Gay e lesbiche credenti in Italia, tra appartenenza e scontro di valori?
Intervento di Marco Mori alla conferenza Internazionale del CESNUR (Centro Studi sulle Nuove Religioni) Mainstreaming and Marginalization of Religious Movements, Salt Lake City (USA), 11-13 giugno 2009
L’Italia, per la sua peculiarità di paese i cui valori e identità sono radicati e intrecciati con il Cristianesimo nella sua espressione cattolico-romana, si caratterizza per una specificità a mio avviso unica nel contesto europeo e all’interno del dibattito tra secolarizzazione e de-secolarizzazione, ritorno del sacro e spiritualità.
La irrilevante presenza dei protestanti (in termini quantitativi); la vivacità e diffusione della Chiesa cattolica “unica e plurale” dove al suo interno, il ricco fermento dei movimenti carismatici mantiene alta una pratica e una frequenza già molto più significativa rispetto ai vicini europei; il Concordato tra Stato e Chiesa e una classe politica che fa riferimento in modo manifesto a valori e tradizioni religiose; fanno dell’Italia un paese laboratorio in cui poter osservare, nel dettaglio, fenomeni sociali interessanti, sia all’interno dei movimenti religiosi sia nell’intera società.
Nel focalizzare lo sguardo sui gay (cristiani) credenti e la loro organizzazione in gruppi non si vuole fare una apologia dell’omosessualità, né auspicare una politicizzazione dei gruppi. Lo scopo è di descrivere una realtà interessante per chi si occupa di sociologia delle religioni e sempre da un punto di vista sociologico tentare di analizzare e interpretare alcuni meccanismi sociali alla base di questo interessante fenomeno.
Un fenomeno che coinvolge prima di tutto questi gruppi e il loro ruolo funzione all’interno delle chiese (e principalmente nella Chiesa); e in secondo luogo, ma non meno importante, il loro contributo culturale e valoriale, spesso involontario, nel movimento dei diritti civili, in particolare quello “lgbt” (lesbico-gay-trasessuale).
La scelta del termine “fissiparo”, parola presa in prestito alla biologia, è stata effettuata con una volontà doppiamente provocatoria. Una provocazione non maliziosa nei confronti di chi, stando ad una lettura superficiale delle norme e delle dottrine trova un modo personale e/o collettivo per vivere la propria sessualità e la propria fede e provocatoria nei confronti della doppia appartenenza, in qualche modo “scissa”, nella chiesa e contemporaneamente nel movimento culturale e politico gay e lesbico.
Una appartenenza doppia, che spesso dai militanti dei gruppi gay e lesbici è vista come problematica se non antagonistica rispetto agli obiettivi politici: diritti civili e matrimonio, ma che a mio avviso è una appartenenza che risulta complementare.
Se la riproduzione e la proliferazione di questi gruppi avviene in modo più o meno scisso, in cui i nuovi gruppi nascono dalle esperienze dei primi senza stravolgere il senso dell’organizzazione ma generando realtà autonome, meno scissa è il senso di appartenenza sia al gruppo sia alla Chiesa.
In questo momento in Italia ci sono ben ventinove gruppi di gay credenti distribuiti in tutto il territorio nazionale, attivi tutto l’anno e capaci di organizzare incontri periodici che vedono alcune decine di partecipanti fissi e piccoli eventi in collaborazione, in una sorta di rete che internet e le nuove tecnologie hanno permesso di sviluppare più facilmente.
Gruppi caratterizzati, da un punto di vista semantico, da nomi evocativi e con un forte richiamo biblico: la fonte, la sorgente, Davide e Gionata , la tenda, la rosa di Gerico, senfkorn, il guado, la scala di Giacobbe, e altri.
Questi gruppi, di cui il più antico (inizio anni 80) è “il Guado”, sono di solito fortemente radicati, anche se spesso non formalmente strutturati in associazioni, come “La Fonte”, organizzano incontri settimanali di natura spirituale (come letture bibliche e incontri di preghiera) e altre attività culturali, dove la religione e la spiritualità, se non sono affrontati come tema centrale rimangono visibilmente la cornice del tutto.
