Gay contro gay. Le minoranze invisibili dentro la comunità LGBT
Articolo di Marco Palillo pubblicato sul sito Gay.it il 28 ottobre 2016
Ogni volta che appare in TV una persona gay, transessuale o lesbica, sui social si apre l’insopportabile dibattito se essa sia più o meno rappresentativa della popolazione LGBT italiana. Per esempio, recentemente in molti hanno lodato la scelta di Maria De Filippi di mettere un ragazzo omosessuale carino, simpatico, posato, sul trono della sua popolare trasmissione. Nella vulgata comune il “tronista” è stato definito un gay “normale” che, finalmente, non “ostenta” la propria omosessualità. Buon per lui. Qualche anno fa invece sempre in un programma popolare italiano, un opinionista molto effeminato veniva attaccato per il motivo contrario: secondo molti utenti social LGBT quella persona non rappresentava la maggioranza della comunità perché “sguaiata” e vestito da “femmina”.
In questi giorni invece mi è capitato di vedere su Facebook un’immagine pro matrimoni gay che contrapponeva due foto distinte: da una parte una coppia di gay in giacca e cravatta e dall’altra una coppia di gay che indossavano abbigliamento BSDM ad un Pride. Il manifesto diceva qualcosa del genere: questi (quelli con la camicia) rappresentano la maggioranza dei gay italiani, mentre quest’altri no. La cosa interessante del manifesto era la sua natura didascalica che si rivolgeva al pubblico eterosessuale. In pratica, si contrastavano gli stereotipi a sfondo omofobo, interiorizzandoli passivamente. Nell’epoca post-unioni civili, sembra che l’identità omosessuale abbia bisogno di rappresentarsi come “degna” dell’uguaglianza gentilmente concessa.Ecco che allora si deve tracciare il confine fra buoni e cattivi dentro la comunità, fra gay “normali” e “anormali”, degni e non degni. A prevalere sono gli omosessuali più forti, quelli con più risorse o quelli che più “imitano” i modelli eteronormativi, mentre tutto il resto deve essere silenziato.
Anche durante il dibattito sulla legge, le cose non sono andate diversamente. Ricordiamo le belle campagne per l’uguaglianza fatte dai media, associazionismo, giornali progressisti: protagonisti sempre giovani belli, magri, bianchi, sorridenti. Praticamente appena usciti da un opuscolo del ministero della Salute. L’imposizione di significati normativi alle identità LGBT è molto pericolosa perché cancella le differenze, che sono il patrimonio più importante della nostra comunità. Non esiste un modo migliore di essere gay, non esiste un’identità gay univoca e normativa. Esistono gli individui e le loro esperienze.
Francesco Remotti, forse il più grande antropologo italiano contemporaneo, nel suo libro L’Ossessione identitaria ci avverte del pericolo insito dietro il mito contemporaneo dell’identità. L’identità per Remotti rimanda a “qualcosa di integro o che si vorrebbe mantenere integro”. In questo quadro, tutto ciò che non è integro diventa inevitabilmente una minaccia. Attraverso questa dinamica si consuma la trappola dell’alterità – in inglese othering – cioè della costruzione di un “altro” simbolico, ordinato in relazione al “noi” identitario e totalizzante, contro cui scagliarsi.
Come si sfugge alla trappola dell’othering? Ne abbiamo discusso recentemente in un interessante workshop organizzato dalla Fondazione Fondo Ricerca e Talenti presso l’Università di Torino, dal titolo “L’un contro l’altro armato. Politiche dell’identità, politiche dell’odio”, che si è aperto proprio con un intervento del professor Remotti. Per i teorici queer occorre disfare il concetto di identità, andando oltre. Per il femminismo intersezionale, invece, iniziando a vedere le differenze dentro il “noi”. Questo significa riconoscere come le categorie identitarie – razza, genere, classe, orientamento sessuale, etc. – si intersecano attraverso, per citare Ange-Marie Hancock, un processo mutualmente costitutivo, creando nuove posizioni soggettive. Una persona, dunque, non deve essere definita attraverso un solo tratto identitario – per esempio, l’orientamento sessuale – né con la mera somma delle categorie di appartenenza. Piuttosto va indagata la complessità delle molteplici posizioni identitarie soggettive che si creano attraverso un processo di adattamento reciproco – come scrivono Walby, Amstrong e Strid – fra diversi fattori.
Questa attenzione per l’interazione fra vari tratti identitari mira a svelare i gruppi marginali che esistono all’interno delle minoranze già oppresse. Per esempio, le donne afroamericane, le cui esperienze vengono continuamente segnate dall’intersezione fra genere e razza (e dunque misoginia e razzismo). La teorica intersezionale più importante, Kimberle Crenshaw, nel testo fondamentale Mapping the Margins, ha messo in luce come le donne afroamericane fossero doppiamente invisibili: dentro la comunità nera – dominata dagli uomini – e nel movimento femminista- egemonizzato dalle donne bianche. Le loro istanze, le loro esperienze, venivano continuamente sacrificate; le loro voci silenziate.
In questo momento, il movimento LGBT italiano farebbe bene a farsi contaminare dal pensiero intersezionale americano per iniziare a vedere che non tutte le persone omosessuali o transgender sono sovrapponibili in termini di esperienze e che l’orientamento sessuale da solo non basta per comprendere le discriminazioni multiple vissute dai cittadini LGBT. Ci sono minoranze invisibili anche nella nostra comunità di cui il movimento omosessuale non si occupa o si occupa poco. Omosessuali poveri, per esempio, che non hanno i soldi per andare all’estero ad accedere alle tecniche di maternità surrogata, ma che comunque vorrebbero diventare genitori in Italia. Omosessuali di etnie differenti la cui esperienza dell’omofobia intreccia quella dell’intolleranza religiosa o del razzismo. Omosessuali che non finiscono sui cartelloni pubblicitari o negli spot per l’uguaglianza, ma che esistono e che sono doppiamente discriminati: dagli “altri”- inteso come maggioranza eterosessuale- e nella propria comunità.
Riferimenti bibliografici
Crenshaw KW (1989) Demarginalizing the intersection of race and sex: a black feminist critique of antidiscrimination doctrine, feminist theory, and antiracist politics. University of Chicago Legal Forum 14: 538–54.
Crenshaw KW (1991) Mapping the margins: intersectionality, Identity politics, and violence against women of color.Stanford Law Review 43(6): 1241–99.
Hancock A-M (2007) When multiplication doesn’t equal quick addition. Perspectives on Politics 5(1): 63–79.
Walby, S., Armstrong, J. and Strid, S. (2012), “Intersectionality: multiple inequalities in social theory”, Sociology, Vol. 46 No. 2, pp. 224-240.