Giovanni Bachelet: “anche una coppia gay è famiglia”
Una chiacchierata di Silvia Lanzi con Giovanni Bachelet
Giovanni Bachelet, figlio di quel Vittorio ucciso nell’1980 dalle Brigate Rosse. Professore ordinario di fisica all’università “La Sapienza” di Roma, deputato PD, molto vicino all’on. Rosy Bindi – recentemente contestata da Arcigay, Arcilesbica e Famiglie Arcobaleno con lanci di riso e paillettes – ha risposto molto sollecitamente al mio invito di fare due chiacchiere con lui.
Prima di iniziare l’intervista vera e propria ha voluto conoscere un po’ di più il mondo degli omosessuali cristiani, rimanendo positivamente impressionato dall’esistenza di queste realtà – anche se con qualche piccola perplessità, come leggerete di seguito. E’ assolutamente possibilista rispetto ad un’evoluzione positiva dei diritti delle coppie gay, ma pensa che sia più opportuno procedere a piccoli passi.
La risposta assolutamente lapidaria (capirete tutti di quale si tratta) che ha dato ad una mia domanda precisa è stata più bella e più preziosa di qualunque trattato antropologico-culturale. Lascio a lui la parola.
Il “mondo omosessuale” che conosce è quello delle associazioni tipo Arcigay?
La conoscenza del “mondo omosessuale” (supposto che ce ne sia uno solo) nasce dall’amicizia con persone di orientamento omosessuale nel corso della mia carriera scientifica, iniziata e svolta all’estero nei primi anni dopo la laurea una trentina di anni fa. La conoscenza delle organizzazioni gay italiane, e dell’Arcigay in particolare, è molto piú recente: risale agli ultimi quattro anni, gli unici in cui sono stato parlamentare.
In questo periodo ho però anche avuto la fortuna di nuove amicizie, fra le quali molto significative sono state quella con Delia Vaccarello, che cura la pagina “Liberi tutti” dell’Unità (ho anche collaborato al suo libro “Evviva la neve” sulla transessualità rispondendo ad alcune domande sul rapporto fra fede e sessualità e come esso viene vissuto nella mia chiesa), con Cristiana Alicata, dirigente Fiat con la quale ho condiviso molte battaglie politiche, ultima delle quali (persa, ma gloriosa) quella per la segreteria del PD Lazio, e quella con Ivan Scalfarotto, vicepresidente nazionale del PD. Tutto sommato anche negli ultimi anni la principale fonte di conoscenza del mondo omosessuale è stata l’amicizia.
Se sì, è stato strano scoprire un “altro” tipo di mondo gay che cerca di coniugare fede e omosessualità? Perché?
I primi due amici gay che in USA mi hanno rivelato di essere una coppia, mandando in frantumi tutti i pregiudizi che (per lo piú sulla base di barzellette maschiliste) un medio venticinquenne italiano nutriva in buona fede negli anni ottanta del secolo scorso, erano credenti e praticanti, sia pure di una chiesa evangelica particolarmente aperta e “progressista”, la Judson Memorial Church al Greenwich Village di New York.
In quella chiesa sono andato insieme loro qualche volta a pregare e ascoltare la parola di Dio: in Italia, da ragazzo, avevo partecipato a diverse sessioni del Segretariato Attività Ecumeniche (grazie al quale è nato ora il contatto con il vostro gruppo) e la preghiera comune di tutti i cristiani, a qualunque denominazione appartenessero, non era per me un’esperienza nuova.
Anche loro sono venuti nella mia parrocchia cattolica quando c’è stata qualche messa in ricordo di mio padre, morto in un attentato delle BR proprio in quegli anni, mentre ero in USA a lavorare. Uno di loro è venuto per una settimana a dormire a casa mia subito dopo la morte di mio padre, perché ero solo e ha pensato cosí di alleviare un po’ il mio dolore. Sono doni che non si dimenticano mai.
