Gesù oppositore del potere oppressivo (Lc 19,28-40)
Riflessioni bibliche di Christine Smith, Randall Bailey e Warren Carter tratte dal progetto Out in Scripture (Stati Uniti), del gennaio 2007, liberamente tradotte da Giacomo Tessaro
Il Salmo 117 (118): 1-2, 19-29 ritrae la scena del monarca che entra nel tempio in periodo di guerra. La scena incornicia l’entrata di Gesù in Gerusalemme.
Come fa notare Randall Bailey, i versetti del salmo non contemplati dalle letture di oggi parlano dettagliatamente dell’angoscia del salmista per le potenti e distruttive lotte con i nemici. La nazione è in guerra (versetti 10-12) e ci sono state alcune vittorie (13-18) ma la guerra non è ancora vinta (25).
Con una festosa processione in cui la folla agita rami di palma, il monarca entra nel tempio e ringrazia Dio per i successi e prega per la Sua salvezza (19-29). La salvezza di Dio arriva dopo l’angoscia (versetto 9) e l’imminente sconfitta (13) vissute nei versetti 5-14.
L’entrata “antitrionfale” di Gesù a Gerusalemme riflette questa liturgia mentre evoca – e prende in giro – i rituali analoghi che accompagnavano l’entrata dei generali, ufficiali e imperatori romani nelle città dell’impero. L’entrata di Gesù a Gerusalemme e nel tempio avviene nel pieno della lotta con il potere dominatore straniero, Roma. Il suo arrivo è accompagnato da lodi a Dio. Gesù viene salutato, in maniera sovversiva, da chi è privo di potere, come il monarca della stirpe di Davide che porterà la pace. Ma solamente i monarchi locali approvati da Roma – disposti a regnare come suoi alleati – esercitavano il potere. Considerare Gesù un re era illegittimo agli occhi di Roma e dei suoi alleati di Gerusalemme. Come Gesù eserciterà la sua regalità, come affronterà il potere romano e quale sarà la risposta di Roma lo scopriremo attraverso gli eventi della settimana.
Un’altra situazione incornicia l’entrata di Gesù a Gerusalemme e gli eventi della Settimana Santa. Il Salmo 30 (31): 9-16 fa un ritratto dell’abuso di potere. Di nuovo il lezionario omette dei versetti e i riferimenti all’angoscia del salmista, passando così sotto silenzio l’ingiustizia e la minaccia che stanno al centro dell’esperienza del salmo. L’esatta situazione del salmista ci sfugge. Ha dei nemici potenti, che minacciano e complottano (versetti 8, 13 e 20).
Si sente perseguitato (15) ed è oggetto di menzogne (18) – forse una vittima di false accuse in tribunale – e cerca una difesa. Conosce il dolore e il declino fisico, forse dovuti a una malattia (10). Seguono la vergogna sociale, il disprezzo, l’isolamento e il rifiuto (11). Lo sconvolgimento interiore dilaga.
L’angoscia del salmista nell’affrontare i potenti viene elaborata in termini che sono famigliari a chiunque venga emarginato per il suo orientamento sessuale, per il fatto di esser straniero, per la sua classe sociale o per qualsiasi altro motivo. Eppure balza all’attenzione anche la disperata fiducia in Dio; il salmista agogna l’intervento della grazia di Dio (15-21). Il salmista comprende, almeno in questo salmo, che il favore di Dio non esclude nessuno e dà forza nelle sventure sociali, politiche e legali.
Mentre il motivo della sofferenza del salmista non è chiaro, il motivo della crocifissione di Gesù è noto. È accusato di un crimine. La sua predicazione è di quelle che sfidano le strutture della società. L’identificazione, compiuta dalla folla, di Gesù con il monarca non approvato da Roma rende precisa la sua minaccia e significa sedizione. Roma e i suoi alleati di Gerusalemme usano il loro potere e il loro sistema giudiziario per eliminare ciò che considerano una minaccia provinciale al loro status quo.
Come affrontiamo i potenti di oggi, la regalità dei nostri giorni? Il numero di sfidanti per le elezioni presidenziali del 1008 cresce, e mentre si contendono il favore della massa, parlano della classe media e rendono onore alle truppe. Al tempo stesso sembrano ignorare la condizione esistenziale degli individui LGBT, di chi è dovuto fuggire a causa di Katrina, e dei sieropositivi che non possono permettersi farmaci costosi. Molti leader religiosi poi convengono nel rimuovere i sacerdoti e i pastori omosessuali che vivono una relazione.
– Cosa e chi rappresenta i potenti nella Chiesa e nella società di oggi? Dove sono i testimoni alternativi al potere che solidarizzano con gli oppressi? Dove sentiamo cantare l’”Osanna” liberatorio di Dio?
La terza lettura dalle Scritture ebraiche, Isaia 50:4-9, attira l’attenzione sulla sofferenza causata dal potere imperiale; sottolinea in particolare l’esperienza di subire il potere distruttivo e il bisogno di sostenere “lo sfiduciato”, colui che è schiacciato dalle strutture oppressive. Il servo sofferente parla degli abusi fisici e verbali subiti come risposta alla fedeltà (versetti 4-6).
L’immagine di presentare “la guancia a coloro che mi strappavano la barba” appare altrove e simboleggia le situazioni di persecuzione dei Giudei sotto il potere imperiale (Isaia 7:20; 2 Samuele 10:4). Qui sembra riferirsi all’esperienza dell’esilio sotto il potere babilonese.
Il servo, che è un individuo e al tempo stesso un rappresentante del popolo con la missione di sostenere lo sfiduciato (versetto 4), soffre a causa del potere che lo travolge. Come il salmista, il servo attinge grande forza dalla presenza di Dio. La violenza non genera altra violenza e le sventure del servo non vengono viste come una punizione o una mancanza di protezione da parte di Dio. Dio viene in suo aiuto e non è disonorato. Il servo ha fiducia che i propositi di Dio avranno la meglio sui nemici (7-9).