Dalla famosa rivolta di Stonewall , che festeggia il quarantesimo anniversario quest’anno, uno dei concetti imperanti nelle attività del movimento lgbt internazionale potrebbe essere sintetizzato dalla frase “la diversità è un valore”.
Nel percorso non sempre lineare e privo di difficoltà, una tra tutte la piaga dell’Aids che a metà degli anni ottanta ha fortemente messo in ginocchio il movimento lgbt, questa rivendicazione della diversità in termini conflittuali e antagonistici contro il matrimonio come espressione borghese e patriarcale della società e contro la famiglia come substrato capace di generare familismo liberticida, ha trovato voce in attività di accoglienza e auto aiuto.
Queste però spesso hanno corso il rischio di essere fortemente viziate dal dogmatismo militante: la visibilità come obbligo (il dovere del Coming out) come percorso obbligato di accettazione/provocazione; il sesso come arma di libertà perché svincolato da gabbie religiose; la decostruzione compulsiva delle relazioni di genere.
A partire da metà degli anni novanta, lentamente, anche in Italia, però qualcosa è iniziato a cambiare. Si è incominciato ad assistere al consolidamento dei primi gruppi di gay credenti, e delle attività che auspicavano un incontro e confronto tra religioni e omosessualità.
Si pensi ad esempio al campo “Fede e Omosessualità”, organizzato in seno alla Chiesa Evangelica Valdese, che ogni estate da trent’anni per una settimana riflette, medita e prega su questo tema.
Contemporaneamente a questo ambito legato ai gruppi gay credenti, il movimento lesbico, bisex, gay e trans (lbgt) secolare sembrerebbe aver superato la travagliata fase adolescenziale del conflitto ideologico: anche chi non crede nel matrimonio vuole avere l’opportunità di (non) sposarsi, riconoscendo indirettamente il valore stesso del matrimonio e della famiglia.
Sembrerebbe che dall’estremismo della “differenza è un valore” si stia passando a “l’uguaglianza è un diritto”. E la diversità? Siamo di fronte ad una strategia politica, o si tratta di un superamento o capovolgimento di fronte? Nessuno dei due. Cercherò di andare con ordine, evidenziando quegli aspetti in cui, la centralità della religione, ma soprattutto della religiosità degli omosessuali e delle lesbiche spesso non è considerata come un interessante specchio dei tempi.
Dapprima però non si deve dimenticare che questi gruppi di omosessuali credenti vivono il loro essere chiesa all’interno della Chiesa cattolica. Sebbene I gruppi confessionali stiano cedendo il passo a gruppi ecumenici, resta comunque fondamentale l’appartenenza cristiana e la vita dei gay che ne fanno parte all’interno delle parrocchie e della attività ecclesiali.
Le testimonianze dei gay credenti enfatizzano come l’incontro con il gruppo abbia permesso un rasserenamento e una presa di coscienza di sé. C’è chi vede nel gruppo di gay credenti la possibilità di giustificare la propria omosessualità in una ‘fede fai da tè’ che mette insieme l’incompatibile, ma dall’analisi che voglio proporre questa mi sembrerebbe una lettura superficiale e viziata.
Il gay credente che abita il gruppo di eguali non cessa il conflitto con le norme e la dottrina della Chiesa, ma trova nel gruppo ciò che la Chiesa oltre le dottrine sembrerebbe non dare, o per volontà o per paura: accoglienza, ascolto, amicizia, e la capacità di leggere quelle norme e dottrine non in solitudine e fuori dal segreto confessionale.
Nel gruppo di gay credenti l’omosessuale ritrova prima di tutto fiducia nell’essere chiesa, e trovando questa fiducia, ritrova la fiducia in se stesso. Una situazione in cui può essere così capace di accogliere quello che la dottrina auspica e rimettersi in dialogo con la propria fede.
