Giubileo e persone Lgbt+. Chiamati a sperare e a infondere speranza
Articolo di Gianni Geraci* pubblicato sul quindicinale Adista Segni Nuovi n°3 del 25 gennaio 2025, pp.10-11
Quando, nell’autunno dell’anno scorso, è nata l’idea di organizzare un pellegrinaggio giubilare rivolto in prima battuta alle persone LGBT+, ai loro famigliari e agli operatori pastorali che le seguono, mi è venuto in mente un testo che è a L’Aquila, nella basilica di Santa Maria di Collemaggio, il luogo in cui si celebra quella Perdonanza Celestiniana che, del giubileo cattolico è considerato uno degli eventi che l’hanno precorso.
Parlando della porta santa presente in quella basilica, una bambina di terza elementare ha scritto: «In questa chiesa c’è una porta che, quando l’attraversi, diventi buono!».
Quel tema l’ho letto nella primavera del 2019 e, da allora, lo considero una delle prove più commoventi dello spirito con cui ci si dovrebbe avvicinare a un evento come il Giubileo anche perché fa riferimento alla Perdonanza Celestiniana che, fin dalla bolla di indizione, presenta alcuni aspetti su cui vale la pena riflettere. In quel documento, infatti, il papa santo che fu poi imprigionato e ucciso da Bonifacio VIII, parla espressamente di «tutti coloro» che sarebbero entrati nella chiesa di Santa Maria in Collemaggio.
Quel «tutti» ricorre anche in occasione di questo Giubileo della Speranza e quel «tutti» interpella soprattutto chi, in passato, si è sentito lontano dalle iniziative organizzate per l’anno santo.
Io sono uno di questi, perché nel 2000, quando la Chiesa ha celebrato il Giubileo di entrata nel Terzo millennio, ho vissuto in prima persona le tante polemiche che ci sono state dopo che il cardinal Angelo Sodano, che allora era Segretario di Stato vaticano, aveva detto che la Santa Sede, a Roma, i gay che a inizio luglio sarebbero arrivati per il World Pride non li voleva perché avrebbero profanato l’anno santo.
Per fortuna (e non “purtroppo” come invece aveva detto Giuliano Amato che era presidente del Consiglio in quei mesi) l’Italia è uno Stato laico, il World Pride si è svolto regolarmente e le catastrofi che erano state paventate dal cardinal Sodano e da quanti avevano ripreso le sue parole d’allarme non ci sono state.
La figuraccia è stata tale che perfino il papa, durante l’Angelus del 9 luglio, ha detto: «a nome della Chiesa di Roma non posso non esprimere amarezza per l’affronto recato al Grande Giubileo dell’Anno Duemila e per l’offesa ai valori cristiani di una Città che è tanto cara al cuore dei cattolici di tutto il mondo». Io, che agli eventi a cui Giovanni Paolo II faceva riferimento avevo partecipato, ricordo ancora la rabbia che ho provato nell’assistere a un così pesante travisamento della realtà.
Naturalmente da uomo che amava e ama ancora la Chiesa, ho cercato di cogliere, nelle parole di Giovanni Paolo II, il buono che c’era e ricordo di aver invitato i gruppi di omosessuali cristiani di cui ero il portavoce a fare proprie le parole con cui aveva chiuso il suo intervento: quando, ricordando il punto 2358 del Catechismo, ha detto che le/gli omosessuali «devono essere accolti con rispetto, compassione e delicatezza» e che «al loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione».
Credo che la scelta di accogliere, a venticinque anni di distanza, la proposta avanzata da un’associazione come la Tenda di Gionata – nata per accogliere, informare e formare le persone LGBT+, i loro famigliari e gli operatori pastorali che le seguono – di un pellegrinaggio in occasione del Giubileo, sia la realizzazione pratica delle parole con cui Giovanni Paolo II, nel 2000, aveva concluso il suo intervento.
