«Ha dato a loro lo stesso dono» (At 11,17). Il mio sogno per il Sinodo della chiesa cattolica
Riflessioni di Antonio De Caro*
Il pomeriggio di domenica 9 gennaio 2022 ho partecipato, on line, all’incontro dei cristiani LGBT, con genitori, amici, operatori pastorali, in preparazione al sinodo. Sono stato anche moderatore di uno dei gruppi di riflessione che hanno lavorato dopo le tre splendide testimonianze.
In queste righe vorrei raccogliere e condividere alcune riflessioni nate dall’incontro.
Inizialmente abbiamo ascoltato l’esperienza dei genitori Paolo e Maria, cattolici consapevoli e impegnati, dopo che la loro figlia aveva rivelato di essere omosessuale. Hanno raccontato del disagio e della sofferenza vissuti nel tentativo di mantenere la loro identità cattolica ma anche di sostenere la figlia, senza privarla un istante di amore gratuito e incondizionato.
La fatica nasceva dal fatto che gli insegnamenti della Chiesa da sempre avevano «instillato repulsione e condanna» per l’omosessualità, ma il coming out della figlia li spingeva ad una seria revisione di queste posizioni: anche perché era inevitabile percepire che esse sono assolutamente incoerenti con i valori autentici di accoglienza e amore trasmessi dal Vangelo.
Solo l’incontro con le persone – con altri genitori, ma anche con altre persone LGBT, con la loro sensibilità e il loro desiderio di bene e di famiglia – è stato per loro «balsamo sulle ferite». Repulsione, condanna, incoerenza, ferite: mi viene spontaneo chiedermi (ma non è la prima volta) se la Chiesa ha davvero bisogno di provocare tutto questo dolore, invece di aprirsi ad un’accoglienza che, ha concluso M., «risana soprattutto le persone che la danno».
Poi, Lorenzo (in modo altrettanto sobrio ma toccante) ha riportato la sua esperienza di giovane omosessuale cristiano, che solo attraverso un lungo travaglio ha raggiunto un equilibrio capace di aprirsi alla speranza e all’amore. Ma proprio quel travaglio gli ha permesso di farsi una domanda fondamentale, anche per il sinodo: quale volto di Dio presenta la Chiesa? È lo stesso volto presentato da Gesù di Nazaret?
Come sappiamo bene, il cammino doloroso degli omosessuali cristiani e di chi li accompagna li ha resi per forza di cose cercatori di un dialogo e di un contatto con il Signore diverso da quello da cui gli uomini li hanno spesso esclusi; cioè li ha resi teologi, proprio per il bisogno di trovare il loro posto nell’Amore di un Dio che non può assolutamente essere Dio dell’oppressione.
Infine, suor Anna Maria, dopo avere rievocato la sua esperienza di accompagnamento pastorale dei credenti LGBT, ha evidenziato il senso profetico degli insegnamenti di papa Francesco, che più volte esorta a considerare la realtà superiore all’idea, cioè l’essere umano superiore al sabato; occorre quindi «mettersi in ascolto della realtà per cogliervi le incognite dello Spirito», come accade negli Atti degli Apostoli quando Pietro incontra Cornelio e comprende che nessun uomo va considerato impuro né la Chiesa non può escludere coloro che Dio ha già fatto suoi. Da qui però – è stata la mia riflessione – deriva la necessità che poi Pietro e la Chiesa rivedano le loro convinzioni, legate al passato, per diventare autenticamente testimoni e servitori di una Parola che risana e libera.
C’è un altro episodio, negli Atti degli Apostoli, cui secondo me la Chiesa universale dovrebbe ispirarsi nel cammino sinodale: il battesimo dell’eunuco etiope (8, 26-40), raccontato subito dopo l’annuncio del Vangelo ai samaritani (cioè a coloro che i giudei osservanti avevano sempre considerato eretici). È lo Spirito Santo che suggerisce a Filippo di accostarsi all’eunuco e a viaggiare insieme con lui. Gli eunuchi, maschi incapaci di generare, erano sempre stati considerati impuri e indegni di accostarsi all’altare del Signore (Lv 21,20 e Dt 23,2): nella Bibbia essi quindi costituiscono un esempio di persone discriminate per via della loro identità di genere e per il loro orientamento sessuale, per una condizione esistenziale che non avevano scelto.
Ma già alcuni passi dell’Antico Testamento (Is 56, 3-5 e Sap 3,14) proponevano un approccio diverso, capace di apprezzare la bontà morale della persona indipendentemente da tale condizione: Dio accoglie e salva addirittura gli eunuchi che osservano la sua legge, cioè che orientano al bene la loro vita, poiché per il Signore conta l’interiorità della persona, non la sua diversità. E lo stesso Gesù (Mt 19,12) invita a considerare la complessità dell’umano, poiché ci sono tanti modi per essere eunuchi, alcuni non colpevoli e altri rivolti persino al Regno di Dio.
Tornando al passo degli Atti, osserviamo che lo Spirito muove Filippo proprio verso un eunuco, che per giunta è uno straniero, anche se viaggia in compagnia della Parola di Dio. Quando l’uomo riceve l’annuncio pasquale, è lui a chiedere il battesimo, alla prima sorgente d’acqua incontrata per strada. Non è Filippo a scegliere di rivolgersi all’eunuco, poiché è stata un’iniziativa dello Spirito; non è Filippo a stabilire se l’eunuco possa/debba essere battezzato o no, poiché è stata una iniziativa dell’eunuco che fa fermare il carro.
In altre parole, il testo degli Atti sembra dirci che la Chiesa non è padrona della Grazia: ne è solo intermediaria, chiamata a dispensarla, anche sacramentalmente, per iniziativa dello Spirito e su richiesta delle persone chiamate interiormente – in coscienza – alla comunione con Dio. La Chiesa, sembra di poter concludere, non ha il potere di ostacolare lo slancio delle persone (anche dei “diversi”) verso Dio, ma il dovere di renderlo visibile.
La domanda (retorica) dell’eunuco che chiede il battesimo è: che cosa può impedire che io venga battezzato? Allo stesso modo, Pietro, avendo visto lo Spirito scendere impetuosamente sul romano Cornelio e i suoi familiari, si chiederà: chi può impedire che siano battezzati con acqua costoro che hanno ricevuto lo Spirito Santo al pari di noi?
In entrambi i casi non è la Chiesa che decide; la Chiesa, piuttosto, riconosce che non si può impedire l’inclusione delle persone (considerate “impure” dalla tradizione) che manifestano i segni di una fede sincera; e poi, a Gerusalemme, quado Pietro racconterà la sua esperienza, sarà la Chiesa a convertirsi con gioia ad un’idea inclusiva di Vangelo (At 11,18).
Ecco il sinodo che sogno, che sogniamo: la Chiesa che cammina accanto a noi, che visita le nostre case; la Chiesa che annuncia una Parola che abita già dentro di noi; la Chiesa che fa esperienza delle nostre esperienze di amore e che alla fine conclude “Se dunque Dio ha dato a loro lo stesso dono che ha dato a noi, per aver creduto nel Signore Gesù Cristo, chi ero io per porre impedimento a Dio?” (At 11,17).
*Antonio De Caro, scrittore e docente, collabora con La Tenda di Gionata ed è autore di “Cercate il suo volto. Riflessioni teologiche sull’amore omosessuale” (Tenda di Gionata, 2019) e del saggio “La violenza non appartiene a Dio. Relazioni omosessuali e accoglienza nella chiesa” (Etabeta, 2020, 214 pagine).