Sembrerebbe poco, ma le chiese parrocchiali e le diocesi a riguardo, stando alle testimonianze dei gay credenti, fanno poco o nulla o addirittura sono ostili e poco accoglienti. Se nella vita secolare il discorso omosessualità sembrerebbe in via di sdoganamento e sempre meno un tabù, nelle chiese, fuori da certi ambiti privati, il discorso fa ancora paura.
Quel cambiamento che i movimenti gay politici e secolari hanno mutuato dai gruppi di gay credenti, ossia il cambiamento dell’agire e delle iniziative dal parlare di Omosessualità a parlare di “Persone omosessuali” (che non è una differenza da poco), la Chiesa sembrerebbe non aver ancora deciso di farlo, nonostante il titolo della “Lettera per la Cura Pastorale” che appunto fa riferimento alle persone omosessuali.
Parlare di persone omosessuali e nello specifico con persone omosessuali significa, prima di tutto, prendersi cura (I care), ma prendersi cura di qualcuno o qualcosa è una attività che sebbene può essere personale e privata ha necessariamente un risvolto pubblico e sociale. Finché l’omosessuale rappresenterà solamente lo stigma e il peccato, all’interno della Chiesa rischierà di non sentirsi mai a casa.
Una sensazione simile a quella che, in una situazione diametralmente opposta, molti omosessuali hanno provato entrando in contatto con quei movimenti politici abituati a proporre un modello di omosessualità militante, da cui appunto scappavano.
Un rischio che gli omosessuali credenti stessi ammettono sono certi appoggi delle chiese all’estirpazione del peccato omosessuale e del “disordine intrinseco delle relazioni” , attraverso percorsi di preghiera volti alla rifioritura, che altro non è considerato come accoglienza e ascolto ma solo l’accettazione, da parte del singolo omosessuale, del modello eterosessuale.
Non è il mio compito quello di trovare critiche e giustificazione ai motivi e le ragioni teologiche che soggiacciono, mi chiedo soltanto, alla luce di quelle legittime ragioni teologiche, se quella intrapresa dalle chiese, e in primis dalla Chiesa cattolica, alla luce delle attività ed esperienza dei gruppi credenti di omosessuali, è l’unica scelta possibile coerente con la dottrina e la tradizione.
Quelle poche volte in cui mi è capitato di essere ospite ad attività di gruppi di gay credenti ho sempre pensato che se un estraneo fosse entrato per caso nella stanza non avrebbe mai dedotto che si trattava di un persone omosessuali.
Si tratta di quella particolare e problematica differenza tra l’essere (e definirsi) omosessuali e il fare gli omosessuali. Una minoranza aprioristicamente invisibile, gli omosessuali, per la chiesa sembrerebbero visibili esclusivamente come persone che fanno, ossia che commettono peccato; ma poco come persone che sono, come se il fatto di essere qualcosa presuppone per forza delle azioni e dei fatti.
Eppure si tratta anche di persone che hanno trovato e sperimentato il loro modo di essere chiesa, vivono la propria fede, spesso riconoscendo anche il peccato, ma che forti di questa stessa fede e consapevolezza si ritrovano per pregare, per parlare con l’amico in modo “disinteressato”, cenare assieme, prendersi cura dell’altro e del suo benessere, interessarsi alla vita degli amici.
Ecco che allora per la chiesa, dagli stessi gruppi di gay credenti questa modalità pastorale e spirituale potrebbe essere ufficializzata come modello: voler veramente parlare di persone omosessuali, senza ipocrisie e pregiudizi, fa scivolare sullo sfondo l’omosessualità come peccato e come qualcosa di problematico senza rimuoverlo, e senza dimenticare la dottrina ufficiale, focalizza il reale interesse verso l’altro.
