Gay in Italia. Diversamente Uguali, tra anatemi e teoremi
Intervista a Franco Caldera del Centro Studi e documentazione “Castellano” di Torino, 3 luglio 2013
“Gay: Diversamente Uguali, tra anatemi e teoremi” è il suggestivo titolo del dibattito a più voci organizzato dal Centro Studi e documentazione “Ferruccio Castellano” di Torino che, da poche settimane, sta riversando online una selezione di documenti tratti dai 253 faldoni del suo Archivio documentale che raccontano la molteplice e variegata realtà omosessuale italiana ed europea, la sua evoluzione negli anni 70-80 del novecento e sopratutto il complesso rapporto tra fede e omosessualità.
L’archivio custodito dal Centro Castellano di Torino racconta, forse, una storia minore ma che può farci toccare con mano il lento cambiamento in corso nella società italiana, anche se essere omosessuali in Italia ancora non è una cosa semplice, e se questo s’intreccia con la fede tutto diventa ancora più complicato.
Ecco perché il Centro Castellano ha invitato un docente di Sacra scrittura, un genitore dell’AGEDO e un politico impegnato nelle battaglie per i diritti gay a confrontarsi insieme, Domenica 7 luglio 2013, al Castello medioevale di Cisterna d’Asti (ASTI), per capire perché oggi essere omosessuali significa vivere come “Diversamente Uguali, tra anatemi e teoremi”.
Abbiamo chiesto a Franco Caldera, organizzatore e moderatore di questo dibattito a più voci, di volerci illustrare questa nuova iniziativa del Centro Studi e documentazione Castellano di Torino.
Questo incontro é stato fortemente voluto da una sorta di consorzio tra: Cittattiva, Museo Arti e Mestieri (etnografico) di Cisterna d’Asti e il Comune di Cisterna d’Asti. Stiamo parlando, nella realtà dei fatti, di un manipolo di persone che cercano di offrire alla cittadinanza momenti di approfondimento culturale e dibattito Un dibattito che vede insieme tra relatori d’eccezione:
– Don Gianluca Carrega: un giovane sacerdote (docente di Sacra Scrittura presso la facoltà Teologica di Torino) che ha preso il posto di Don Valter Danna nelle relazioni tra Diocesi di Torino e mondo GLBTQ. Occorre dire che “in itinere” Don Valter Danna è diventato Vicario generale dell’attuale Vescovo Mons. Cesare Nosiglia e quindi, pur seguendo ancora le nostre vicende, per la partecipazione a gruppi, incontri pubblici e non, iniziative di formazione etc. ha delegato il Don Gianluca.
Sostanzialmente, visto che lui prenderà la parola rappresentando anche (ma non solo) coloro che sembrerebbero voler ancora lanciare “anatemi” per difendere una concezione di mondo, società, relazioni informata a valori che ben conosciamo, gli abbiamo chiesto di dirci se ci sono dei segnali di cambiamento, delle aperture verso una visione più “attuale” e condivisa.
– Ivan Scalfarotto. A lui abbiamo chiesto di dare voce ai “teoremi della politica”, sullo stato dell’arte, le resistenze fuori ma anche dentro le principali forze riformatrici di questo Paese. A che punto siamo sulla questione dei riconoscimento delle unioni di fatto etc. Tutto mentre gli attacchi che vengono rivolti sembrano voler dire “di qui non si passa”, a chi si batte da anni per il riconoscimento di quei “certi diritti” che inspiegabilmente vengono ancora rappresentati come una minaccia.
– Anna Ceravolo dell’Agedo Torino. Il suo è il punto di vista di una associazione il cui contributo è stato ed è molto significativo in quanto “striscia di Gaza” dove le contraddizioni del mondo definito secondo il rigido schema eterosessulità/omosessualità dimostrano che c’è un altro modo di approcciare la materia. Lo sguardo critico dei genitori che si sono ripresi i loro figli omosessuali, e aspettano, tutti insieme, delle risposte concrete. Al termine delle relazioni ci sarà uno spazio per domande, interazioni tra i convenuti e dibattito.