Siamo preparati ad affrontare il prezzo concreto della lotta per la giustizia, per coloro a cui è negata dallo stato o dalle istituzioni religiose? Prendiamo in giro noi stessi quando pensiamo che la lotta non avrà il suo prezzo in termini fisici, spirituali ed emotivi? Cosa facciamo quando le nostre esperienze non ci permettono di dare testimonianza alla piena difesa di Dio nella lotta?
– In che modo il popolo di Dio oppresso affronta lo scarto tra la promessa di liberazione di Dio e la sua attuale realtà di dolore?
In Luca 19:28-40 la presentazione dell’entrata di Gesù a Gerusalemme sottolinea delle tematiche che sono importanti non solo in tutte le letture di oggi ma anche in tutto il vangelo. Gesù si è diretto a Gerusalemme per dieci capitoli. La città è il luogo del suo destino, nella quale entrerà in conflitto con l’élite dominatrice, subirà la sua reazione e morirà (vedere Luca 5:17; 9:31,51; 13:31-35; 18:31-34). La missione che Dio ha affidato a Gesù di sfidare i potenti, di mettere in discussione la maniera “normale” di organizzare la società e di offrire un’alternativa (tutto ciò che il vangelo chiama “salvezza” o regno o impero di Dio) è stata annunciata all’inizio del vangelo. Possiamo leggere di questa missione in relazione alla sua concezione, alla sua nascita (Luca 1:31-33,47-56; 2:10-14) e all’inizio del suo ministero pubblico (Luca 4:16-30,43).
Ma mentre il vangelo ci dice che alcune persone sono in sintonia con questa missione, altre vi resistono e si sentono offese (Luca 4:28-30; 9:22). Hanno idee molto diverse su chi sia o cosa dovrebbe fare Dio e come dovrebbe essere la società umana. In questo passo cercano di zittire i testimoni del potere di trasformazione delle azioni di Dio (37-40), uno sforzo che Gesù giudica inutile.
Questo passo riconosce che il culto è un atto politico allorquando porta testimonianza ai propositi di liberazione di Dio nel cuore del potere oppressivo. Suggerisce anche ciò che molti LGBT e altri emarginati nelle Chiese e nella società già sanno, che la sofferenza e il rifiuto accompagnano la fedeltà in particolare quando questa esprime identità e prassi alternative.
Ci rendiamo conto anche noi che i nostri atti di pubblica resistenza all’oppressione sono degli atti di culto, una liturgia? Oppure cadiamo nella trappola della dicotomia e dividiamo la vita in sacro e profano? Questo modo di pensare ci impedisce di vedere che marciare per i nostri diritti e protestare per le ingiustizie sono atti di culto. Poiché nel vangelo di Luca la folla grida ciò che dovrebbero dire i sacerdoti, “Benedetto colui che viene”, come mai il clero e i pastori di oggi sostengono così spesso gli oppressori imponendo ai laici di colmare il vuoto nella lotta?
– Quando siete stati testimoni o avete messo in atto delle nette azioni di resistenza o di giustizia che anche voi considerate come atti di culto?
I capitoli 22 e 23 di Luca contengono la narrazione della passione. La parola “passione” viene dal latino e significa “sofferenza”. Il racconto parla della sofferenza di Gesù come conseguenza dell’essere fedele alla sua identità di agente di Dio. Gesù incarna l’autorità data da Dio di manifestare il regno di Davide e di sfidare il potere imperiale (Luca 1:32) e di trasformare le strutture e le norme della società (Luca 4:18-19 e Isaia 61). Confrontate questi versetti con il Salmo 71 (72) per avere uno schema delle responsabilità di chi governa per assicurare la giustizia e il necessario ai poveri e ai bisognosi.
L’élite di Gerusalemme, alleata di Roma nell’esercizio del potere per difendere – non cambiare – lo status quo, vuole uccidere questo messaggero, Gesù, che ha una visione diversa della società (Luca 22:2,52-54). Molti seguaci abbandonano lui e la lotta per un mondo diverso (22:3-6, 21, 24-27, 31-34, 47-50, 54-62). Gesù viene picchiato e abusato verbalmente (22:63-71). Il governatore romano appoggia i suoi alleati di Gerusalemme e lo crocifigge (23:1-25).
Questa narrazione della passione porta in sé il ricco nocciolo delle lotte rivoluzionarie dei Giudei colonizzati contro il potere oppressivo esercitato dai Romani e dai loro collaboratori giudei altolocati. Le speranze di liberazione degli emarginati vengono deluse non solo dal linciaggio del leader della rivoluzione ma anche da come viene raccontata la storia. Questo racconto liberatorio e rivoluzionario è stato troppo spesso ridotto a una lotta interiore religiosa svuotata dei suoi sottintesi politici.
– Quando le nostre lotte per la liberazione dalle politiche e dalle dottrine oppressive che inchiodano le persone nei loro settori di razza, genere, sessualità, classe, nazionalità, età etc. sono state pervertite? Quando abbiamo perso di vista la lotta combattendoci a vicenda e lasciando che le nostre storie si riducessero a una religiosità-rifugio che esalta i “sogni” e ignora la rischiosa esigenza di giustizia?
La nostra preghiera
Dio giusto e compassionevolissimo
dacci il coraggio di marciare
nei luoghi dove vi è il pericolo
e di lottare con la fede e la convinzione di Gesù.
Dacci la speranza
che i nostri sacrifici verranno giustificati.
Dacci i segni
della tua presenza concreta di giustizia e verità.
Amen
Testo originale: Lent Year C