Gesù non ha mai discriminato nessuno. Dialogo su Bibbia, omosessualità e civiltà
Intervista di Albert Torras i Corbella al teologo cattolico Raúl Lugo pubblicata sul suo blog Soy gay y creo en Dios (Spagna) nell’agosto 2014, liberamente tradotta da Dino
“Un dato indiscutibile dell’agire di Gesù: Egli non discriminò mai nessuno.” Raúl Lugo, sacerdote cattolico, autore di Cristianismo y homosexualidad (Cristianesimo e Omosessualità), Messico
La disponibilità che Raúl Lugo ha avuto nei miei confronti mi riempie di gratitudine. Siccome non sono riuscito a trovare il suo libro, a causa di un processo aperto dalla Chiesa nei suoi confronti, me l’ha inviato per posta elettronica senza alcun problema. È un uomo affabile, nobile, impegnato con il suo Paese, col popolo, con la gente. Chiama le cose col loro nome. Non so se sia un seguace della teologia della liberazione, ma la sua generosità riflessiva, la sua posizione al fianco delle persone, in questo caso degli omosessuali, lo rende promotore di una nuova teologia della liberazione queer.
Lei in molte occasioni è stato accusato dalla Chiesa di apologia dell’omosessualità. Perché crede che la Chiesa abbia tanta paura dell’omosessualità?
Bene, per la precisione, l’accusa ufficiale che ho ricevuto è stata quella di “favoreggiamento del comportamento omosessuale”, qualsiasi cosa ciò significhi. In effetti credo che nella Chiesa abbiamo ereditato una mentalità che, facendo proprie dottrine filosofiche che difendevano il disprezzo del corpo, ha finito con l’aver paura della sessualità in generale e dell’omosessualità in particolare, considerando potenzialmente peccaminoso tutto ciò che si riferisce al corpo. A questa visione dispregiativa del corpo e della sessualità va aggiunto il fatto che l’omosessualità è un comportamento dissidente, cioè che si confronta con posizioni molto radicate da un punto di vista culturale.
Ho sempre pensato che la sensazione di timore non si sperimenta soltanto nel caso delle persone omosessuali, ma si estende, in generale, alla diversità come insieme. Pensiamo ad esempio alla migrazione. Il rifiuto dei migranti, dal mio punto di vista, è un altro segno della stessa paura, la paura della diversità. Rifiutiamo coloro che vengono a vivere in mezzo a noi perché i nuovi modi di vivere e di vedere le cose provocano in noi un senso di insicurezza. I migranti vestono in modo diverso, mangiano in modo diverso, pensano in modo diverso, celebrano feste diverse dalle nostre, hanno espressioni di linguaggio che noi non comprendiamo. E benché questo fatto si manifesti soprattutto verso gli stranieri, è in realtà un fenomeno che non ha che vedere con le frontiere degli Stati ma, in tutti i casi, con le frontiere umane. Questa stessa cosa avviene con le persone omosessuali.
Si deve dire che in questa sensazione di timore la Chiesa non è sola. Si tratta di una mentalità a volte molto diffusa, dobbiamo dirlo, anche in ambienti liberali e di sinistra. In questo senso la rivoluzione sessuale e di genere in molti ambienti non è riuscita a penetrare.
Cosa possiamo fare per svincolare il termine “omosessualità” dalle parole “vizio”, “perversione”, “malattia”?
Stai toccando un argomento che mi sta molto a cuore. Nell’immaginario collettivo persiste ancora una relazione tra omosessualità e anormalità, perversione o malattia. Nonostante nella maggior parte dei Paesi occidentali sia maturata la convinzione che un vero ordine democratico è incompatibile con l’esistenza di azioni discriminatorie basate su pregiudizi, convinzioni o omissioni in relazione col sesso, la razza, l’appartenenza etnica, il colore della pelle e altre caratteristiche, tra le quali di solito si cita anche la preferenza sessuale, l’identificazione tra omosessualità e malattia continua ad offrire una specie di certificato di cittadinanza alla discriminazione nei confronti delle persone omosessuali.
Si tratta di quello che gli specialisti chiamano “errore discriminatorio”, nel quale i pregiudizi non sono riconosciuti come tali, bensì adottati da chi discrimina semplicemente come una verità naturale e indiscutibile. In questo modo, benché la discriminazione implichi sempre una differenziazione arbitraria e illegittima, basata su stereotipi culturali creati e trasmessi socialmente, questo “errore discriminatorio” induce a concepire le diseguaglianze come risultato della natura e non come costruzione culturale. Per questa via, la discriminazione cerca, e molte volte riesce ad ottenere, la sua accettazione e la sua legittimità. Perciò è molto importante lottare per per la dissociazione dai qualificativi che citavi nella tua domanda.
