Omosessuali e cristiani. Variazioni sul Dio sconfinato
Relazione di Rosa Salamone del gruppo Varco di Milano all’incontro su “Omosessuali cristiani in rete. Quali percorsi, per gli omosessuali credenti, nella rete e nelle chiese?” tenutosi a Milano il 20 settembre 2008
Sono convinta che il cammino di liberazione e di conquista dei diritti degli omosessuali non possa che passare attraverso un cammino in “ rete” con le donne, intese come minoranza che ha dovuto combattere per la propria emancipazione. Certo è un cambiamento lento che, come cristiani, siamo tenuti a credere e sperare. Non possiamo accodarci alla grande fila di coloro che ormai sono convinti della inalterabilità di questo mondo. Questo è il significato più prezioso della nostra fede.
Sono convinta che le nostre chiese cambieranno e che tale cambiamento sia iniziato già con questi sismi, con questi terremoti, con queste frane che si avvertono nel cuore di donne e di uomini di buona volontà, non importa se cattolici, veterocattolici, battisti, metodisti, valdesi, se gay, lesbiche o trans.
Credo che una delle iniziative di Gionata che più hanno riscosso successo a livello ecumenico sia stata la proposta di realizzare una veglia per le vittime dell’omofobia, lo scorso marzo.
La proposta, lanciata dai volontari del progetto, è stata accolta volentieri da parte del gruppo Varco, gruppo che raccoglie al suo interno gay e lesbiche valdesi e battisti. Ai fini dell’organizzazione concreta della veglia ci siamo incontrati con i gruppi del Guado e della Fonte di appartenenza cattolica e con alcuni vetero cattolici, dando così inizio ad una serie di vivaci confronti.
Confronti che da un parte hanno chiarito il nostro senso dell’identità e dall’altra ci hanno aperti a nuove realtà di cui abbiamo spesso sottovalutato la presenza.
Come dicevo, gli incontri hanno senz’altro rafforzato all’interno del gruppo VARCO il nostro comune senso identitario, un’identità che si basa fra le tante cose anche sulla valorizzazione delle donne e sui ruoli sempre più importanti che esse svolgono all’interno delle nostre comunità.
Le donne, nelle comunità valdometodista e battista sono pastore, diacone, moderatrici, teologhe coprono cioè ruoli di guida e di apostolato di grande rilevanza.
Si tratta di una rivoluzione che ha investito le nostre chiese, di un fenomeno per nulla da sottovalutare. Ritengo, infatti, che il recente documento di apertura del Sinodo valdese sull’omosessualità sia dovuto in buona parte alla presenza e alla lotta di molte donne impegnate in primo piano su questo fronte e non necessariamente perché lesbiche, ma perché donne fermamente convinte che se avessimo ceduto di un centimetro sul tema dell’omosessualità sarebbero iniziati brutti tempi anche per le donne all’interno delle nostre comunità.
Avrebbe significato, in poche parole, ritornare a “ le donne tacciano in assemblea” di paolina memoria, perché a questo avrebbe portato un’interpretazione letteralistica delle sacre scritture..
Queste donne hanno tracciato un sorta di linea Maginot, al di sotto della quale, non era possibile per nessuna di noi retrocedere. E’ stato esaltante per me avere vissuto in prima persona a Ciampino (ndr Assemblea-sinodo tenutasi a Ciampino dal 2 al 4 novembre 2007) questa pagina che non esito a definire storica per le nostre chiese.
Certo, come valdesi, a noi sorprende il linguaggio poco inclusivo della chiesa cattolica, quasi sempre coniugato al maschile. Declinare Dio al femminile, come succede da noi ormai sempre più frequentemente grazie ai contributi di teologhe come Elizabeth Green e Letizia Tommasone, non è una questione squisitamente rilegata ai dotti e ai professionisti della teologia.
Significa, invece, abituarsi a un Dio che sconfina, per usare i termini della teologa Elizabeth Green nel suo libro “Il Dio sconfinato”, cioè un Dio che travalica ruoli, categorie in cui vorremmo fissarlo e imprigionarlo, che si schiera apertamente dalla parte degli ultimi, delle donne, dei poveri e degli emarginati.
E’ merito di queste donne avere inoltre messo l’accento su un altro aspetto della Bibbia poco conosciuto fino a epoche recenti, cioè l’attenzione corporale dell’amore divino. Gesù, secondo questa interpretazione, è innanzitutto venuto a portarci un messaggio per cui amare il prossimo è prima di ogni altra cosa prendersene cura, una cura corporea. Lo vediamo con l’episodio della fuga dall’Egitto, quando nel deserto Dio, ancora prima di rivelare i suoi comandamenti, si preoccupa prima di ogni altra cosa di sfamare il suo popolo, è significativo insomma che Egli riveli la sua natura solo quando Israele ha bevuto e mangiato, cioè a stomaco pieno.
