I gay credenti del David et Jonathan e le domande del Sinodo sulla Famiglia
Riflessioni del David et Jonathan, Associazione francese di omosessuali in ricerca spirituale, sul questionario del Sinodo sulla Famiglia, pubblicate il 15 gennaio 2014, liberamente tradotte da Dino
Il fatto di aver ricevuto un questionario pubblico ispira un senso di gratitudine verso Roma, anche se rimangono ancora molte domande e la realistica speranza di essere escoltati.
Per alcuni membri, David et Jonathan deve prima di tutto mantenersi fedele ai suoi 40 anni di storia ed assumere un atteggiamento di “filiale” cortesia verso una Chiesa cattolica cui un numero non indifferente di nostri aderenti rimangono dei fedeli impegnati e praticanti.
L’associazione non si pone l’obiettivo di essere una “parrocchia omosessuale” o una “Chiesa gay”, svincolata dai gruppi confessionali istituiti e storici, che prosegue da sola la sua strada.
Ma vuole cercare il più possibile di mantenere dei rapporti con le Chiese dalle quali provengono i suoi membri cristiani.
E per i cattolici, il Sinodo romano è dunque un’occasione unica di manifestare, in quanto battezzati, la propria voce di membri responsabili della loro Chiesa. Il carattere storico di questo passo è anche salutato dai nostri membri con un discreto entusiasmo.
E’ finalmente il segnale della realizzazione di una Chiesa “Popolo di Dio”, fondata sulla collegialità episcopale e la responsabilità dei battezzati, nello spirito del Concilio Vaticano II?
Tuttavia, altri membri si manifestano fin d’ora dubbiosi, facendo riferimento ad esperienze messe in atto, in passato o ancora in essere, all’interno di parrocchie, di diocesi, di commissioni o di luoghi accademici. Aspettano soprattutto delle azioni e fin d’ora mettono le mani avanti per il sinodo del prossimo autunno e per quello che avverrà nel 2014, temendo una defezione dei fedeli omosessuali se non si realizzasse un aggiornamento…
Ricordano che noi abbiamo già fatto sentire la nostra voce senza essere ascoltati, ad esempio nei sinodi locali.
Questi membri hanno anche avuto il sentore che le nostre parole potrebbero essere strumentalizzate nelle sedi dei dibattiti, che offrono un’immagine di pluralismo e di funzionamento democratico, ma che non sfociano in cambiamenti sostanziali e non producono altro che una soddisfazione di facciata.
Come non essere tentati, sia in quanto responsabili religiosi che in quanto cristiani LGBT, di lasciarsi andare ad una forma di lassismo e di disinteresse reciproco?
Su questo punto l’attuale contesto francese gioca a favore dello scetticismo e i fatti recenti condizionano ancora gli spiriti dei nostri membri: la massiccia partecipazione dell’apparato istituzionale cattolico a favore dei movimenti politici che si oppongono al matrimonio per tutti, le prese di posizione omofobe di alcuni ecclesiastici e il rifiuto del pluralismo all’interno delle comunità hanno causato profonde ferite di cui si fa ancora fatica a calcolare con precisione le conseguenze, in particolare nei più giovani.
L’associazione David et Jonathan, con grande preoccupazione pone questa domanda: Oggi il solco tra gli omosessuali e la Chiesa cattolica non si sta pericolosamente allargando?
E inoltre: testi come quello del gruppo famiglia della Conferenza Episcopale Francese “Ricerchiamo il dialogo”, ci ricorda che il dialogo, anche lungo e complesso, è necessario e forse possibile. (1)
Una Chiesa missionaria ha il dovere di essere credibile nelle sue affermazioni, soprattutto riguardo agli omosessuali.
Il questionario si colloca decisamente nella problematica di missione della Chiesa, e in particolare, dal papa Giovanni Paolo II al papa Francesco, in quella di “nuova evangelizzazione” nel contesto delle nostre società secolarizzate.
Questa domanda in particolare ha polarizzato la nostra attenzione perchè in effetti ci sembra cruciale: come rendere credibile il Vangelo nel nostro mondo attuale? Quale Chiesa può portare la buona novella ai nostri contemporanei e, tra questi, agli omosessuali e alle loro famiglie?
Sembra che il modello di una Chiesa troppo tradizionale, pensata coma “Mater et Magistra”, che si limita ad un approccio solo moralizzante e legalista, che è percepita come infantilizzante, che non fa che elencare dei divieti, non funziona più nella nostra società contemporanea fortemente secolarizzata, nella quale l’autonomia è un valore rivendicato e vissuto positivamente.
Una pastorale della discriminazione che ritorno è in grado di dare? Non sarebbe bene far affidamento sulle comunità di base per realizzare innovamenti, sperimentare e rivalutare le situazioni individuali?
Una Chiesa che è propositiva, che accompagna, che fa vivere ed è in relazione con i suoi fedeli -quella che sembra voler proporre papa Francesco- ci sembra più in linea con le nostre aspettative.