Si rende necessaria una trasformazione del modo di pensare, della cultura, e questo non è molto facile. Tuttavia io sono ottimista. Riconosco che i recenti e abbondanti studi scientifici sull’origine degli orientamenti sessuali non sono ancora riusciti ad ottenere un consenso universale. Le ricerche sulla presenza dell’omosessualità in diverse specie animali mettono in crisi una concezione rigida della legge naturale, ma per molte persone non risultano ancora determinanti. Tuttavia, rimangono ancora pochi uomini e donne di scienza che sostengono un’identificazione tra natura ed eterosessismo. E questo rappresenta una buona notizia.
Nonostante la discriminazione verso le persone omosessuali continui ad essere presente in molti Paesi, il panorama attuale mostra una tendenza sempre maggiore alla loro accettazione e al riconoscimento della diversità sessuale come un dato della realtà che non può più essere ignorato. Non mi riferisco solo al fatto che le principali associazioni psichiatriche del mondo abbiano eliminato l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali e nemmeno all’ulteriore passo in avanti compiuto da un certo numero di Paesi che hanno stabilito meccanismi per cui già non si tollera alcuna discriminazione per motivi di orientamento sessuale. Mi riferisco a qualcosa che è ancora più profondo di questo.
Per esempio?
Penso che tutte le cose che ho citato non sono solamente degli aneddoti, ma la dimostrazione globalizzata di quello che chiamo “mutamento di coscienza”. Si sta arrivando sempre più chiaramente alla concezione che la democrazia, per esserlo in modo pieno, deve essere estranea all’esclusione, all’emarginazione e alla disuguaglianza, garantendo il pieno esercizio dei diritti e delle libertà di tutte le persone. E ciò non avviene soltanto a livello delle leggi internazionali e delle decisioni dei Paesi: è il riflesso di un cambiamento che sta avvenendo nelle coscienze degli individui e delle collettività.
Si va facendo strada una nuova concezione, che molti autori chiamano “cambiamento antropologico”, nella quale le persone omosessuali cominciano ad essere viste, considerate e trattate come persone diverse, ma senza che questa diversità segni una disuguaglianza nella dignità e nei diritti. Penso che questa presa di coscienza sia molto lontana dall’essere una moda temporanea o il segnale del deterioramento delle condizioni morali del mondo. Mi sembra che si tratti piuttosto di un collettivo “rendersi conto” che ci troviamo di fronte ad una realtà antropologica che semplicemente è così. Si tratta di un’autentica scoperta umana, benchè possa sembrare banale. Semplicemente ci stiamo rendendo conto che c’è gente che è così, cosa che non trasforma queste persone in qualcosa di speciale nè le rende più o meno capaci di realizzare qualsiasi cosa.
Questa nuova comprensione, che potrebbe essere paragonata al momento in cui i neri cominciarono a sentirsi uguali ai bianchi, o le donne uguali agli uomini, è stata accompagnata dal riconoscimento, già dalla seconda metà del XIX secolo, che non c’è difetto psicologico presente nelle persone omosessuali che non lo sia anche nelle persone eterosessuali e viceversa. In effetti, in ogni epoca storica alcuni pregiudizi sono andati scomparendo e oggi non sottoscriviamo idee che solo cinquant’anni fa erano considerate normali, come quella che considerava il marito superiore alla moglie e poteva esercitare la violenza contro di lei, o che un nero non poteva sposarsi con una donna bianca. Ma non è sempre stato così. E nelle epoche in cui non era così, la mentalità prevalente, il pregiudizio visto come normalità, venivano giustificati dicendo che erano realtà naturali, oggettive, iscritte nella natura umana, anche se oggi nessuno si azzarda a sostenere a voce alta questa giustificazione.
Non so quanto tempo l’umanità potrà impiegare per arrivare a questi consensi antropologici che rompono un determinato modo di vedere la vita. Non so neanche quali elementi spieghino questo cambiamento di coscienza. Se alcune persone semplicemente sono omosessuali e questo fatto non è dovuto né al peccato, né al disordine, né al vizio, né a fallimenti dei padri, né a ingerenze di spiriti maligni, allora dovremo affrontare con nuove risposte la questione della diversità sessuale e offrire un nuovo approccio teologico a questa realtà.
Lei nel suo libro ritiene che il sesso sia di per sé buono e salutare. La dottrina della Chiesa non condivide questo pensiero.
