Gene Robinson, il vescovo gay più famoso del mondo si racconta
Testimonianza di Gene Robinson tratta da In the Eye of the Storm (Nell’occhio del ciclone), già edito da Times On Line del 29 aprile 2008, tradotto da Fabio
Il vescovo anglicano Gene Robinson, diventato famoso per essere il primo vescovo anglicano dichiaratamente gay, ha scritto un libro dal titolo In the Eye of the Storm (Nell’occhio del ciclone) in cui spiega perchè ha voluto formalizzare la sua relazione con Mark, che dura ormai da vent’anni, e in cui scrive: “provo gioia se penso che da qualche parte … c’è un ragazzo gay o una ragazza lesbica che leggeranno … e sapranno che anch’essi possono aspirare a una intera vita insieme a una persona del proprio sesso – e che non devono affatto rinunciare alla loro fede.
Potrà accadere anche a loro di mettere insieme sessualità e spiritualità in un modo che tende alla felicità e alla crescita spirituale. Come me, anche loro potrebbero aver sempre sognato di essere “spose di giugno”. Ma al contrario di me, sapranno molto prima che è possibile”.
“Ho sempre desiderato essere una sposa di giugno”. Non appena queste parole mi uscivano di bocca, sapevo che avrebbero causato qualche problema. Ho appena tenuto una conferenza di un’ora sulla relazione fra religione e temi di pubblico interesse, e sul perchè il fervore religioso sull’omosessualità gioca un così pesante e negativo ruolo sul godimento dei pieni diritti civili dei gay.
Durante lo spazio finale per le domande, qualcuno mi ha chiesto dell’imminente unione civile fra me e Mark, il mio compagno da vent’anni. Il pubblico è stato accogliente ed empatico, pieno di sorrisi e comprensione, e per un momento ho dimenticato che c’erano le telecamere e che ogni parola sarebbe stata analizzata dai miei critici.
Entro poche ore, queste mie parole avrebbero fatto il giro del mondo, grazie a bloggers conservatori e alla magia di internet. Senza contestualizzare; senza riportare alcuno dei commenti attentamente costruiti nel corso di un’ora; nulla sulla mia difesa e del mio amore per le Scritture; nulla sul mio amore per Dio a cui tendo costantemente. Solo questa frase.
Sicuramente nessuno pensa che potrei indossare uno strascico o abbellire la mia testa con dei fiori. Ma sospetto che tanti non sono a loro agio nel sentirmi usare la parola “sposa” – una parola che in passato associava la donna ad una proprietà.
Per molti secoli il matrimonio era un trasferimento di una proprietà (la sposa, appunto) fra un uomo (il padre) e un altro uomo (lo sposo), in qualche caso accompagnato da una dote o da un prezzo.
Chiamare me stesso “sposa” è offensivo perchè relega un uomo “privilegiato” allo stato di una donna? Sono il primo ad ammettere che sarebbe stato meglio non pronunciare quelle parole, non perchè esse non sono vere, ma semplicemente perchè danno alle forze conservatrici qualcos’altro da usare contro di me. Ho detto una cosa stupida, e avrei dovuto saperlo.
Ciò che avrei dovuto dire sarebbe stato: “I gay e le lesbiche crescono con le stesse speranze delle altre persone – di celebrare il loro amore con famiglie e amici, chiedendo il loro aiuto per il fedele, monogamo, duraturo e santo impegno che stanno prendendo. Anch’io ho sempre aspettato questo giorno”.
Dovete però sapere che sono reminiscente degli anni e anni in cui autocensuravo ogni cosa che dicevo, per non far trapelare il fatto che ero gay. Le persone gay e lesbiche apprendono fin dall’infanzia a filtrare ogni singola parola prima di esprimerla, estromettendo ogni cosa possa indicare ciò che sono realmente dentro.
Lo so per esperienza diretta, e per l’esperienza di tanti altri, che questo è un esercizio di auto alienazione. In un nanosecondo noi sentiamo nella nostra mente ciò che stiamo per dire e prima di dirlo cancelliamo ogni cosa che potrebbe indicare all’ascoltatore che siamo gay. Noi siamo bravi, molto bravi a far questo. Ma questo costa molto sacrificio alle nostre anime.
Potrebbe non sembrare una forma di oppressione – non è come essere gettati in prigione o come essere messi al rogo – ma è uno dei silenziosi e dolorosi risultati dell’oppressione. Il risultato di qualsiasi forma di oppressione è vivere nella paura – paura della scoperta, del rifiuto e della punizione. E’ ciò che vivono moltissimi gay e lesbiche ogni giorno, in tutto il mondo.
Un collega vescovo, rispondendo alla mia uscita sulla “sposa di giugno”, si è recentemente chiesto se sia appropriato che io mi unisca in una unione civile subito prima della Conferenza di Lambeth che si svolge ogni dieci anni per la convocazione di tutti i vescovi della Comunione anglicana. Lui suggeriva che per risparmiare ulteriori difficoltà, Mark ed io avremmo dovuto cancellare i nostri piani.
Perchè un’unione civile? Perchè esercitare il diritto previsto dalla nuova legge che permette di accedere a questo istituto, riconosciuto dallo Stato del New Hampshire per sostenere la stabilità e il bene sociale che deriva da avere famiglie gay solide e fiduciose?
Mark ed io siamo stati insieme per 20 anni. Più o meno allo stesso modo in cui le donne hanno fatto per innumerevoli generazioni, Mark ha lasciato una grande carriera nei Peace Corps per passare la vita con me e con le mie figlie in New Hampshire. Io gli feci presente fin dall’inizio che non le avrei mai lasciate.