Ma quali riflessioni saranno il filo rosso del contendere tra i relatori di “Diversamente Uguali, tra anatemi e teoremi”
In questo Paese a forza di leggere, parlare, confrontarci, incontrarci e dibattere (in ogni forma immaginabile) si sta formando/diffondendo la convinzione che i membri della comunità LGBTQ siano, sul piano dei diritti, uguali a qualunque altro cittadino in quanto portatori di una uguale dignità di persone.
Aggiungiamo che questa “uguaglianza” (desiderata, auspicata, lottata, rischiata, a volte nemmeno creduta e sentita) che significa poter sedere nell’agorà, poter prendere la parola senza doversi scusare per il solo fatto di esistere, non dovrebbe diventare un baratto sociale: inclusione in cambio di uguaglianza intesa come rinuncia ad una propria specificità – che, se è veramente tale – non può essere appiattita, livellata e resa gradevole al consumatore.
Vogliamo chiederci se le persone GLBTQ, riusciranno a stare sempre di più, in maniera sempre più visibile, pacifica e costruttiva nei vari contesti sociali?
Svelato l’inganno del pregiudizio si potrà affermare, gradualmente, una immagine pubblica delle persone omosessuali che renda loro giustizia?
L’auspicio che vorremmo portare è ovviamente un SI, e se da una parte la dimensione relazionale, la famosa rete che ciascuna persona costruisce attorno a sé costituisce l’humus dove piantare altre questioni in termini più politici e civili, i soggetti con i quali facciamo i conti, volendoli raggruppare simbolicamente in due grandi aree, sono quelli che si manifestano a suon di anatemi e teoremi e nel dirlo ci mettiamo anche una certa quale ironia.
Perché ci vuole un poco di ironia nei confronti di giudizi e condanne pesanti (come degli anatemi) che gettano veramente poca speranza sulla vita delle persone. E’ difficile parlare di una organizzazione complessa e cosmopolita come la Chiesa ed è altrettanto rischioso volerla considerare esclusivamente quale regolatrice di quel privato ed intimo rapporto che coinvolge il credente e Dio.
Nei fatti la fede (di qualunque ispirazione, cristiana o meno che sia) dovrebbe poter illuminare l’esperienza umana nel senso più profondo, cioè consentire di dare/darsi qualche risposta alle inevitabili domande di senso che riguardano l’uomo e la sua esistenza. Purtroppo, molte volte, prevalgono le risposte e le ricette collaudate, quelle che non mettono a rischio la credibilità dello chef e trovano, comunque le si cucini, copiosi consensi.
E qui, se si attinge ai documenti ufficiali del Magistero, alle prese di posizione pubbliche nei riguardi dei numerosi Paesi europei (e non solo) dove sono state emanate leggi che riconoscono -per esempio – le unioni gay, non sfuggirà che, le posizioni espresse e divulgate sono visibilmente preoccupate e segnate da una questione mai risolta (in quanto irrisolvibile va detto!) “ come non maltrattare troppo i gay senza includerli?”
Perché quando non si può più condannare “a buon mercato” l’immorale, l’essere deviato sessualmente e dai comportamenti riprovevoli, allora si, che può essere utile caricarlo di una responsabilità simbolica enorme.
Se cadrà il pregiudizio nei confronti delle persone omosessuali e le loro relazioni affettive venissero riconosciute per quello che sono ci troveremmo di fronte ad una nuova rivoluzione (dopo quella sessuale, del femminismo, dei contraccettivi).
E la parte più ostile e conservatrice della Chiesa, che poi abita anche la società e la politica, segnala che se si mettessero sullo stesso piano le famiglie “tradizionali” e quelle che si vogliono equiparare alle tradizionali per servilismo ideologico, la nostra società andrà incontro a disgregazione e fenomeni degenerativi.