Bene, io non sarei tanto sicuro di questa affermazione. Non credo che ci sia nessun teologo o pastore che non riconosca che le parole del Genesi “e Dio vide che tutto ciò che aveva fatto era molto buono” (Genesi 1) possano essere applicate alla sessualità. È certo che il cammino di costruzione di una morale sessuale durante tutti i secoli di vita della Chiesa è stato molto accidentato, come d’altra parte lo è qualsiasi costruzione culturale umana. È anche certo che, soprattutto a partire da sant’Agostino, si è radicata nella riflessione della Chiesa una certa visione pessimista del corpo umano e una considerazione della sessualità come qualcosa di pericoloso, ma le ultime dichiarazioni papali elogiano la sessualità, la quale, secondo le parole di Giovanni Paolo II, sarebbe un “linguaggio d’amore”.
Dal mio punto di vista il problema sta nel fatto che, benché siamo riusciti a liberarci (per lo meno in teoria) dalla mentalità che vede il sesso come qualcosa di cattivo o comunque troppo rischioso, non siamo riusciti a sfuggire, come del resto non vi sfugge la maggior parte delle religioni e delle ideologie, all’eterosessismo, che considera la relazione sessuale uomo-donna come la sola legittima, degna di essere protetta e, dal punto di vista religioso, l’unica gradita a Dio.
Gesù parla qualche volta di omosessualità? E in quali termini? Il Vangelo condanna l’omosessualità?
È inevitabile che nello studio della Bibbia commettiamo alcuni anacronismi. La Bibbia contiene testi nati in un tempo e in una cultura che non sono quelli dei lettori e delle lettrici di oggi. Per fare un esempio: la parola “pubblicano” che compare nel Vangelo è del tutto incomprensibile per un lettore di oggi. Ma anche se la traducessimo ad un linguaggio di oggi dovremmo usare il termine “esattore di imposte”, il che non significa molto, perché oggi gli esattori di imposte (il Ministero delle Finanze) non hanno nulla a che vedere con gli esattori di imposte in una Palestina dominata da un impero straniero. Se non conosciamo il significato sottinteso dei testi, non possiamo spiegarci perché i pubblicani erano considerati impuri e peccatori a causa del lavoro che svolgevano.
Bene, avviene la stessa cosa con la tua domanda. Gesù non può aver parlato di omosessualità, per il fatto che il termine stesso non compare nella storia fino al 1869. Certamente alcuni testi dell’Antico Testamento fanno riferimento con toni di condanna alle relazioni di maschio con maschio (nell’Antico Testamento non c’è alcun riferimento a relazioni tra donne), ma lo fanno in un contesto culturale che non ha nulla che vedere con ciò che oggi chiamiamo omosessualità. Gesù non ha mai fatto un riferimento esplicito alle relazioni sessuali tra persone dello stesso sesso. Non era certamente una pratica sconosciuta nel mondo greco-romano dell’epoca. Tra i nobili e i patrizi era comune che alcuni servi o schiavi maschi giovani prestassero servigi sessuali ai loro padroni. E tuttavia Gesù non fa mai un riferimento esplicito a questa pratica. Ci sono alcuni esperti che prendono in considerazione due testi che possono persino insinuare che Gesù non vedesse di cattivo occhio tali pratiche. Si tratta della guarigione del servo di un soldato romano di alto grado, che si avvicina a Gesù per invocare per il suo domestico “che amava tanto” e Gesù decide di andare a curarlo, anche se il soldato rispettosamente rifiuta la presenza di Gesù nella sua casa, considerandosi impuro per il fatto di essere straniero (Matteo 8:5-13). Alcuni sostengono che un tale amore manifestato nei confronti di un domestico, che spinge un soldato di alto grado a cercare Gesù per chiedere la guarigione, potrebbe riferirsi a questo tipo di legame sessuale.
Ha altre storie?
Altri parlano del giovane che portava un orcio, ed è quello che indica ai discepoli, secondo un precedente ordine di Gesù, dove si terrà la cena di Pasqua (Luca 22:7-13). Dicono che tale comportamento, portare un orcio, era un lavoro affidato esclusivamente alle donne. Gesù si sarebbe servito di un uomo, caricato del disprezzo di avere atteggiamenti o ruoli diversi da quelli propri del suo sesso, per trasformarlo in indicazione del luogo dove si sarebbe celebrata la cena pasquale. È curioso che la versione di Matteo di questo racconto elimina il “giovane” (Matteo 26:17-19) e lo chiama semplicemente “tizio”. Nella più recente assemblea dell’Associazione di Biblisti del Messico, padre Manuel Villalobos ha presentato un approccio queer a questo testo, che ha causato una delle polemiche più produttive dell’assemblea.
