gionata
Un pomeriggio, verso le quattro, sulle rive del Giordano, due uomini notano lo sguardo del loro maestro e odono le parole che pronuncia nei confronti di uno sconosciuto che si fa avanti: «Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passa- va, disse: “Ecco l’agnello di Dio!”. E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: “Che cercate?”. Gli risposero: “Rabbì (che significa maestro), dove abiti?”. Disse loro: “Venite e vedrete”.
Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui; erano circa le quattro del pomeriggio» (Gv 1,35-39). Andare e vedere. Questa pare essere la sintesi dell’esperienza cristiana. Del resto, l’esperienza è qualcosa che si fa; non la si può pensare una esperienza. Come l’amore: c’è se si vede! E l’esperienza del cristiano è una esperienza folgorante. Il credente ha il cuore bruciato da un incontro tanto da diventare un riferimento per chi cerca una luce e un ristoro nel cammino dell’esistenza. Travolto dalla bellezza, il cristiano cerca di bloccare l’incontro di un momento, che per la sua stessa natura non si può fermare: «Pietro disse a Gesù: “Maestro, è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia”.
Egli non sapeva quel che diceva. Mentre parlava così, venne una nube e li avvolse; all’entrare in quella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: “Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo”» (Lc 9,33b-35). L’incontro avviene, ma è fugace; lascia il segno, ma poi si allontana di nuovo: «Eccolo, egli sta dietro il nostro muro; guarda dalla finestra, spia attraverso le inferriate» (Ct 2,9). Uno sguardo che proviene da un «oltre» e che, proprio perché non ce ne si può appropriare, alimenta il desiderio.
Non trovo modo migliore per descrivere il culto cristiano. Di incontro in incontro il rito trasforma l’amante rendendolo simile all’Amato: «Dalla liturgia, dunque, e particolarmente dall’eucaristia, deriva in noi, come da sorgente, la grazia, e si ottiene con la massima efficacia quella santificazione degli uomini nel Cristo e quella glorificazione di Dio, alla quale tendono, come a loro fine, tutte le altre attività della Chiesa» (SC 1,10).
FARE O CELEBRARE?
Parlando di pastorale verrebbe da pensare a quali cose fare… Molti cristiani, anche tra i gruppi LGBT, credono a volte che il rito sia qualcosa di ripetitivo e sterile. Sembra che sia necessario muoversi, programmare, progettare… e si perde di vista – tra l’altro – la sostanziale differenza tra l’efficienza e l’efficacia. Non dimentichiamo che l’orizzonte del cristiano è l’esperienza di Cristo. Francesco d’Assisi parte dalla croce di San Damiano che lo manda a riparare la sua casa e giunge al termine della sua vita, sul monte della Verna, somigliantissimo a Colui che aveva contemplato crocifisso. Il Rito permette l’incontro e, nell’attesa che questo avvenga definitivamente, trasforma il credente nell’immagine stessa di Colui nel quale crede.
Per questi motivi il celebrare non può essere secondo al fare! Il culto cristiano consiste nel fare esperienza dell’Amore che trasforma. Solo dopo che ci si è scoperti amati per ciò che si è, si può andare in modo efficace verso i fratelli per distribuire l’amore che si è ricevuto gratuitamente e che può scaldare il cuore di molti, più di tante parole… Ogni forma di pastorale deve nascere dal rito e a questo deve ricondursi: «La liturgia è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia» (SC 1,10). È nella performance liturgica che la Chiesa si rende visibile come assemblea santa: «Lo Spirito e la sposa dicono: “ Vieni!”. E chi ascolta ripeta: “ Vieni!”. Chi ha sete venga; chi vuole attinga gratuitamente l’acqua della vita» (Ap 22,17).
«Giustamente perciò la liturgia è considerata come l’esercizio della funzione sacerdotale di Gesù Cristo. In essa, la santificazione dell’uomo è significata per mezzo di segni sensibili e realizzata in modo proprio a ciascuno di essi; in essa il culto pubblico integrale è esercitato dal corpo mistico di Gesù Cristo, cioè dal capo e dalle sue membra.