Piú recentemente, oltre voi, ho avuto il piacere di conoscere l’associazione “Fiumi d’acqua viva” (Evangelici su Fede e Omosessualità), una volta mi hanno invitato da loro a Firenze. Se posso fare un’osservazione, in questo “associazionismo gay religioso”, cosí come in quello non religioso, ho notato, accanto a una straordinaria ricchezza spirituale e culturale, anche una notevole tendenza a scismi e proliferazione di sigle, proprio come accade a certi ambienti accademici con le riviste o in certi partiti e movimenti politici italiani.
Nella mia esperienza politica e religiosa ho notato che, anche se rari, sono di enorme importanza per la conoscenza, l’interculturalità e la promozione dei diritti anche pastori come padre Alberto Maggi di Montefano che si rivolge a tutti e tutti richiama e raccoglie nel suo gregge, o leader politici che arruolano in posizioni di responsabilità persone dichiaratamente lesbiche o gay, come anche a me è capitato di fare nella recente campagna elettorale per la segreteria del PD Lazio.
A volte si scopre e si interiorizza l’idea che siamo davvero uguali più attraverso un progetto e uno sforzo comune che costringe a conoscersi apprezzarsi e scoprire l’insensatezza dei reciproci pregiudizi, che non attraverso l’associazionismo di categoria. Ma capisco bene che anche quest’ultimo sarà a lungo necessario per difendere e promuovere i diritti.
Di solito sono i gay contestati e vituperati dagli “altri” e questo è da condannare. Come da condannare è la piazzata fatta qualche giorno fa dalle associazioni di cui sopra all’on. Rosy Bindi riguardo ai matrimoni omosessuali. Lei, in questo caso, è un “falco” o una “colomba”? Insomma, tutto e subito, o i diritti a “piccoli passi”?
Ho votato con convinzione insieme alla stragrande maggioranza dei delegati il documento della commissione diritti presieduta dalla Bindi all’assemblea nazionale dello scorso luglio, che rappresentava a mio avviso un progresso enorme per due ragioni. La prima: il documento segna il passaggio dall’obbiettivo minimo dei diritti delle persone (il massimo che nel centrosinistra di Prodi si potesse tentare, e pure quello non passò) a quello intermedio del riconoscimento delle unioni civili.
La seconda: la pubblica ratifica ad amplissima maggioranza di questo documento al livello rappresentativo più alto del PD (l’assemblea nazionale) mette tale obbiettivo intermedio al riparo da retromarce a sorpresa basate su maggioranze trasversali di stampo clericale: dopo questo documento i diritti degli omosessuali e dei conviventi in generale non sono più tema controverso su cui nel PD ognuno vota come gli pare, ma una linea condivisa da credenti e non credenti, vincolante per tutti. Per questo trovo ingiusto e paradossale, e l’ho detto subito dopo la sguaiata contestazione di qualche giorno fa, che alla donna che nel 2006 ha tentato da Ministro la prima apertura legislativa sui diritti civili e nel luglio 2012 ha preteso la ratifica assembleare del PD per questo documento unitario sulle unioni civili, sia imputato il contrario di ciò che ha fatto.
Credo che solo una sparuta minoranza degli omosessuali italiani si riconosca in questo estremismo, ma per confermare una simile impressione non bastano le tante persone amiche che mi hanno privatamente scritto: occorrerebbe che questa solidarietà fosse espressa pubblicamente alla Bindi, che credo la meriti. Tuttavia, per completare la risposta alla sua domanda, pur considerando quel documento un importante passo avanti e anche l’unico sul quale era possibile la convergenza amplissima che infatti c’è stata (non a caso sia Bersani che Renzi parlano oggi di unioni civili e non di matrimonio), sono personalmente favorevole, in prospettiva, ad una revisione completa dell’istituto familiare che includa in un unico contenitore giuridico tutte le antiche e nuove forme familiari di convivenza e sostegno reciproco.