Eppure sembrerebbe che, la specificità della questione omosessuale abbia un qualcosa d’altro che è ancora uno spettro, un fantasma, difficile da rimuovere. Perché nella Chiesa, di fronte all’avanzare dell’individualismo, del consumismo e di altre teorie “secolarizzanti” spesso sono sorti gruppi ufficiali e/o parrocchiali di madri sole, padri divorziati e altro che al contrario suscitano sempre accuse di arretratezza e disinteresse nella chiesa ma mai sono stati appoggiati in modo ufficiale i gruppi per le persone omosessuali?
Eppure la Chiesa Italiana e illustri cardinali da metà degli anni ottanta avevano auspicato un superamento di questa specie di segregazione. Se una delle paure è fomentare dall’interno una corrente “omosessualista” nella Chiesa, il rischio opposto è di proporre solo il silenzio e/o la dannazione eterna, o soluzioni mistico-magiche, come un recente caso di esorcismo .
Eppure dai movimenti di gay credenti, che sorgono come esigenza autonoma, con a guida qualche sacerdote che spesso, chissà perché, si vede etichettato come prete gay, la Chiesa potrebbe rendesi conto di quanto i valori di cui si fa promotrice abbiano contaminato e modificato anche lo scenario del movimento lgbt, e quanto questo abbia influenzato positivamente la chiesa stessa.
Rivendicare il diritto a costruire una famiglia può essere un abominio per chi crede nella famiglia sacramento e dell’inesistenza di un diritto all’omosessualità. Se questo è vero teologicamente, socialmente (e sociologicamente) andrebbe considerato da un altro punto di vista.
Quando gli omosessuali rivendicano il diritto alla famiglia, che erroneamente è vista come “famiglia gay”, indirettamente hanno fatto proprio un valore che prima era negato nella sua essenza, un valore che sebbene relativizzato, è universale nella sua ragione esistenziale.
La Chiesa può decidere di condannare gli atti omosessuali, in base alla sua concezione di peccato, ma non può continuare a chiudere gli occhi di fronte ad una vittoria politica e culturale del valore di cui si fa per prima testimone nella società post-secolare.
La famiglia, come valore, nel contesto italiano è stata valorizzata e rinvigorita da questo confronto (spesso inutile tramutato in conflitto) tra movimenti laici per i diritti civili degli omosessuali e la gerarchia cattolica romana.
L’attacco alla famiglia, che ha suscitato la necessità di organizzare un happening nazionale, (si parla del Family Day) non c’è. Semmai, la necessità culturali e l’evoluzione dei costumi che vogliono chiamare qualcosa di diverso e nuovo, vanno ricondotte al modello originario, quello sarà sempre la cornice del tutto, il termine di paragone imprescindibile. Nel contesto secolare, fuori dalla dimensione ecclesiale la dicotomia convivenza/matrimonio, vive di entrambi i poli, e ma è il valore sociale del matrimonio ad essere rafforzato dall’unione civile, non l’unione civile a svalutare il matrimonio.
Il valore cristiano è vivo e in piena salute non grazie all’opposizione e l’arroccamento della chiesa ma alle forme evolutive del sacro e del sacralizzato nella società postmoderna. Sembrerebbe bizzarro per la Chiesa dire grazie al movimento lgbt, eppure dalle battaglie per il riconoscimento dei diritti delle coppie di fatto, vinte in tutta Europa tranne che in Italia, la forza del modello familiare oltre le ragioni economico-politiche proprie della tradizione italiana, è stata rinvigorita da questo doppio fronte che, guardando al di là delle differenti declinazioni, riconosce la centralità della famiglia nella società.
Spostando lo sguardo sull’altro fronte di appartenenza dei gay credenti, interessante è constatare come, in questi due decenni, questi gruppi cristiani, all’interno del movimento lgbt abbiano vissuto situazioni se non di vera e propria discriminazione, un ruolo in penombra.
In alcuni precisi casi si tratta di una scelta, poiché riuniti attorno alla volontà di qualche sacerdote interessato a svolgere un’azione pastorale e spirituale con persone omosessuali, questi gruppi non hanno intrapreso un cammino di razionalizzazione e istituzionalizzazione, lasciando l’attività politica nel movimento laico alla scelta del singolo.