Tuttavia, dato che i risultati di questi approcci esegetici sono ancora in fase di discussione tra gli esperti, preferisco riferirmi qui a quello che è certo e si adatta ad un dato indiscutibile del comportamento di Gesù: Egli non discriminò mai nessuno. La domanda che mi fai è molto pertinente e vorrei brevemente far notare la sua pertinenza. Perché tanta importanza a ciò che Gesù ha detto o fatto a proposito della sessualità? Perché noi cristiani crediamo che la massima rivelazione di Dio sia Gesù Cristo. Sì, una delle verità più importanti per i cristiani è che Gesù di Nazaret, l’uomo concreto che visse in Palestina per più di trent’anni, è la rivelazione definitiva di Dio. Si può dare maggior spicco ad alcuni tratti della personalità di Gesù, ma nessun ritratto è completo se si omette una visione globale della sua persona e del suo messaggio. Gesù non è soltanto quello che ha detto, ma anche quello che ha fatto, cioè con chi si è relazionato, a cosa si è opposto, con chi ha avuto contrasti e perché.
È in questa visione globale che sottolineo che Gesù non ha mai respinto nessuno. E ciò in una società ebraica che era essenzialmente emarginante. Il culto e la religione dei Giudei stabilivano una distanza incolmabile tra quelli che avevano accesso legittimo a Dio e quelli che restavano esclusi dalla Sua presenza. C’erano molte ragioni per giustificare questa esclusione: essere donna, essere bambino o bambina, essere straniero, malato, esercitare qualche attività ritenuta spregevole, non avere una linea genealogica pura, essere stato in contatto con la malattia o con la morte, mangiare cibi proibiti, etc. Gesù ha agito controcorrente: si è avvicinato a quelli che in quel tempo erano disprezzati e considerati peccatori. Fece entrare molti di essi nella cerchia dei suoi discepoli e discepole e una della accuse che i discepoli di Gesù frequentemente dovevano affrontare era proprio: “Perché il vostro Maestro si accompagna e mangia con empi e peccatori?” (Matteo 9:11). Molti testi mostrano chiaramente l’intenzione di Gesù di reintegrare chi era emarginato o escluso dalla comunità. Invece i nemici per eccellenza di Gesù, i farisei, furono da Lui accusati di servirsi della religione per discriminare ed emarginare. Questi sono dati indiscutibili, e tutti noi cristiani e cristiane abbiamo l’obbligo di confrontarci con essi.
Cosa direbbe ad un ragazzo o una ragazza che le vuole confessare la sua omosessualità e si sente colpevole? Quale messaggio trasmetterebbe all’omosessuale che, avendo fede, si sente messo da parte dalla Chiesa?
In entrambi i casi la prima cosa da fare è tenere un atteggiamento di accoglienza e di ascolto. Le persone omosessuali, come qualsiasi altra persona, si rivolgono al sacerdote per ascoltare una parola di orientamento e non è possibile nessun orientamento se l’atteggiamento con cui si accoglie è condannatorio. Ogni persona è un mistero dell’amore di Dio ed ognuno ha la propria strada da percorrere. Noi che esercitiamo il ministero sacerdotale dobbiamo essere molto consapevoli di ciò. Benché la posizione ufficiale della Chiesa nei confronti dell’omosessualità sia molto rigida (cosa che, per inciso, a diversi livelli ecclesiali attualmente è in discussione), tutti abbiamo l’obbligo di tenere con le persone omosessuali un atteggiamento pieno di amore e di rispetto.
Per scacciare il senso di colpa nei confronti della propria identità sessuale non esiste una formula valida per tutte le persone. C’è chi ha bisogno di uscire da un ambiente colpevolizzante, mentre in altri l’accusa ha origine nel loro stesso cuore. Si deve collaborare a che noi persone omosessuali (e in generale tutte le persone) impariamo a guardare la diversità sessuale come un dono di Dio, del quale si deve essere grati.