Lo vediamo con Gesù, quando va incontro agli esseri umani, quando si lascia accarezzare, stringere e toccare, quando è pronto a sua volta nutrire e saziare chi è affamato, a curare il corpo di chi è infermo, a lavare i piedi dei suoi seguaci.
Che cosa comporta tutto questo? Comporta una nuova visione della sessualità come parte fondamentale dell’identità di ogni uomo e di ogni donna. Dio, insomma, non ci ha creati solo spirito, ma anche corpo e di questo corpo Egli si prende materialmente cura. Non lo trascura, non lo tratta come se fosse un’appendice noiosa e riprovevole, non lo disprezza: al contrario lo ama in ogni sua espressione, genere e orientamento sessuale.
Ecco, dunque, in che modo la teologia femminista può preparare il cammino ad una piena e felice accettazione degli omosessuali nelle nostre chiese. Può farlo continuando a parlare senza stancarsi di un Dio che sconfina, che va oltre certa morale sessista e sociale di cui si fa interprete il fariseo presente nell’episodio dell’unzione di Gesù da parte di una donna “ Costui, se fosse profeta, saprebbe che donna è questa che lo tocca; perché è una peccatrice “ (Lc. 7,39).
Il decoro, sappiamo, impediva un contatto così intimo tra un uomo e una donna, se poi aggiungiamo che la donna in questione godeva di una pessima reputazione possiamo ben comprendere in che misura Gesù abbia superato i limiti imposti dalla morale del tempo.
C’è una tale profusione di contatto pelle a pelle, in questo episodio, dice Elizabeth Green, al punto che i vangeli ci danno notizie contraddittorie come se fossero andati in crisi: la donna unge il capo di Gesù, la donna unge i piedi, la donna versa lacrime sui piedi di Gesù, la donna gli asciuga i piedi con i suoi capelli, la donna gli bacia i piedi (Elizabeth Green, pag. 25 “ Il Dio sconfinato”) eccetera eccetera.
In ogni caso ciò che importa è l’accento messo su questo contatto che è squisitamente corporeo, sensuale direi quasi, tra Gesù e la donna che ci fa comprendere come egli non si sottraesse a certi aspetti dell’amore umano, anzi sapesse riconoscerli, accoglierli e persino dignificarli al punto da dire al fariseo con tono quasi di rimpianto parole che tutti più o meno conosciamo: Vedi questa donna? Io sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato dell’acqua per i piedi; ma lei mi ha rigato i piedi di lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio, ma lei, da quando sono entrato non ha smesso di baciarmi i piedi. Tu non mi hai versato l’olio sul capo; ma lei ha cosparso di profumo i piedi (Lc. 7, 44-46).
Per la teologia femminista non si può prescindere né mortificare un Gesù che parla di pane, olio, vino, semi e pesci, di strumenti quotidiani come le reti, di eventi fisici come il cambiamento delle stagioni, di fatiche e sudori umani come la semina e il raccolto, di bellezze naturali come gli uccelli e i fiori nei campi.
Perché questi sono gli elementi essenziali della nostra umanità e femminità. E’ questo appare vero al punto da far dire alla teologa Moltmann-Wendel, “ l’inizio e la fine di tutte le opere di Dio è la corporeità” (E. Moltmann-Wendel, Il mio corpo sono io, Brescia, Queriniana, 1996, p.170).
Vorrei citare, però, un’ulteriore affermazione tratta da un altro libro della Elizabeth Green (Teologia femminista, Ed. Claudiana, Torino, 1998, pp.16-17). La teologa si chiede: che cosa accomuna femminismo e cristianesimo? Ecco le sue considerazioni:
La risposta sta nel messaggio di liberazione e di libertà che le femministe, insieme a tanti altri teologi, individuano nel cuore dell’evangelo. Il cristianesimo dice come l’essere umano, estraniato dal suo vero sé ,riceva la sua vera identità come dono e come progetto. La fede nel Dio che si è fatto conoscere libera le donne da tutto ciò che le tiene schiave, prigioniere non solo dei pregiudizi di una società ingiusta, ma anche dei loro timori e ansie e del loro senso di inadeguatezza. Più ci si avvicina a Dio, maggiore diventa la consapevolezza di sé e della propria identità nel mondo. Amandoci, Dio pronuncia semplicemente un “ sì” al nostro essere donna.
Se questo è dunque vero per le donne, se Dio è cioè un Dio che si fa garante della nostra consapevolezza e identità nel mondo, come negare che altrettanto sia valido per noi omosessuali? Recentemente mi è capitato di intervenire ad un convegno sull’identità tenuto a Vasto lo scorso maggio.
In quell’occasione ci siamo confrontati con dei laici, apro una piccola parentesi dicendo che anche il confronto con atei e laici può essere molto interessante, mi auguro di vedere presto una tavola rotonda orientata in questo senso,in quell’occasione comunque ho avuto modo di riflettere sul fatto che: “Come credente, io mi ritengo una creatura profondamente amata da Dio.