Il pericolo più probabile e credibile, diagnosticato da molti osservatori, si chiama in realtà cambiamento o trasformazione o evoluzione. Insomma un fenomeno che si ripresenta ciclicamente sotto vesti nuove ma che nella sostanza dovremmo un poco avere imparato a riconoscere.
Questo fenomeno – peraltro non è certo un guaio solo per una parte (piccola o grande che sia) della Chiesa italiana ma è anche espressione dei “teoremi” di parti politiche che hanno cercato, con fatica, d’immaginare una società senza omosessuali (o con omosessuali invisibili) o con omosessuali integrati “al minimo dei diritti”.
“Fede cristiana e omosessualità”, perché il Centro Castellano ha scelto d’indagare queste due realtà ritenute, ancora oggi, antitetiche?
Ci siamo trovati più di una volta a riflettere con amici (il teologo Giannino Piana, Don Ermis Segatti a volerne citare un paio) chiedendoci se il pregiudizio anti-omosessuale si sia radicato prima in ambito laico, inserendosi nelle mitologie fondative di questa e quella cultura o se le religioni abbiano ripreso e tematizzato in chiave religiosa quei pregiudizi, rafforzandone i valori simbolici, per indicare chiaramente ciò che è bene e ciò che non lo è.
Sembrerebbe che la questione sia molto vicina al domandarsi, tra l’uovo e la gallina a chi abbia preso forma prima. Ed è da questa prospettiva che il Centro Studi Castellano cerca di mantenere un focus, un proprio interesse entro la dialettica tra fedi – religioni – omosessualità e, dunque, le visioni di società e se si preferisce di umanità ipotizzate, quando entrano nel dibattito civile, lo condizionano, lo orientano o lo disorientano ci devono in qualche modo interessare e riguardare.
Non ci sembra prioritario stabilire dei primati: quella religione, quella scuola di pensiero, quel filosofo; alla fine, siccome il Centro Studi nasce comunque da una storia di gruppo di base, osservando il precipitato di ciò che accade, gli effetti concreti e riscontrabili sulla vita delle persone riteniamo che di lì si possa partire per un’analisi ed un approfondimento critico su fenomeni più articolati e complessi.
Il tema della fede è relativamente recente da un punto di vista mediatico. Io partecipati ad uno dei primi convegni sul tema “fede e omosessualità” presso la Cittadella di Assisi.
Ferruccio Castellano aveva lavorato intensamente per preparare e rendere possibile un evento unico per la Chiesa italiana: il primo convegno nazionale dei gay credenti presso la Cittadella in Assisi nel marzo 1982 in collaborazione col gruppo milanese del Guado. Per questa iniziativa seminariale Ferruccio non si era risparmiato e aveva cercato di coinvolgere nomi importanti: il teologo americano McNeill, Giannino Piana, Baget-Bozzo, aveva cercato contatti con il mondo dell’associazionismo e della politica.
Le uniche adesioni furono il Gruppo Abele, Don Giannino Piana e Pax Christi che, pur se nata da nobili intenti era abbastanza lontana dall’orizzonte culturale che si andava delineando per quel convegno. Il convegno si tenne con un discreto numero di partecipanti e non pochi monaci furono impegnati a lasciare i giornalisti fuori dalla porta.
Dopo l’edizione 1982 fuori dalla porta rimasero poi anche i partecipanti e gli organizzatori del convegno: nell’immediato furono fornite motivazioni generiche sulla impossibilità ad ospitare iniziative di quel tipo.
Solo a distanza di anni fu riferita la realtà: qualcuno “dall’alto” era intervenuto per arginare lo scandalo destato dalla presenza di omosessuali all’interno di una istituzione cattolica.
Il tema però in Italia non è del tutto nuovo. Il movimento dei gay credenti in Italia che a mio modesto parere è legato al nome di Ferruccio Castellano, si può dire che veda la luce tra la fine degli anni ’70 – inizio anni ’80.