Questi gruppi sono sorti come “luoghi dell’anima” che, come recitano diversi siti web di queste gruppi e comunità, principalmente mirano alla rimozione della solitudine dei gay credenti e la possibilità di avere un luogo di preghiera, incontro e confronto, per gli omosessuali e per la Chiesa intera. L’obiettivo primario non era e non è quello di costruire un ghetto nel ghetto, ma di abitare la Chiesa, alla luce del sole.
Forse si tratta di rivoluzionari o indisciplinati cattolici, ma forse si tratta semplicemente di credenti, riuniti da un comune sentire o forse da qualche esperienza di discriminazione o di difficoltà nella società e nelle chiese di origine, ma soprattutto uniti da una profonda solitudine, spirituale e sociale. Una solitudine che lentamente è stata sconfitta. Infatti, recentemente, i gruppi gay credenti sono diventati testimoni di veglie contro l’omofobia, che sebbene trovino ospitalità quasi sempre solamente in chiese evangeliche progressive, sono riuscite ad essere appuntamenti conosciuti e partecipati non solo dal ristretto gruppo di gay credenti e dei loro amici.
Si tratta di incontri e momenti prevalentemente ecumenici, che aprono le porte della chiesa al mondo e sul mondo, portando prevalentemente testimonianza in un mondo, quello lgbt, abbastanza ostile al sentire religioso.
Incontri di preghiera e di fiducia non caratterizzati da un esigenza di conflitto con le gerarchie e la Chiesa, ma una posizione di dialogo e ascolto, spesso purtroppo non corrisposto.
Dalle catacombe, passando per la penombra, i gay credenti e i loro gruppi hanno finalmente trovato il loro posto al sole, un posto riconosciuto e libero da dogmatismi politicizzati, un ruolo di testimonianza evangelica e di rispetto delle posizioni.
Senza la pretesa di sostituirsi al mondo, imponendone la propria visione, ma vivendo l’anima del mondo, con la loro doppia e conflittuale appartenenza, i gay credenti hanno dato e stanno permettendo l’emersione di una piena cittadinanza dell’identità omosessuale, non condannandosi ad una vita senza Dio, dimenticando Dio.
Il catechismo della chiesa cattolica riconosce l’omosessualità come una tendenza “innata” (versione del 1992) o “fortemente radicata” (versione del 1997) nella persona.
Il cambiamento di quella parola nell’articolo 2358 può suscitare un’ulteriore riflessione poiché la sostituzione di quel termine e della frase successiva possono far sorgere dubbi. Accogliere con rispetto e delicatezza è un atteggiamento che vive nel considerare l’altro così come è, o si manifesta nell’aiutare l’altro a sradicarsi da quello che è?
Educare, dal latino educere – tirar fuori – ha il senso di far emergere, aiutare a tirar fuori; ma spesso per molti gay cattolici la sensazione è che la chiesa voglia rimuovere, portar fuori per eliminare.
Le chiese stanno creando quelle condizioni perché l’altro, il diverso o spesso come si considerano gli stessi credenti omosessuali, gli ultimi, siano sostenuti nell’arduo compito di relazioni vere, capaci di dare un senso all’esistenza senza fossilizzarsi sulla variabile “orientamento sessuale”? Assumendo che i comportamenti omosessuali sono peccato, come sono peccato in modo differente altri atti sessuali al di fuori del matrimonio, la Chiesa riconosce la capacitò degli individui di sperimentare il valore relazionale oppure conta soltanto l’aspetto genitale dell’esistenza?
Guardando la lunga esperienza dei gruppi gay credenti sembrerebbe che alla chiesa ufficiale dell’omosessuale interessai solo il peccato e che il peccato appiattisca il resto, condanno il peccato, e non essendoci spazio per altro, il credente omosessuale nella e dalla chiesa riceve solo una condanna e il dovere e obbligo al cambiamento.
