Gli Arcivescovi anglicani di Canterbury e di York: come chiesa “dobbiamo imparare a non condannare le persone omosessuali”
Testo dell’Arcivescovo anglicano di Canterbury Justin Welby e dell’arcivescovo di York John Sentamu pubblicato su pinknews.co.uk (Gran Bretagna) il 27 luglio 2017, libera traduzione di Silvia Lanzi
Il 27 luglio è l’anniversario dell’Act of Parliament (Sexual Offences Act) che, approvato nel 1967, decriminalizzò gli atti omosessuali nel nostro paese (ndr in Gran Bretagna). Anche la Chiesa d’Inghilterra, guidata dall’arcivescovo Ramsey, a suo tempo, aveva appoggiato la legge.
Nel gennaio del 2016 la maggioranza degli arcivescovi dalla comunione anglicana – ottanta milioni di persone in centosessantacinque paesi – hanno confermato l’opinione ormai storica che sia ingiusto sminuire e criminalizzare le persone omosessuali. Spesso si giudica la Chiesa – tutte le Chiese, non solo quella d’Inghilterra, ma tutte quelle che seguono Gesù Cristo e le persone che sono votate al suo servizio – a seconda di ciò a cui è contraria. In passato essa ha condannato molte cose, e continua a farlo, molto spesso correttamente come: l’abuso sui poveri, sui deboli e sugli emarginati ne sono alcuni esempi.
Ma la Chiesa dovrebbe essere chiamata ad identificarsi sempre con ciò che ama, soprattutto con la sequela di Gesù Cristo, semplicemente, non solo con ciò che condanna.
Molte persone che non hanno a che fare con la Chiesa istituzionale vedono comunque in Gesù Cristo un uomo sorprendente e di grande fascino. Molti omosessuali lo seguono, attratti dal suo amore e dalle sue braccia spalancate che accolgono chiunque si rivolga a lui. Ecco una delle cose che ci ha detto: “Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite ed umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero” (Matteo 11:28-30).
Non c’è essere umano a cui non si applichino queste parole. Ognuno di noi ha bisogno di dare a Gesù il proprio fardello. Per tutti il peso più grande e difficile da portare è quello che la Bibbia chiama ‘il peccato’, ovvero non vivere come dovremmo, ma fallire. Siamo peccatori ed è questo quel che ci accomuna tutti.
Il peccato non è la caratteristica di un determinato gruppo di persone; è uguale per tutti, così come uguale è la sfida di chinare la testa sotto il giogo di Cristo, sopportandone il peso.
L’anniversario dell’Act è uno di quei giorni in cui la Chiesa di questo paese deve essere consapevole che, per prima cosa, bisogna evitare di condannare le persone. Quando festeggiamo quello che è successo cinquant’anni fa, lo possiamo fare nel migliore dei modi rivolgendoci a Lui e dicendo: “Sì, abbiamo preso il tuo giogo sulle nostre spalle insieme a te”.
Tutto questo è sintetizzato meravigliosamente da Ann Lewin (in ‘Watching for the Kingfisher: Poems and prayers’), una poetessa cristiana, recentemente assai citata, che scrive:
“Il giogo è leggero ma c’è, un giogo liscio per il lavoro.
Ci logoriamo combattendo e desiderando di essere ancora liberi.
Aggiogati in coppia con Cristo, che lo prende su di sé, il peso non è minore, ma è più leggero e meglio distribuito.”
Testo originale: Archbishop of Canterbury: Gay people are not more sinful than anyone else