E che anzi, è proprio questo Dio il garante più assoluto della mia identità, poiché ho la certezza che ogni aspetto della mia personalità risulti preziosa ai suoi occhi. Quando mi vedo minacciata nell’integrità della mia coscienza, quando perdo la percezione di me stessa nel cammino degli errori, Dio è pronto a ricondurmi all’amore verso la mia natura più profonda”.
Questo lungo preambolo mi è servito per alcune considerazioni finali. Innanzitutto, come non mi stancherò mai di ripetere, sono personalmente convinta che il cammino di liberazione e di conquista dei diritti degli omosessuali non possa che passare attraverso un cammino in “ rete” con le donne, intese come minoranza che ha dovuto combattere per la propria emancipazione.
Tanti amici inglesi, francesi e spagnoli non fanno che confermare questa mia idea, cioè che le nazioni dove si è legiferato a tutela dei diritti e doveri degli omosessuali sono paesi già abituati a valorizzare l’apporto dell’altra, cioè della donna e del suo vissuto.
Sono nazioni in cui si è riconosciuto la ricchezza e la dignità femminile, in cui ci si è già abituati a fare spazio all’alterità, ossia a ciò che percepiamo come diverso da noi.
In secondo luogo, questo mi porta direttamente ad affrontare la critica per cui la REFO (Rete evangelica fede e omosessualità), l’organizzazione nazionale di cui facciamo parte e di cui il Varco è solo un’espressione locale, intenderebbe politicizzare le nostre chiese. E’ una critica piuttosto diffusa, che ci sentiamo rivolgere sia all’interno che all’esterno delle nostre comunità. Certo, se con politicizzare s’intende il ricercare un’espressione “partitica” posso assicurare che nulla ci è più estraneo.
Ma se al contrario, come ho avuto modo di chiarire in un articolo apparso su Gionata.org qualche mese fa, con questa parola s’intende l’occuparci della “cosa comune” così come l’intende Aristotele, allora è veramente difficile tracciare un confine tra ciò che è politico e ciò che non lo è. In questo senso, è davvero problematico dire che uno non faccia politica con il proprio carrello della spesa o con la lettura di un libro piuttosto che di un altro.
Con questa accezione, dunque, anche le Veglia è stato un atto politico in quanto espressione di noi stessi che ha avuto nolenti o volenti delle ricadute nel sociale.
Quello che però mi preme sottolineare è che a volte si prende per politico quello che forse è solo un atteggiamento teologico, un atteggiamento che non riesce a prescindere dagli esseri umani nella loro totalità. Corpo e spirito. Genere e orientamento sessuale. Colore della pelle. Estrazione sociale.
Dio per primo è il garante di questa pienezza senza la quale non è possibile alcuna mia autenticità. Se tale autenticità passa infatti attraversa il mio corpo e di conseguenza attraverso le sue esigenze di affetto, di amore con un’altra donna nel mio caso, di cura per la persona amata, come posso esprimermi con pienezza all’interno della mia comunità, nel mio rapporto con Dio, se tali esigenze non vengono riconosciute, anzi sono addirittura offese e derise nella nostra società?
Il confronto con altri gruppi, in genere cattolici, ma anche con tante persone che scrivono su Gionata, mi ha però convinta che la mia relazione con il divino, basato sull’idea di un Dio garante della mia natura, non è affatto estranea ad altri uomini e donne come me accomunati dalla fede.
Scoprirlo è liberatorio, e come ogni atto di libertà accresce il senso della forza. Insomma, leggendo Gionata.org, ma anche la Veglia è stata istruttiva in questo senso, si percepisce chiaramente che certe gerarchie cristiane sono in piena crisi.
E non mi riferisco solo alle gerarchie cattoliche perché anche in casa nostra (ndr tra le chiese evangeliche) ci sarebbe a lungo da discutere. Si respira insomma come la sensazione che la chiesa monolitica, impenetrabile alle esigenze di uomini e donne, tenacemente avvinta alle sue leggi per cui il sabato varrà sempre più dell’uomo, non sia poi così impenetrabile e monolitica così come mezzi di stampa e pulpiti vari ci invitano a credere. Anzi ci sono scosse, piccoli sismi, terremoti e frane qua e là.
Ora, come cristiani noi siamo tenuti a credere e sperare. Non ci sono alternative per noi. Non possiamo accodarci alla grande fila di coloro che ormai sono convinti della inalterabilità di questo mondo. Questo è il significato più prezioso della nostra fede.
Sono convinta che le nostre chiese cambieranno e che tale cambiamento sia iniziato già con questi sismi, con questi terremoti, con queste frane che si avvertono nel cuore di donne e di uomini di buona volontà, non importa se cattolici, veterocattolici, battisti, metodisti, valdesi, se gay, lesbiche o trans.