I frutti della Pastorale della diversità sessuale nella chiesa cattolica cilena
Intervista di Romina Aquino González a padre Pedro Labrín SJ, pubblicata sul sito di informazione Última Hora (Paraguay) il 7 novembre 2019, liberamente tradotta da Laura R., parte seconda
… Il sacerdote gesuita Pedro Labrín, membro della Compagnia dei Gesuiti dal 1997, condivide la sua esperienza come responsabile della Pastoral de la Diversidad Sexual (Padis+) con i cattolici LGBT e i loro genitori in Cile.
Quali sono le esperienze positive derivanti da tale lavoro?
Ebbene, la prima esperienza positiva è quella di tradurre veramente il gesto e la parola giusta del Vangelo per la vita di queste persone. I cattolici e i cristiani, quando vanno a Messa, dicono: “Concedici di compiere il gesto e la parola opportuni, affinché questa Chiesa sia uno spazio di libertà, di giustizia, dove nessuno si senta triste, sfruttato o oppresso”, ma sono passati ormai molti anni senza che noi ci siamo impegnati. Un passo di fedeltà verso il Vangelo.
La seconda esperienza positiva: una coscienza molto profonda del battesimo come dignità fondamentale, che supera qualsiasi giudizio morale che le persone possano avere sul resto.
La terza esperienza: l’autonomia della coscienza. Imparare che la fedeltà verso Dio passa attraverso la fedeltà verso la propria coscienza. Se c’è una norma che contraddice la mia coscienza, devo fare un discernimento e sapere che se prendo una decisione, la prendo sotto la protezione di Dio, anche se contraddice le regole. Noi ci riferiamo ad una persona, non ad un regolamento. Il regolamento viene rispettato senza possibilità di variazione: la vita conosce criteri e discernimenti.
Poi, un altro piano, che per me non è cosi rilevante, ma per la società sì: la visibilità politica. Contribuire alla nascita di una società che riconosca, e non solo che tolleri, perché la tolleranza può nascondere il disprezzo più profondo; la ricchezza della diversità, dove ognuno si percepisce come persona migliore perché accetta la diversità dell’altro.
Che cosa pensa delle famiglie che non sanno come affrontare queste esperienze dei loro figli/e e finiscono per allontanarli? Cosa consiglierebbe loro?
Il mio più profondo desiderio è che ogni madre e padre che vive questa situazione non rompa il legame con il/la figlio/a. È una grande prova d’amore, perché senza dubbio si parla di un duello, si spezza un’immagine, il sogno di portare la propria bambina all’altare vestita di bianco per darla in sposa al suo principe, il sogno di portare il figlio all’altare per darlo in dono alla sua principessa; tutto questo improvvisamente si spezza, e c’è bisogno di risanarlo.
Una soluzione narcisistica è focalizzare la sofferenza sul “me” genitore, e dimenticarmi di ciò che sta passando mio figlio o mia figlia. “Come puoi farmi questo? Ma se noi ti diamo tutto. Come mi presento adesso di fronte alla mia famiglia?”. Ma devono svegliarsi! Sono il loro figlio o figlia, e sono gli stessi di prima, questo va capito bene.
Se chiedessi ai genitori quali sono i loro desideri, direbbero che vorrebbero sapere tutto quello che succede ai loro figli, ma al contrario, devono ringraziare Dio che il/la loro figlio/a abbia rivelato loro qualcosa che per lui/lei è molto intimo, e che fino ad ora non il genitore non conosceva. In quel momento si avvera un desiderio, quindi dovrebbero andare a piangere da un’altra parte e abbracciare il/la proprio/a figlio/a.
Una storia che mi ha particolarmente commosso è quella di una signora che certamente ci avrebbe messo poco a rifiutare suo figlio, sia a causa della sua origine sociale, che per la sua formazione. Mi contattò e mi parlò del suo dolore, ma in maniera molto saggia mi disse “Io devo accompagnare mio figlio nella vita, non nella morte. Se persisto con questo atteggiamento, invece, è proprio alla morte che lo condurrò”, e non si trattava di una metafora.
Quali sono gli aspetti su cui lavorare, insieme ai genitori, per trovare punti in comune tra l’ambito religioso e la diversità sessuale?
Come prima cosa, celebrare la vita, il Vangelo, i sacramenti. La liturgia è molto importante all’interno della Padis+. Chiunque ha il diritto di invocare Dio perché benedica i suoi progetti, indipendentemente dal fatto che sia un sacramento o meno: fa parte della vita quotidiana. Allora, a quel punto, si vanno aprendo gli spazi per relazionarsi, principalmente convocati dal Vangelo, più che da un orientamento o una posizione al riguardo.