Se questi gruppi hanno permesso una lenta capacità nella Chiesa di parlare un po’ meno sottovoce di omosessualità in ambienti e contesti ufficiali, la situazione in Italia, nei media cattolici e nelle grosse manifestazioni pubbliche sembrerebbe ancora immutata e ferma da decenni.
La testimonianza di un prete gay a questo punto mi pare significativa: agli omosessuali i confessori sembrano voler dire… se non hai un compagno…se hai delle cadute…puoi risollevarti, pentirti e andare avanti. Però se non è così, se hai un compagno vero, neanche l’assoluzione ti viene concessa .
Se un rapporto affettivo stabile diventa una “perversità intrinseca”, una condizione malvagia, la confusione del piano sessuale con quello relazione e affettivo può avere effetti laceranti, soprattutto in un giovane.
Dalla realtà dei movimenti gay credenti le chiese possono ricavarne un modello operativo pastorale e di relazione con le persone omosessuali che realmente si prenda cura di loro e della loro fede.
Prima di tutto il discorso sull’omosessualità e quello sulla famiglia vanno radicalmente separati. La ricca esperienza dei gay credenti dimostra come questi siano stati capaci nei loro gruppi di separare omosessualità da omoerotismo e da questi due far emergere la forza dell’omosocialità, il gruppo di pari.
Se omosessualità è la condizione problematica, la questione irrisolta, il disturbo da medicalizzare; se l’omoerotismo è il desiderio proibito, il peccato da non commettere; l’omosocialità può essere quella dimensione relazionale disinteressata e feconda che nella Chiesa può essere capace di pacificare l’omosessualità e permettere la risposta alla chiamata della castità, che la Chiesa individua come la propria via giusta.
In secondo luogo, questo permetterebbe alla Chiesa – in coerenza con la sua teologia e tradizione – di smarcarsi da quell’atteggiamento omofobo di cui spesso è stata accusata.
Per concludere, nello scenario della ‘credenza senza appartenenza’ in un contesto multiculturale e secolarizzato come l’Italia contemporanea è fondamentale questo sguardo a queste zone liminali, in cui i contrasti etici e culturali del nostro tempo sembrerebbero trovare una via per l’evoluzione, l’integrazione e la risoluzione.
I movimenti gay credenti, se non al centro dello scenario politico per la rivendicazione dei diritti di cittadinanza degli omosessuali, hanno avuto un ruolo centrale in tre aspetti:
i) nel mantenimento di valori cristiani e di una morale sessuale in un contesto avverso, proponendosi come alternativa a certi estremismi della rivoluzione sessuale. Valori e morale che, sebbene relativizzati, fanno riferimento ad un modello universale di coppia monogama e fedele fondata su un amore romantico; amore che potrà anche essere debole, ma che rimane comunque amore.
ii) hanno permesso alla chiesa di non arroccarsi in posizione estreme, ma nelle loro forme non istituzionalizzate, sono stati una delle modalità in cui l’essere cattolico ha potuto esprimersi, non trovando spazio nelle modalità tradizionali di parrocchie e diocesi.
iii) permettono di evitare, abitando un doppio scenario, uno scontro di valori che non sono diversi nella sostanza ma nella forma. La vita quotidiana in Italia è fatta, anche per i non credenti, di riferimenti culturali cristiani, uno scontro di quella vastità sarebbe stato se non destabilizzante, per l’ordine, lentamente digeribile e molto più generatore di arrocchi ideologici più di quanto già successo.
Il secondo, sociologicamente parlando, è l’aspetto più interessante, perché, per chi è interessato a studiare appartenenza, credenza, religiosità nel nostro tempo, permette di evidenziare le modalità in cui memoria, adesione e identificazione trovano, nei comportamenti dell’individuo e nelle loro azioni razionali quei meccanismi causali che permettono alla società di stare insieme e rispondere alle sfide culturali. La religione coinvolge credi, pratiche che danno per assodata l’esistenza di una essenza sovrannaturale o di un ambito da ritenere sacro.