Quello che stenta a passare ancora oggi è una delle intuizioni che Ferruccio ebbe fin dall’inizio del suo impegno intellettuale e di militante. Cito testualmente una parte di uno scritto del 1980 ed è il discorso di apertura del Campo “Fede e Omosessualità” presso il centro ecumenico di Agape (13/15 giugno 1980)
“Fede cristiana e omosessualità”: perché, giustamente ci chiediamo, questi due soggetti ? Perché questo confronto fra la fede cristiana e l’omosessualità? Quale rapporto può esserci fra la fede e la sessualità? Secondo me ecco ciò che dovrebbe risultare ben chiaro alla fine di questi giorni: che la fede e la sessualità, e più precisamente, la fede cristiana e l’orientamento sessuale costituiscono due realtà indipendenti.
E’ solo così che noi potremo stabilire che la fede non è né omosessuale né eterosessuale ed è solo da ciò che potremo affermare la possibilità di una comunione fraterna tra credenti che hanno un orientamento sessuale differente. Solo così ci sarà possibile rispondere affermativamente alla domanda: “l’omosessuale è mio fratello?” Oppure: “l’eterosessuale è mio fratello?”.
Ancora oggi, quando si organizza un dibattito su fede ed omosessualità si parte comunque e comprensibilmente da un preambolo che – a parere di molti – può e deve essere superato: l’apparente inconciliabilità tra l’essere credente ed essere omosessuale.
Ferruccio Castellano, a cui è cui intitolato il Centro studi su “Fede, religione e omosessualità” di Torino, aprì un filone di ricerca che portò a considerare la fede non come uno strumento di colpevolizzazione o di penitente rinuncia ad una vita ispirata a valori evangelici.
La fede poteva e può avere una funzione maieutica. Può aiutare le persone GLBTQ a “venire fuori” e a trovare una propria collocazione, a riconoscersi in valori condivisibili, ad affermare la propria dignità e la propria volontà di esserci e non proprio come dei soggetti marginali o che debbano scusarsi per.. cosa??
Alcune parti della Chiesa, anche quella istituzionale, ne stanno prendendo atto, qualcuno sta facendo qualche passo significativo, qualche Diocesi inizia a dialogare.
I gay credenti Italiani, anche se non sono una realtà così nota o che si manifesti pubblicamente con iniziative di grande impatto, la loro parte la stanno facendo e a livello nazionale cominciano ad essere una rete di gruppi che si incontrano e si scambiano esperienze.
C’è da augurarsi che la presenza, o se si preferisce la ostinata permanenza, di questi gay credenti entro gli incerti confini di una ecclesia che un po’ ti accoglie e un po’ ti respinge, aprano la strada ad un coming-out più generalizzato che consenta a tutte e a tutti di riscrivere significati profondi e importanti che riguardano la sessualità, il corpo, gli affetti e le relazioni.
Per una società e una Chiesa più inclusive pensiamo si debbano frequentare quei territori. E chissà che attraverso il solito contributo delle minoranze che guardano la realtà con occhio necessariamente differente rispetto a quello delle maggioranze tutelate e riconosciute, si possa andare, tutti insieme, un poco avanti.
Quale può essere il contributo del Centro Studi “Castellano “ di Torino a questo faticoso dialogo tra “Fede, religione e omosessualità”?
Personalmente (ma ancor più come Centro Studi) ci impegneremo per poterne offrire altri di momenti di confronto come questo. Noi ci proviamo perché pensiamo – tra l’altro – che la nostra militanza o impegno politico o mission istituzionale sia un poco questa.
Se attraverso il progetto Gionata trovassimo degli amici, dei compagni di viaggio che ci volessero semplicemente sostenere e/o dare una mano a pensare a dei progetti ed iniziative anche di respiro non squisitamente locale, certamente sarebbe un ulteriore passo verso quel fare rete, pensare insieme ma non uguale, che a mio parere male non farebbe al movimento italiano dei gay credenti e al movimento di liberazione più globalmente inteso.