Essere gay e transgender in Giamaica. Tra violenza e pregiudizio
Intervista di Nick Chester a Tiana Miller pubblicata sul portale Vice (Stati Uniti) il 7 agosto 2013, liberamente tradotta da Giacomo Tessaro
La scorsa settimana a Montego Bay, in Giamaica, il sedicenne Dwayne Jones è stato ucciso a colpi di pistola e di coltello per essersi presentato a una festa in abiti femminili. Pare che Dwayne fosse transgender e il suo omicidio ha evidenziato una volta di più la terribile realtà in cui deve vivere la comunità LGBT giamaicana. È veramente terribile, cazzo.
Nel 2006 la rivista TIME ha definito la Giamaica “il luogo più omofobo del pianeta”: sono ben documentati i sentimenti anti-gay che trasudano dai media del Paese e dal suo genere musicale più popolare, la dancehall. Uno dei maggiori quotidiani giamaicani, il Jamaica Gleaner, pubblica regolarmente articoli sulla comunità gay in tono omofobo. Lo scorso mese ha riportato il caso di un gruppo di uomini cacciati da una casa abbandonata definendolo “clan gay” e, in un articolo di commento, ha deriso l’idea che si nasca gay, perché chi è attratto dallo stesso sesso è perché lo ha deciso coscientemente, proprio come qualcuno decide di “mangiare lumache (come i francesi)” oppure “il frutto della giaca”.
A seguito dell’omicidio di Dwayne mi sono messo in contatto con Tiana Miller, una transgender che spera, con la sua apertura sulle questioni di genere e della sessualità, di ispirare qualcun altro a essere coraggioso come lei.
Ciao Tiana. Cominciamo dall’inizio: a che età hai capito di essere transgender?
Avevo circa cinque anni quando cominciai a ragionare come una donna. Poco per volta arrivai a capire che mi sentivo più a mio agio in un corpo femminile. Non è stato facile: pensavo di stare facendo qualcosa di sbagliato a causa delle norme sociali del mio Paese.
– La famiglia e gli amici ti hanno spalleggiata?
Sì, molto, soprattutto mio papà.
– Molto bene. Cosa ne pensi della società giamaicana? Sei d’accordo che sia “il luogo più omofobo del pianeta”?
Sì, sono d’accordo. Dobbiamo affrontare molte sfide legate alla sopravvivenza, al lavoro, all’istruzione, trovare un posto dove vivere. Al liceo mi è andata bene perché non mi ero ancora trasformata, ma ora è più difficile: mi piacerebbe andare all’università, ma non posso, non me lo permetterebbero.
– È terribile. Immagino che i gay in Giamaica siano economicamente svantaggiati se non possono ottenere un buon titolo di studio o trovare un lavoro.
Sì, sono obbligati ad essere poveri. I più fortunati sono quelli che trovano partner ricchi a cui possono dedicare la vita.
– Ci sono stati alcuni casi di brutalità commesse dalla polizia verso le persone gay in Giamaica, di cui si è parlato molto. Pensi che la polizia protegga le persone transgender come sarebbe loro dovere?
Assolutamente no. Le transgender vivono per strada e la polizia (che dovrebbe proteggerle) le vessa e dà loro la caccia a causa del loro stile di vita.
– Vivere per strada è un problema comune per le transgender?
Sì, sono senzatetto perché fanno fatica ad avere un reddito, ad affittare una casa, ad individuare case sicure in cui vivere.
– Sei mai stata aggredita fisicamente?
Sì, ma sono corsa via, quindi non ho avuto molti danni. Naturalmente, però, è stato traumatico.
– Intuisco che ci sono molte aree in cui gay e transgender non possono mettere piede.
Ovviamente sì, per esempio tutte le baraccopoli.
– Ci sono state aggressioni omofobe orribili in Giamaica. Mi ricordo di aver sentito di un attivista gay assassinato, sul cui cadavere la gente ha poi festeggiato. Non hai paura per la tua sicurezza?
Sì, certo. Corro molti rischi, ma sono anche consapevole di quanto siano feroci questi homo sapiens omofobi.
– Sono in molti ad avere il coraggio di essere aperti sulla loro sessualità?
Le comunità gay e transgender non sono unite, perché le persone temono per la propria vita, quindi poche si sentono parte di queste due comunità.
– Ti consideri coraggiosa per la tua apertura?
Sì, sono coraggiosa. Se desidero vedere un cambiamento, sono io che devo ispirarlo. Devo uscire là fuori, farmi vedere, perché la gente veda che noi transgender esistiamo, che siamo persone normali che cercano di vivere la loro vita quotidiana come ogni essere umano. C’è bisogno di persone come me, che vogliano sfidare questo Paese e il suo governo.
– I media spesso danno la colpa alla cultura dancehall per l’omofobia in Giamaica: cosa ne pensi?
Penso che il più grosso contributo venga dalla Chiesa e dalla sua etica sociale, che ti dice cosa è giusto e cosa è sbagliato. Mi stupisce moltissimo vedere quanto possano essere crudeli gli esseri umani, vedere i pregiudizi che hanno perché la Chiesa dice che siamo demoni, e ci sputa addosso invece di starci vicina.
– Sì, non sembra molto logico.
Vero? Ma, a dire il vero, non me ne frega proprio niente.
– Quindi suppongo che non ci sia molta vita notturna LGBT dove vivi, vero?
Be’, c’era, ma ora non più, ci sono solo locali normali che ci affittano.
– Pensi che la Giamaica troverà mai il tempo di cambiare le sue leggi antisodomia e avere un punto di vista più moderno sull’omosessualità?
Be’, sembra che sia sul punto di farlo.
– Perché sta crescendo la cultura gay o per le pressioni da parte di altri Paesi?
Tutt’e due. Ma solo il tempo lo potrà dire e non mi piace fare previsioni.
– Come ti vedi in questa battaglia?
Mi vedo come la prima transgender che fa l’ambasciatrice del mio Paese. Voglio difendere i diritti umani, essere una coreografa femminista e un mucchio di altre cose.
– Ottimo. Grazie Tiana.
Testo originale: Being Trans in Jamaica Sounds Even Worse Than Being Gay in Jamaica