A questo proposito molti membri esprimono la loro incomprensione, se non addirittura la loro demoralizzazione, davanti a certe espressioni, a certe formulazioni, sia nei lineamenta che nel questionario stesso.
La “legge naturale” o il “diritto naturale”, concetti di sicuro usciti dalla teologia medievale occidentale e ancora presenti negli atti del Magistero, stanno davvero ancora a cuore alla nostra riflessione contemporanea? Si può veramente parlare di coppie “regolari” o “irregolari” nelle nostre società nelle quali la “regola” che vale non è più quella del diritto canonico ma piuttosto quella che ci unisce nel diritto democraticamente?
E’ possibile mettere sullo stesso piano tra i problemi pastorali del mondo contemporaneo questioni così diverse come i “fenomeni migratori”, la “poligamia”, “certe forme di femminismo” e le unioni di persone dello stesso sesso?
Immensi margini di manovre pastorali
Durante l’elaborazione delle risposte alle domande, è stato evidenziato che ciò che pone i maggiori problemi alla pastorale degli omosessuali, che siano in coppia oppure no, è la relativa clandestinità con cui essa è organizzata. Le situazioni locali, le sistemazioni provvisorie, la dipendenza da alcuni membri del clero o degli ordini religiosi, che sono continuamente suscettibili di essere richiamati altrove oppure sparire, oggi non soddisfano più.
La realizzazione di questa pastorale, così come viene svolta, nel segreto delle sacrestie, è in grado di proteggere i più deboli e i meno capaci di allacciare contatti personali con i membri delle istituzioni? Non è tempo di mettere in luce delle regole che spieghino come si debbano ricevere gli omosessuali nelle parrocchie, nei movimenti diocesani e nelle scuole confessionali?
Per di più la “tolleranza”, chiamata anche sbrigativamente misericordia, non funziona più quando nel resto della società è ormai l’inclusione che predomina sempre più. E’ possibile essere ridotti al solo proprio desiderio definito “disordinato” nella propria Chiesa e continuare ad essere, allo stesso tempo, un cittadino, senza maggiore o minore qualità morale, nella società che formiamo con gli altri?
Non è possibile affidare a dei referenti in modo specifico l’accoglienza degli omosessuali e delle loro famiglie? Non è questo un campo di cui potrebbero occuparsi i servizi di pastorale della famiglia come fa, a livello nazionale, la Conferenza Episcopale e la sua commissione nel campo delle questioni famigliari?
Le coppie omosessuali cristiane hanno spesso la sensazione, allo stesso modo delle coppie di divorziati risposati, di essere dei clandestini nella loro stessa Chiesa. Vivono degli insegnamenti e dei riti della loro Chiesa rimanendo nell’ombra, senza aver il coraggio di portare il loro contributo o facendosi da parte in un silenzio imbarazzato e colpevole.
David et Jonathan, con i suoi 40 anni di accompagnamento di persone omosessuali e del loro entourage, si tiene in ogni caso a disposizione per offrire le proprie competenze.
Al di là della pastorale, un invito ad approfondire la dottrina?
Se la pastorale, in modo particolare quella riguardo ai divorziati-risposati e agli omosessuali, si evolverà, non potrà illuminare di una nuova luce le debolezze dell’insegnamento morale tradizionale?
Ad immagine di un Gesù per il quale le persone oltrepassano le regole in nome del primato della legge d’amore e che rivela, sotto una nuova luce, la legge ebraica… David et Jonathan ha la specificità di partire da ciò che è vissuto ed espresso con la modalità della testimonianza.
L’associazione lascia ad altri maggiormente qualificati il compito di produrre dei saggi di esegesi e di teologia, ma vuole, prima di tutto, partire da quanto viene espresso con la modalità della testimonianza.
Ed è anche sensibile a come le referenze che servono alla discussione meriterebbero un esame obbiettivo e approfondito da parte di persone di qualità, che abbiano una formazione in esegesi, in teologia e nelle scienze umane e sociali contemporanee.
Se la Chiesa cattolica è in difficoltà con alcune norme familiari contemporanee, non è forse perchè ormai da quarant’anni la libera riflessione è proibita ai teologi e agli esegeti, ai quali è stato vietato di lavorare in nome della libertà accademica sulle questioni più scottanti? Due cantieri sembrano particolarmente importanti: la teologia sacramentale e la teologia della sessualità.
E’ ancora possibile proibirsi di pensare con libertà nel campo tanto complesso dell’etica sessuale e familiare, quando negli ultimi decenni tutti i nostri riferimenti tradizionali, anche quelli che provengono dalla medicina o dalla psicologia, sono stati rimessi in discussione? Non è tempo di dotarsi di riferimenti più in sintonia con le conoscenze contemporanee?
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(1) Consiglio Famiglia e Società della Conferenza Episcopale Francese, “Cerchiamo il dialogo”, Prospettive dopo il voto della legge che apre il matrimonio alle persone dello stesso sesso, 4 giugno 2013, testo pubblicato sul sito della CEF
Testo originale: Déclaration de David & Jonathan concernant le Synode romain sur la Famille (PDF)