Perciò ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo corpo, che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza, e nessun’altra azione della Chiesa ne uguaglia l’efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado» (SC 1,7). Una pastorale LGBT dei gruppi in Italia non può dunque prescindere dall’esperienza liturgica e dalla conoscenza della grande tradizione orante delle Chiese.
L’ESPERIENZA DELL’EMMANUELE
‣ La Celebrazione eucaristica. Il Gruppo di Cristiani omosessuali Emmanuele di Padova, consapevole della dimensione assembleare dell’Eucarestia e del fatto che in essa si manifesta la completezza del Popolo di Dio, non la celebra in privato, ma preferisce partecipare alle celebrazioni di orario delle Comunità locali presso le quali si trova. Tutto questo ad eccezione dei momenti di ritiro o nella commemorazione di eventi che riguardano la vita del Gruppo. Per scelta e per il rispetto dell’indole comunitaria della liturgia, le celebrazioni all’interno del Gruppo non sono mai chiuse, ma sempre restano aperte a chiunque voglia prendervi parte.
‣ Le veglie. Dalla sua nascita il Gruppo celebra tre veglie annuali: Avvento, Quaresima e Pentecoste; a queste da qualche anno si è aggiunta la Veglia per le vittime dell’omofobia. Ad un certo punto del cammino, le veglie hanno cominciato a diventare approfondimenti teologici e contemplativi del tema trattato nel corso dell’anno e sono diventate «pubbliche» cioè celebrate in chiesa con la comunità parrocchiale o vicariale, a seconda dell’anno. Il Gruppo ha celebrato le veglie non solo nella parrocchia dove avvengono gli incontri, ma in molte altre realtà ecclesiali al fine di farsi conoscere e di iniziare con le diverse realtà un dialogo. In questo senso la liturgia è diventata luogo di incontro, modalità di presentazione e comunione nella condivisione dell’unica fede e nella ricerca dell’unico Dio. Ogni momento rituale per natura sua vede l’intreccio di molti linguaggi.
Questa caratteristica rende «fragile» la performance liturgica e richiede un’attenta preparazione e una cura competente. Ma, d’altro canto, questi linguaggi coinvolgono tutta la persona, con tutte le sue facoltà sensoriali, permettendole un’esperienza non solo spirituale e interiore, ma anche corporea. I contenuti scritti e verbali devono quindi essere posti sullo stesso piano dei suoni, delle luci, dei colori, dei profumi, poiché non la sola mente, ma tutto il corpo dell’uomo è chiamato alla preghiera.
‣ La Liturgia delle Ore. Dalla sua nascita il Gruppo ha posto nel programma degli incontri la preghiera del Vespro. Pregare con la Liturgia delle Ore ha permesso alle persone convenute all’incontro di santificare il tempo trascorso insieme «cristificandolo». I Vespri sono generalmente celebrati nella chiesa parrocchiale. Come per le veglie, anche per la Liturgia delle Ore è richiesta l’attenzione e la perizia nella preparazione. La cura per il canto comunitario, la scelta e la variazione degli Inni – attingendo anche dagli stili monastici contemporanei (Camaldoli, Bose…) –, l’attenzione alla gestualità e al non verbale hanno permesso di celebrare in modo non routinario la preghiera della Chiesa nello scorrere del tempo.
Si fa ricorso per il linguaggio visivo all’uso delle Icone orientali scelte a seconda del tempo liturgico e ambientate nello spazio rituale. Siccome gli incontri avvengono un sabato e una domenica al mese, li si è caratterizzati con il rito del Lucernario (il sabato sera) e con l’offerta dell’incenso (la domenica).
Nelle uscite del gruppo la Liturgia delle Ore viene proposta almeno nelle ore principali (Lodi e Vespri), anche se non di rado si è celebrato l’Ufficio delle letture e la Compieta. Proprio in occasione delle uscite di più giorni del gruppo, la celebrazione della Liturgia delle Ore ha facilitato l’incontro con le comunità ospitanti e ha infranto le barriere permettendo il riconoscimento tra le parti come membra dell’unico Corpo di Cristo che costituisce la Chiesa.