Per tutto questo tempo, abbiamo condiviso le nostre vite in ogni aspetto. Sebbene sia una persona molto riservata, Mark mi ha pienamente sostenuto nel rispondere alla chiamata di Dio all’episcopato, e quando la mia elezione ha avuto luogo, e sempre da allora, lui è stato al mio fianco – sotto le scomode luci dei riflettori – come mio compagno e, ora, sposo.
Noi abbiamo fatto i conti con le conseguenze di essere una coppia gay nella nostra cultura. Tutte le protezioni che esistono per le coppie eterosessuali non sono automaticamente disponibili per noi.
Al costo di considerevoli sforzi, abbiamo legalmente conquistato alcuni di essi: facoltà di prendere decisioni in materia finanziaria, medica, ereditaria (tuttavia, una tassa sull’eredità è imposta come se fosse uno straniero), un’assicurazione per lui e per i nostri figli.
Ma centinaia di diritti e protezioni aperti alle coppie eterosessuali per il solo fatto di dichiarare “siamo coniugi” non è disponibile per noi. Il tipo di protezioni che diventa istantaneamente disponibile per Britney Spears – che, per sfizio, ha deciso in una notte di sposarsi a Las Vegas – non sono disponibili per Mark e per me, malgrado il fatto che stiamo insieme da 20 anni nell’amore e nella fedeltà.
Ora che alcuni di questi diritti e protezioni (meno della metà a dire il vero) sono stati riconosciuti con una legge del New Hampshire, perchè non dovremmo esercitarli? Se amare il mio compagno è in cima alla propria lista di priorità, come e perchè dovrei dire a Mark: “Non dovremmo farlo perchè qualcuno nella Comunione anglicana ne rimarrà scosso?”.
La nostra unione non sarà un matrimonio, con più di mille diritti federali e statali che sorgono istantaneamente per una coppia tradizionale che si sposa. Ma ci offre qualcosa. Forse Mark non merita – forse noi non meritiamo – le protezioni che sono oggi a nostra disposizione?
Ora io sono accusato di mettere intenzionalmente il coltello nella piaga programmando la mia unione a giugno. Ma se aspettassi dopo Lambeth per annunciare le nostre intenzioni, sarei severamente criticato per aver disonestamente tenuto segreto il progetto di sposarmi per procacciarmi l’invito alla Conferenza.
Non è ancora venuto il momento per molti nella Comunione anglicana di accettare la nostra unioni civile. Ma non sarò irresponsabile nei confronti del mio compagno – l’amore della mia vita – solo per evitare di offendere qualcuno.
Perchè non limitarsi a una cerimonia civile? Perchè anche una benedizione? Quando ho fornito una testimonianza al comitato legislativo per le unioni civili in New Hampshire, ho sostenuto la necessità di tenere separati il diritto civile dal rito religioso di benedizione.
Mark ed io celebreremo la nostra unione in un edificio pubblico, riconoscendo l’autorità civile, poi procederemo dall’altra parte della strada verso la chiesa di San Paolo, dove renderemo grazie per la nostra unione e chiederemo a Dio e alla comunità riunita di benedirci.
Noi avevamo inizialmente pensato a una semplice Eucaristia, senza parole inerenti la benedizione, in rispetto della Comunione anglicana. Ma voi pensate forse che i titoli di giornale sarebbero “Il vescovo gay presta attenzione a non offendere la Comunione anglicana?”.
Dal momento che la benedizione delle unioni è operativa nella diocesi del New Hampshire fin dal 1996 (sette anni prima della mia elezione), perchè il vescovo non dovrebbe avere i titoli per ricorrere per se stesso a quella stessa cura pastorale che egli offre alla gente della sua diocesi?
E perchè non pensare allora a una celebrazione “privata” – una soluzione offerta in altre parti della Comunione anglicana? Perchè “benedizione privata” è un ossimoro. Sebbene la nostra celebrazione sarà su invito, e senza la presenza della stampa, la nostra convinzione è che il matrimonio sia una promessa pubblica fatta da una coppia, in presenza della comunità raccolta, chiedendo le preghiere e l’assistenza della comunità per essere fedeli alle promesse.
Relegare la benedizione di un matrimonio a una sede privata e segreta viola la sua stessa natura. Quando ero adolescente non avrei mai immaginato che le coppie dello stesso sesso potessero essere “visibili”, e men che meno avrei immaginato che potessero unirsi in matrimonio o in una unione civile.
Non c’erano modelli per una vita felice e prosperosa per le persone gay e lesbiche – non c’erano persone come Billie Jean King o Greg Louganis, Ellen DeGeneres o come l’ambasciatore James Hormel o il deputato Barney Frank.
Non ci era ancora stato detto che Walt Whitman, Tennessee Williams e W.H. Auden erano gay. E neppure sapevamo che fu il pacifista gay Bayard Rustin ad insegnare a Martin Luther King Jr la non violenza. La mia vita avrebbe potuto essere molto diversa se non avessi appreso queste cose.
La nostra unione civile sarà senza dubbio riportata dalla stampa. Non potremo farci nulla. Ma io provo gioia se penso che da qualche parte nell’Idaho o nell’Ontario o nel Sussex c’è un ragazzo gay o una ragazza lesbica che leggeranno l’articolo e che sapranno che anch’essi possono aspirare una intera vita insieme a una persona del proprio sesso – e che non devono affatto rinunciare alla loro fede. Potrà accadere anche a loro di mettere insieme sessualità e spiritualità in un modo che tende alla felicità e alla crescita spirituale. Come me, anche loro potrebbero aver sempre sognato di essere “spose di giugno”. Ma al contrario di me, sapranno molto prima che è possibile.
Articolo originale: Gay rites; New Hampshire’s Bishop Gene Robinson is about to enter into a civil union