Secondo la mia esperienza, il mondo LGBTQI deve fare un lavoro molto sottile per liberarsi dall’omofobia interiorizzata e dal senso di colpa che questo genera. I genitori devono invece cercare di superare quella fase in cui si vergognano dei loro figli, o si sentono in colpa: “Ti avevo detto che non dovevi regalare il pallone da calcio alla bambina”; “Ti avevo detto che non dovevi lasciar giocare il bambino con la bambola”, situazioni che con la biografia del/la figlio/a non hanno nulla a che fare, ma che i genitori sperimentano come responsabilità personale, come qualcosa che avrebbero potuto evitare. È qui che viene il lavoro educativo, per capire che l’orientamento è presente da sempre nel/la figlio/a, e non è una scelta o un capriccio.
Quali sono le conseguenze negative di questo lavoro?
Per prima cosa, direi che la principale conseguenza negativa di questo lavoro è la Chiesa stessa (ride). Ci sono diffidenza, persecuzione, attacchi da parte dei fondamentalisti religiosi, accuse molto dure e mancanza di buon senso per considerare il nostro lavoro come qualcosa di buono. Piuttosto, in molt* si fa largo la convinzione che ci sia qualcosa di nascosto, di sospetto, e che se io come prete sono legato a questo, c’è di conseguenza qualcosa in me che mi qualifica come persona di cui non fidarsi. C’è un prezzo da pagare. La fedeltà verso Gesù Cristo, verso il Vangelo, l’abbraccio che vuole dare a ciascun* di noi: tutte queste cose non sono gratuite, ma hanno un costo, e bisogna esserne a conoscenza.
Quali sono stati gli ostacoli che avete incontrato nel cammino con la Padis+?
La Padis+, inizialmente, aveva una costituzione originale, basata sulla trasparenza, ed è questo il grande valore che vogliamo rendere visibile. Come questo gruppo ha parlato con me come consigliere, così io ho parlato con il presidente dell’Associazione dei Laici, che è l’autorità della comunità, per manifestargli questo desiderio, consultandomi con i miei superiori religiosi e informando la Conferenza Episcopale.
Questa gestione ci ha permesso di portare avanti, talvolta con grandi tensioni, la nostra proposta e di trovare sostegno, perché giochiamo a carte scoperte. Anche perché le persone sessualmente diverse, che molto spesso hanno subìto traumi e abusi, tendono ad essere riservate, e in questo modo proponiamo loro di vivere alla luce del sole.
Per quanto riguarda gli abusi commessi all’interno della Chiesa, perpetrati dai preti stessi, come consiglierebbe di affrontare questi temi?
In primo luogo, ma in maniera assolutamente categorica, si deve dire che, in materia di sessualità, nessuno ha privilegi su nessuno. E come nell’eterosessualità si può avere tutto un ventaglio di comportamenti, dalla vita sana alla perversione, non dico che nel mondo della diversità sessuale non si abbia lo stesso ventaglio. Probabilmente sì, ma ciò che non possiamo accettare sono le generalizzazioni che rafforzano i pregiudizi, i quali associano e confondono ambiti totalmente diversi, come ad esempio l’omosessualità confusa con la pedofilia o l’abuso.
Gli abusi non devono verificarsi, e dobbiamo impegnarci tutti, laici e religiosi, e persone di tutte le comunità, a denunciare, e soprattutto dare sostegno alle vittime. Non hanno torto, hanno ragione, e noi dobbiamo abbracciare la vittima, operare una riparazione simbolica, religiosa, economica e di giustizia nei confronti della vittima, e assumerci le responsabilità di aver fatto in modo che questi fatti si verificassero.
Speriamo di non cadere nella convinzione che aprirsi al riconoscimento della diversità sessuale significhi mettere un freno agli abusi, no. Qui bisogna essere molto chiari. Ora, per quanto riguarda gli abusi, appoggio tutto il rigore e l’empatia che permettono a una vittima di osare denunciare, di rivelare ciò che le è successo. Non conosco il sistema giudiziario, ma spero che non ci voglia così tanto tempo per avere giustizia e punire il colpevole.
Amore per tutti
La comunità “Cristianos Inclusivos del Paraguay” ha iniziato a riunirsi a partire dal 2014, cercando di trovare uno spazio in cui l’amore di Dio non venisse negato a nessun* a causa dell’orientamento sessuale o dell’identità di genere, rispettando l’integrità e la privacy di ciascuno. Ogni quindici giorni si riuniscono per generare uno spazio di riflessione e di scambio di esperienze, in un ambiente disteso e fraterno.
Testo originale: “Una reconciliación de amor y fe”