Per questo ho sottoscritto, in quella stessa assemblea nazionale di luglio, l’ordine del giorno proposto da Ivan Scalfarotto, vicepresidente dell’assemblea e mio amico che come dicevo ho conosciuto e imparato ad apprezzare grazie al PD, che auspicava ulteriori passi avanti nella direzione del matrimonio per tutti.
L’Italia, sarà mai pronta, culturalmente parlando, ad un matrimonio gay?
Il fatto che gli Italiani abbiano per tre volte premiato attraverso libere elezioni, con la benevola condiscendenza del principale quotidiano “moderato” e della chiesa cattolica, un uomo che racconta barzellette maschiliste e fascistoidi, va con le minorenni e, beccato sul fatto, dichiara che è “meglio guardare ragazze che essere gay”, non farebbe sperare nulla di buono.
Penso tuttavia che sotto la crosta di un paese surreale pieno di atei devoti ancorati a stereotipi e pregiudizi del passato stia crescendo, grazie alla lenta ma inarrestabile spinta del Concilio, della “rivoluzione sessuale”, della globalizzazione, dell’integrazione europea, un nuovo paese reale: piú civile, piú democratico, piú cristiano; oggi minoritario, fra qualche decennio maggioritario.
Sul sesso e sull’amore i nostri figli sono, ad esempio, molto piú sereni di noi che abbiamo un piede ancora nell’altro secolo; per loro sarà naturale andare avanti su una strada che a molti di noi sembra ancora tanto strana. Intanto però, visto che l’Italia è ancora indietro (in questo Parlameno l’Udc ha affondato insieme a tutta la destra la legge sull’omofobia e la transfobia!), sarà bene portare a casa l’obbiettivo intermedio delle unioni civili.
Del resto in nessun paese si è arrivati al matrimonio gay al primo colpo: la legislazione è sempre passata, prima, attraverso i PACS o unioni civili o altre forme giuridiche del genere. La graduale trasformazione degli istituti giuridici accelera il cambiamento culturale piú di una contrapposizione ideologica fra due ipotesi estreme, tutto o niente, che rischia di finire con il niente.
Due uomini – o due donne – che vivono stabilmente insieme, che si amano e si sostengono a vicenda, si possono considerare una famiglia secondo lei?
Sí.
Oltre che per tradizione, l’opinione pubblica è contraria alle unioni gay regolamentate (di qualunque tipo) perché indebolirebbero l’economia (si dovrebbero erogare assegni famigliari, pensioni di reversibilità e quant’altro che prosciugherebbero uno stato già sull’orlo del tracollo). Che ne pensa?
Mi pare una solenne sciocchezza. Mi sembrerebbe vero il contrario. Ogni impegno di vita comune, ogni comunità stabile basata sull’amore, sul sostegno e sulla cura reciproca solleva la comunità civile e quindi anche il fisco da un’infinità di pesi.
In Italia, per esempio, è particolarmente evidente che la famiglia svolge ancora una straordinaria opera di supplenza rispetto al welfare. Chi si ammala o invecchia da solo costa al sistema assistenziale pubblico enormemente di piú dei vantaggi fiscali riconosciuti a una coppia o a una famiglia.
Estendere il riconoscimento giuridico alle forme di convivenza oggi abbastanza diffuse e ancora prive di qualsiasi tutela ne incentiva la stabilità e produce sul medio e lungo periodo risparmi, non maggiori spese. Certo in un paese dove l’evasione fiscale è molto maggiore che nel nord Europa occorrerà tutelarsi da truffe e possibili abusi con opportune clausole giuridiche. Ma sulle unioni civili c’è già più di un paese…latino come il nostro che su questa strada dei diritti ci ha preceduto: la loro esperienza potrà farci da guida.
Bello avere parlamentari come lui! Speriamo ce ne siano sempre di più.