Femminismo, sesso e virtù in “Just Love” di Margaret Farley
Recensione di Morgan Guyton* pubblicata sul suo blog Mercy Not Sacrifice (USA), il 12 agosto 2013, libera traduzione di Silvia Lanzi
Sto leggendo “Just Love: A Framework for Christian Ethics” di Margaret Farley, il libro che qualche anno fa ha messo in agitazione il Vaticano di papa Benedetto XVI. Per essere onesti, “Just Love” è più una critica femminista dell’etica sessuale cristiana che non un’etica sessuale cristiana a sé stante, ma la critica è opportuna e merita attenzione.
Anche non citando la Bibbia, la sua prospettiva acquista significato quando si considera la sessualità con la lente della “misericordia e non sacrificio“. Una delle cose su cui, giustamente, la Farley mette di fronte ai suoi lettori è il modo in cui l’etica sessuale cristiana ha ereditato la pesante ombra del platonismo, gettata sulla Chiesa primitiva da padri come Agostino. Quando il sesso è un problema perché coinvolge un desiderio su cui la ragione non ha il completo controllo, e perciò “disordina” l’anima, così lo pensiamo secondo un’etica sessuale platonica.
Per esempio, Agostino cita l’erezione maschile come una prova della “punizione” del peccato originale perché si tratta di una funzione corporea sulla quale l’uomo non ha un controllo razionale diretto. Vorrei pensare che la dicotomia spirito/carne, a cui accenna Paolo, sia completamente diversa, anche se confluisce facilmente nelle categorie platoniche della ragione contro le passioni e gli appetiti.
Lo spirito non vuole al rendere incorporea la ragione; si riferisce ad un corpo che è completamente vitale grazie al soffio (pneuma) di Dio. La carne non è tutte le cose; è il corpo ridotto a carne da macello. I desideri del corpo non ci rendono necessariamente “carnali” e non “spirituali”. Piuttosto, essi possono essere ‘elevati’ o ‘degradati’, secondo le abitudini e le dipendenze che sviluppiamo.
Quando parlo con adolescenti che fumano erba, dico loro che posso sballarmi con il digiuno e senza distruggermi i polmoni. Non digiuno perché odio il mio corpo, ma perché voglio che invece di essere un sacco di carne, respiri con Dio.
Per molta della storia cristiana, seguendo Agostino e gli altri padri, il sesso è stato considerato come la maledizione dell’amore e l’effetto della caduta di Adamo ed Eva, la cui ferita può essere tamponata solo facendolo esclusivamente per procreare – un modo di vedere che la Chiesa cattolica ha continuato a mantenere anche nel XX secolo.
Il recente movimento dell’evangelicalismo neo-patriarcale americano “celebrate il sesso all’interno del matrimonio” è un’innovazione totale e una presa di distanza da centinaia di anni di insegnamento cristiano e non sarebbe potuto succedere se non come un correttivo della rivoluzione sessuale degli anni sessanta. Per me, il sesso è come il vino. Se si beve per ubriacarsi, si diventa un disgustoso sacco di carne; se invece è un modo per creare un meraviglioso ambiente per gioire con chi si ama, è una forma sacramentale di adorazione, in grado di migliorare la vita. Perciò sono d’accordo con la Farley quando dice che:
“La cornice dell’etica sessuale che ho presentato chiaramente non tratta il sesso come qualcosa di intrinsecamente malvagio – non è malvagio a causa di un’incontrollabile urgenza biologica, né perché la ricerca del piacere è contentata intrinsecamente su di sé, né perché il corpo è un fardello per l’anima. La cornice che penso io… non porta a conclusioni di questo tipo ovvero che: il sesso senza apertura alla procreazione è cattivo perché implica un’ingiustificabile “piacere venereo”; ogni atto sessuale richiede il perdono divino perché è inevitabilmente contaminato dal cataclisma della “caduta” umana [pag.237].
L’altro argomento con cui tendo ad essere d’accordo con la Farley è la sua preferenza per un’etica basata sulla virtù anziché sul dovere. Il nostro compito è scoprire le regole e usarle correttamente. Nell’etica basata sulla virtù, il punto è coltivare un carattere che abbia qualità come la pazienza, la gentilezza, la generosità, la misericordia; nell’etica basata sul dovere c’è bisogno che, in ogni situazione, per prendere la decisione giusta, si dica cosa bisogna fare.
In un’etica ‘virtuosa’ il presupposto è che ci si comporterà necessariamente bene, a seconda di quanto la si abbia coltivata. Quando si parla di etica sessuale cristiana la differenza è questa, dal momento che chi si basa sul dovere tenderà a leggere la Bibbia alla ricerca di regole a cui obbedire per amor d’obbedienza, mentre il ‘virtuoso’ la leggerà per ottenere le virtù del cuore di Cristo.
Per l’etica ‘virtuosa’ il punto è facilitare l’agire corretto; dal momento che la ragione contraddice gli impulsi naturali, farlo deve essere difficile, perciò ogni cornice etica che non sappia abbastanza di onere o di “sacrificio” risulta sospetta. L’etica ‘virtuosa’ è santità che vuole diventare mezzo della misericordia divina; quella basata sul dovere è santità per amore per un sacrificio che plachi Dio.
Apprezzo davvero come la Farley parla di virtù in questo passaggio:
“Per i cristiani, l’ideale è far confluire i nostri amori nell’amore totalizzante di Dio. Vogliamo un’integrazione che non distorca il nostro desiderio ma lo trasformi, che non ignori nessun amore ma che lo giustifichi, che non ferisca nessuno, nemmeno noi stessi…. Dopo tutto, il significato classico di ‘virtù’ ha a che fare con l’affinare le nostre capacità per esercitarle costantemente, facilmente ed in modo appagante. La virtù, non è una virtù infilzata dal pauroso o dal presuntuoso; non è nemmeno una parvenza di “purezza” che è nemica della generosità, dell’umiltà e dell’attenzione amorevole. Non è il tipo di libertà che si raggiunge sperimentando, tenendo aperte tutte le opzioni e accantonando tutte le forme genuine di relazione.
Questa libertà è, piuttosto, la libertà del coraggio davanti ai veri rischi e alle vere paure; è il perseverare davanti a debolezze e alle distrazioni, è aver fiducia nonostante il proprio senso di inadeguatezza; credere nonostante le furie e i demoni che ci distolgono, sia dalla ricerca di ciò a cui siamo chiamati, sia dagli amori che abbiamo scelto e nei quali siamo radicati… Questa, allora, è la libertà che libera l’amore, il desiderio e il sesso” [pagg.243-244].
Qualcuno dirà che in questo passaggio la Farley è “antropocentrica”. Si dice che la virtù sia duro lavoro e obbedienza. Non dovrebbe essere la capacità di usare i nostri doni in modo costante e appagante. Ed è proprio questo di cui ho sentito parlare ovvero della la virtù come di un duro lavoro in nome degli insegnamenti di Dio (sulla sessualità e non solo), così con l’obbedienza e il “sacrificio” ci guadagniamo la salvezza. Ma nell’affinare le nostre capacità per esercitarle costantemente, facilmente ed in modo appagante, c’è la differenza tra un fare il pieno d’invidia e una gioiosa adorazione.
* Morgan Guyton è direttore della Fondazione NOLA Wesley del campus United presso l’Università di Tulane e Loyola a New Orleans (USA)
Testo originale: Feminism, sex, and virtue in Margaret Farley’s Just Love