Credo anche che questa scelta sia la più fedele alla tradizione che le parole di Celestino V avevano iniziato con quanto aveva scritto nell’indire la Perdonanza Celestiniana.
Credo infine che la scelta di dire di sì al pellegrinaggio Giubilare che molte associazioni faranno insieme alla Tenda di Gionata il prossimo 6 settembre sia anche un messaggio a tutti quelli che, in passato, si sono sentiti allontanati dai ministri di una Chiesa che, invece, se vuole davvero essere “cattolica”, cioè universale, deve accogliere tutti tra le sue braccia. Ma proprio tutti. Tutti, tutti, tutti, come aveva detto con forza lo stesso papa Francesco quando il 4 agosto del 2023, in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù che si stava svolgendo a Lisbona, ha detto: «Todos! Todos! Todos!» per ben tre volte.
Più di una volta, nel riflettere sull’esperienza di noi omosessuali, ho ricordato che la nostra diversità può essere tenuta nascosta e, di fatto, nel corso della storia è quasi sempre stata tenuta nascosta.
Questo ci ha messo nella condizione di essere una delle poche minoranze che possono mimetizzarsi. Questa particolarità dovrebbe essere vissuta con grande responsabilità, perché ci dovrebbe spingere a promuovere, nella società e nella Chiesa, un sentimento di inclusione che, partendo dal rispetto per tutte le minoranze, porta alla loro valorizzazione in una logica in cui le differenze vengono valorizzate in una dimensione “conviviale” (per usare un’immagine felicissima di Tonino Bello).
Ce lo ricorda molto bene anche uno degli episodi che spesso viene citato per dire che la Bibbia condanna l’omosessualità. A Sodoma, infatti, colui che accoglie gli angeli pellegrini non è una persona originaria della città, ma Lot, uno uomo “diverso” perché straniero che però viveva mimetizzato tra gli altri abitanti.
Anche noi omosessuali dobbiamo ricordare di essere “stranieri” in una società e in una Chiesa in cui si considera scontato il fatto che tutti siano eterosessuali. E in quanto “stranieri” che possono mimetizzarsi tra le mura della città abbiamo il compito di esercitare con particolare attenzione il ministero dell’accoglienza e far nostro quello che Gesù dice nel capitolo 25 di Matteo: «Ero straniero e mi avete accolto».
Ecco perché il pellegrinaggio giubilare che la Tenda di Gionata sta organizzando vuole essere un pellegrinaggio aperto a tutte le persone che sono convinte che sia necessario superare qualunque forma di discriminazione nei confronti di chi si sente emarginato.
Ecco perché abbiamo deciso di invitare a camminare con noi il prossimo 6 settembre anche tante altre persone che, pur non condividendo il nostro orientamento sessuale o un vissuto segnato dalla varianza di genere, sono convinti che sia necessario ripetere quel «Todos! Todos! Todos!» detto dal papa più di un anno fa e di riprendere quel «tutti» con cui Celestino V aveva invitato i pellegrini a varcare la porta santa.
Cercheremo di confermarci nella speranza e, insieme, ci esorteremo a non perderla mai, anche e viviamo in un tempo in cui molte delle cose che ci circondano sembrano dirci che l’odio e l’inimicizia si stanno impadronendo dell’umanità.
Dobbiamo dire a tutti che ha ancora senso sperare. Dobbiamo dire a tutti che ha ancora senso camminare insieme anche se si è diversi.
Dobbiamo dire a tutti che l’ultima parola resta sempre a Dio ed è sempre una parola di speranza, è sempre una parola di perdono, perché, come ci ricorda Sant’Ambrogio: «Dove c’è la misericordia lì c’è Dio; dove c’è rigore e severità forse ci sono i ministri di Dio, ma Dio non c’è».
* Gianni Geraci è fondatore dell’Associazione Il Guado (Milano) e socio de La Tenda di Gionata, ed è storico attivista cattolico dei diritti della comunità LGBT+ . Ha al suo attivo numerosi articoli e ha curato diverse pubblicazioni sul tema fede e omosessualità