Forse la Chiesa risponderà alla sua vocazione di essere una casa aperta dove tutti e tutte potranno trovare accoglienza. Questo non è ancora una realtà, ma non desistiamo in questo impegno. Una persona omosessuale che, avendo fede, si sente messa da parte dalla Chiesa, io la inviterei a partecipare a qualche gruppo di preghiera (e potrei anche darle qualche suggerimento in proposito, se ne conoscessi) e a non permettere che i pregiudizi presenti nella società e nella Chiesa la portino via da Dio. So che nelle nostre parrocchie non ci sono ancora molte nicchie di accoglienza se la persona decide di vivere il suo orientamento sessuale senza nasconderlo. Perché ci sono casi, molto più numerosi di quello che vorremmo riconoscere, in cui un servitore o una servitrice della parrocchia è omosessuale e la gente della comunità lo sa o per lo meno lo sospetta, così come il sacerdote, ma che la persona sia ammessa al servizio che svolge dipende dal fatto che mantenga il silenzio sul suo orientamento. Facendo così condanniamo molte persone a vivere rinnegando quello che sono e a permanere in una repressione che può essere causa di seri danni. Invece si deve andare avanti guadagnando nelle nostre Chiese spazi liberi dalla discriminazione. Per questo mi piace incoraggiare le persone omosessuali cristiane a riunirsi, a pregare insieme, a celebrare insieme la loro fede anche se in modo non convenzionale, ad arricchire la Chiesa con la loro testimonianza.
Cosa pensa delle confessioni cristiane più aperte rispetto alla Chiesa Cattolica, che permettono la diversità sessuale?
Mi rallegro che alcune confessioni cristiane abbiano fatto dei passi avanti verso una piena accettazione delle persone omosessuali nelle loro Chiese. In qualche modo non è stato facile (e non lo è tuttora) arrivare ad un consenso in questo tipo di faccende. La Comunione Anglicana, per esempio, risente una profonda divisione nelle sue fila riguardo a questo argomento. Le Chiese Luterane sono forse quelle che hanno fatto passi più decisivi in questa linea. Credo che una delle cose che consente una maggior apertura in queste Chiese è la loro strutturazione plurale, cioè il fatto che non ci sia una centralizzazione di governo così grande come avviene nella Chiesa Cattolica.
Ma non ci si deve illudere: la battaglia è lontana dall’essere vinta. Molte Chiese protestanti, in particolare quelle di nuovo conio, mostrano un’opposizione all’omosessualità che a volte giunge ad atteggiamenti ancora più discriminatori che in certe cerchie della Chiesa Cattolica. Ogni fondamentalismo vuole essere più radicale dell’altro.
Ma sono un uomo dalle grandi speranze. Come ho affermato prima, credo che stia avvenendo quello che io chiamo, insieme al teologo James Alison, un “cambiamento della coscienza collettiva” riguardo all’omosessualità. Questo cambiamento finirà col vincere le resistenze per un’accettazione della diversità sessuale nelle nostre Chiese. Non so se io riuscirò a vederlo, ma sono sicuro che sarà così.
Dopo tanti anni trascorsi lavorando con gli omosessuali per offrir loro un modo di vivere in pienezza la loro fede senza rinunciare alla loro natura, ci potrebbe riassumere su quali idee si basa questo metodo? Come possiamo attuarlo?
Bene, non c’è un sistema valido per tutti i casi. Dipende dal grado di accettazione che ogni persona omosessuale arriva ad avere di se stessa. La possibilità di vivere in pienezza la fede ha sì una componente di accettazione sociale, ma non credo che questo sia l’aspetto più importante. Credo che il primo passo sia riconciliare la persona omosessuale con la sua propria preferenza o orientamento e poi aiutarla a far sì che, con una rinnovata consapevolezza della propria dignità, stabilisca una relazione col Dio del Vangelo. Un buon punto di partenza consiste nell’aiutare le persone (e questo vale per tutte le persone, indipendentemente dal loro orientamento sessuale) ad avvicinarsi alla persona di Gesù. A questo scopo una lettura guidata dei Vangeli può essere molto utile. Può essere d’aiuto anche studiare insieme libri come quello di Pagola (Pagola J.L., Jesús, una aproximación histórica (Gesù. Un approccio storico), Ed. PPC, Madrid 2009), che uniscono una chiara esposizione ad un autentico servizio alla fede dei lettori. Il Gesù che emerge dallo studio dei Vangeli ha il potere di cancellare molte delle cattive esperienze che le persone omosessuali hanno avuto in seno alle loro Chiese.
I percorsi possono essere tanti, ma l’obiettivo è sempre lo stesso: che la persona omosessuale sperimenti la gratuità e incondizionalità dell’amore di Dio e trovi qualche esperienza, pur piccola che sia, di costruzione comunitaria, sia costruendo spazi di preghiera e di servizio, sia inserendosi in una comunità più ampia. Perciò, le parrocchie che hanno un’apertura evangelica verso le persone omosessuali sono tesori che devono essere curati e conservati anche in mezzo all’ondata di fondamentalismo che a volte sembra invadere le nostre Chiese.
Testo originale: Raúl Lugo