L’ipotesi omosociale qui abbozzata, che fonda la sua forza sulla relazione “singolo-gruppo” andrebbe studiata e verificata approfonditamente sul campo.
Di sicuro si tratta di una risorsa che permette a tanti individui di definirsi cristiani e cattolici e omosessuali allo stesso tempo, senza eludere i dilemmi generati dalla spinta dei desideri e sentimenti da un lato e del rispetto di norme e valori dall’altro, ma permettendo un cammino di fede, meno conflittuale, perché meno solo. Una solitudine che le Chiese, attraverso l’istituzionalizzazione dell’omosocialità come meccanismo pastorale, potrebbero allentare.
In ultimo, individualismo, soggettivismo e relativismo danno all’individuo la possibilità di scegliere la propria fede in un mercato religioso infinito; la volontà dei credenti omosessuali di non rinnegare la chiesa di appartenenza impreziosisce ancora di più la natura del credere e dell’appartenere.
Il sacro e la fede appaiono come una qualcosa che possiamo studiare, analizzare, interpretare. Possiamo forse imparare a raggiungere il “Come” gli individui credono, a cosa credono e come si relazionano al Sacro, ma il senso profondo del “Perché” di quel credo e di quel sacro non sarà del tutto prendibile, frutto della diversità di ogni esperienza umana e della natura stessa di quella che gli individui chiamano fede.
Bibliografia
– [Ital.] Catechismo della Chiesa cattolica, ed. 1997, ed. 1992.
– [Ital.] Congregazione per la Dottrina della Fede:
Homosexualitatis Problema, Cura pastorale delle persone omosessuali, 1 .10.1986.
Persona Humana, Alcune questioni di etica sessuale, 29.12.1975.
– Grenz, Stanley J., Sexual ethics : an evangelical perspective, Louisville, Ky. : Westminster John Knox Press, 1997.
– Introvigne, Massimo, The Future of Religion and the Future of New Religions, http://www.cesnur.org/2001/mi_june03.htm.
– Pearson, Joseph A., Christianity and Homosexuality Reconcilied, 2000, http://www.cebiaz.com/book/.
– [Ital.] Pezzini, Domenico:
Le mani del vasaio. Un figlio omosessuale, che fare?, Milano, Italy, Ancora, 2004.
Alle porte di Sion, Voci di Omosessuali Credenti, Saronno, Italy, Editrice Monti, 1998.
Associazionismo ed accoglienza nella Chiesa, in “Famiglia Oggi”, n.47, sett-ott 1990, pp. 45-53.
Cristiani e omosessuali: la sofferenza dei credenti, in “Rocca”, 01.08.1982 .
– [Ital.] Politi, Marco, La confessione, Un prete gay racconta la sua storia, Roma, Italy, Editori Riuniti, 2000.
– Rudy, Kathy, Sex and the church: gender, homosexuality, and the transformation of Christian ethics, Boston, Mass : Beacon Press, c1997.
– Selling, Joseph A., Embracing sexuality : authority and experience in the Catholic Church, Aldershot : Ashgate, 2001.
– [Ital.] Simmel, George, Individuo e gruppo, Roma, Italy, Armando Editore, 2006.
– Stuart, Elizabeth, Gay & Lesbian Theologies, Repetitions With Critical Difference, Aldershot: Ashgate, 2003.
– Stuart, Elizabeth; Edwards, Malcom; et al. Religion Is a Queer Thing. A Guide to the Christian Faith for Lesbian, Gay, Bisexual and Transgendered Persons, Piligrim Press, 1998.
– Thumma, Scott, Negotiating a Religious Identity: The Case of The gay Evangelical, in “Sociological Analysis, 1991, 52:4, pp. 333-347.
– Yip, Andrew K. T., Attacking the attacker: gay Christians talk back, in “The British Journal of Sociology, Vol. 48, No. 1, (Mar., 1997), pp.113-127.
Testo originale: Italian Gay and Lesbian Believers: Fissiparous Belonging or Clash of Values? (file pdf)