Gay e cattolici. Nella diocesi di Firenze altri preti sfidano il no
Articolo di Maria Cristina Carratù tratto da La Repubblica, edizione di Firenze, del 23 ottobre 2012
Prima le due lettere inviate all’arcivescovo Giuseppe Betori, ma anche alle 250 parrocchie e alle 150 case di ordini religiosi di Firenze, da tre preti e una suora (don Giacomo Stinghi, parroco della Madonna della tosse, don Fabio Masi, parroco di Paterno, don Alessandro Santoro, prete delle Piagge, la domenicana Stefania Baldini), con tanto di 623 firme raccolte fra i fedeli delle loro comunità.
Poi, domenica scorsa, l’ eucaristia platealmente concessa da don Santoro, durante la messa, ad alcune coppie di gay e lesbiche. E nel clamore suscitato dal richiamo dei firmatari a fare obiezione di coscienza sul “no” della Chiesa alla comunione per gli omosessuali, emerge che la pratica di accoglienza “completa” non solo è già in atto in molte parrocchie, ma anche molto diffusa, anche se sommersa.
(ndr Il Vescovo di Firenze) Betori ha risposto picche, all’assemblea del clero a Lecceto, alla richiesta di dialogo contenuta nelle lettere, richiamando gli articoli del Catechismo della Chiesa che considerano «oggettivamente disordinata» la pratica omosessuale. E ieri, dopo la prova di forza di Santoro, il portavoce della Curia ha fatto sapere che «quello che l’ arcivescovo aveva da dire l’ ha già detto e in ogni caso ai suoi preti parla di persona, non tramite i giornali».
Ma intanto fra i preti si è aperta una breccia. E se molti di quelli da noi interpellati preferiscono non sbilanciarsi, don Paolo Capecchi, del Sacro cuore del Romito, sostiene che «la linea operativa spetta alla Chiesa, non al singolo parroco», e don Giorgio Tarocchi di Settignano si trincera dietro un «non rispondo», altri dimostrano di avere già nuovi orizzonti.
«La politica dello struzzo sugli omosessuali, come su divorziati risposati e conviventi, non serve più a nulla» dice don Piero Sabatini, parroco dell’Isolotto, che pure non condivide la «spettacolarizzazione» fatta da Santoro, alla fine «controproducente». Ma soprattutto perché «si tratta di persone che soffrono e meritano una riflessione profonda, non un atteggiamento rivendicativo».
All’Isolotto viene data la comunione agli omosessuali? Sabatini non lo nasconde: «Un prete è tenuto innanzitutto all’accoglienza e al dialogo, ovvio che debba ricordare cosa dice la Chiesa, poi, però, deve comportarsi da presbitero istruito, sì, dal magistero, ma anche illuminato dallo Spirito Santo e da un po’ di buon senso, che spesso viene anch’esso dallo Spirito…».
E comunque, il parroco dell’Isolotto ne è convinto: «Il rischio è di offrire un messaggio non ortodosso, ma se si respinge è sicuro che si sbaglia». Conclusione: «Le due lettere hanno ragione, nascondersi e difendersi offende la verità delle persone, la Tradizione della fede non è una cosa morta, occorre capire se e come l’ atteggiamento della Chiesa si può modificare». «Dove c’ è una scelta sincera e leale delle persone, e non un gioco, perché non devo dare fiducia e credito alla loro verità?» dice anche don Giorgio Mazzanti, parroco di S. Alessandro a Giogoli, «per rispetto alla totalità della loro persona non posso ridurre tutto al problema di un rapporto sessuale».
Il termine «obiezione di coscienza» non convince don Andrea Bigalli, parroco di S. Andrea in Percussina, convinto che «una strada percorribile sia la mediazione: e la novità sarebbe di realizzarla a partire dall’ ascolto di quanto queste persone ci chiedono, superando ogni paternalismo, dando loro parola e valutando alla luce dello Spirito».
E aperto ad una accoglienza «larga» è anche don Alfredo Jacopozzi, parroco di Santa Maria degli Innocenti e responsabile dell’ Ufficio cultura della diocesi: «Il problema» spiega «non è tanto di accogliere gli omosessuali, quanto di come accoglierli nel caso in cui chiedano di accostarsi all’ eucaristia», in rapporto ai limiti che pone la Chiesa «non tanto all’ omosessualità in sé, quanto al comportamento pratico».
Lui, comunque, si regola così. «Quando sento che nella persona che ho davanti, con cui sono entrato in un rapporto di confidenza e amicizia, vedo che c’è un’ autenticità di fondo, una verità, per me può tranquillamente accedere al sacramento. Sennò sì, che andrei contro il Vangelo».