I gay non saranno preti e forse Pio XII, per un po’, non sarà beato
Articolo di Fulvio Fania tratto da Liberazione del 31 ottobre 2008
I gay non saranno preti, a meno che non “guariscano”, e forse Pio XII non sarà beato per un po’ di tempo. E’ la stringata sintesi di una densa giornata vaticana, ancor più stringata per nostre esigenze di spazio.
Due gli eventi: la presentazione di una istruzione della Congregazione per l’educazione sul ruolo da assegnare agli psicologi nei seminari e l’udienza del Papa ad una delegazione dell’International Jewish Commitee, la commissione ebraica per il dialogo interreligioso che tra dieci giorni terrà un confronto a Budapest con la Santa sede su “Religione e società civile”.
Cominciamo dagli ebrei. Il rabbino David Rosen, appena uscito dal palazzo apostolico, ha raccontato un breve scambio di battute intercorso tra Benedetto XVI e un membro della delegazione ebraica. «Santità – avrebbe detto quest’ultimo – la prego di attendere l’apertura degli archivi prima di beatificare Pio XII». E Ratzinger lo avrebbe rassicurato: «Lo sto considerando seriamente».
Nel frattempo il direttore della Sala stampa vaticana Federico Lombardi ha precisato che gli archivi resteranno chiusi per «almeno sei o sette anni» perché la catalogazione di oltre 16 milioni di carte non potrà essere completata prima.
La notizia della beatificazione “archiviata” e la contestuale delusione per i tempi lunghi degli archivi sono subito rimbalzate sui giornali online di Isreale. In Vaticano non commentano ma lasciano intendere che forse Rosen ha esagerato in ottimismo: sette anni sono tanti. Che Ratzinger abbia frenato la corsa alla santità di Pio XII per studiare le reazioni degli ebrei non è però una sorpresa: ha lasciato passare il 50° anniversario della morte di Pacelli senza firmare il decreto sulle sue “virtù eroiche” mentre la Santa sede ha invitato fautori e nemici della beatificazione a non esercitare pressioni in questo momento di «riflessione». Una tirata d’orecchi al relatore della “causa” padre Peter Gumpel, che si era lasciato andare a dichiarazioni scomode, e al ministro isrealiano Herzog, che aveva violato il fair play diplomatico schierandosi contro Pacelli santo.
Il rabbino Rosen ammette che personalmente avrebbe evitato quella domanda al pontefice così diretta su Pio XII ma il suo discorso nel corso dell’udienza non è stato da meno. Tre punti risaltano in modo particolare. Il primo: il papa ripete spesso che il nazismo è stato anche «un attacco alla Chiesa cattolica», ma – obietta Rosen – non sarebbe dilagato tanto facilmente se l’antisemitismo non fosse penetrato anche tra i battezzati.
Secondo: dopo il Concilio le relazioni tra Chiesa ed ebrei sono cambiate molto, però certi atti recenti come il ripristino della preghiera del Venerdì santo per la conversione dei giudei suscitano nuove «preoccupazioni». Terzo: il Vaticano dovrebbe aprire gli archivi di Pio XII. Dal canto suo, Benedetto XVI ha esortato a «superare le differenze, prevenire le incomprensioni ed evitare gli scontri inutili». «Un dialogo sincero» – ha sottolineato – richiede «apertura» ma anche un «forte senso dell’identità».
Veniamo ora ai seminaristi. Il tema è la selezione dei preti, delicatissimo anche per la penuria di vocazioni. L’argomento specifico delle nuove direttive è l’intervento degli psicologi. Secondo la nota firmata dal Papa non si deve esagerare: no agli esami psicologici preliminari per tutti gli aspiranti. La vocazione «esula dalle strette competenze della psicologia» e comunque i consulenti devono garantire coerenza con la «concezione cristiana della persona, della sessualità e del celibato dei sacerdoti».
Il loro parere può essere utile solo su richiesta dei formatori e il seminarista dovrà autorizzare per iscritto il ricorso allo psicologo e l’uso delle sue valutazioni per il giudizio di ammissione al seminario o al sacerdozio. E quali sono i “disturbi” sotto osservazione? L’assillo sessuale trapela da ogni pagina degli orientamenti. I preti devono mostrare «senso positivo e stabile della propria identità virile» – le donne sono escluse in partenza -, devono essere capaci di «integrare la propria sessualità con l’obbligo del celibato», non devono rivelare «visioni errate della sessualità» o «un’identità sessuale confusa e non ancora definita».
Al paragrafo otto un comico eufemismo verbale sul fare sesso spiega che né per il celibato né per la castità è sufficiente «astenersi dall’esercizio della genitalità». Va valutato invece «l’orientamento sessuale». E se, malgrado la prescritta terapia, il seminarista continuasse a dare segni di «gravi immaturità» come «l’identità sessuale incerta» o le «tendenze omosessuali fortemente radicate», non resterebbe che dimetterlo dal seminario.
Secondo il cardinale Zenon Grocholewski, prefetto del competente dicastero, l’omosessualità resta «una «deviazione, una irregolarità, una ferita», insomma una malattia da curare, mentre solo gli etero sono «normali» e capaci di una corretta attività pastorale.
Al prete eterosessuale basterà non esercitarsi “genitalmente” mentre all’omosessuale toccherebbe negare se stesso. Chi non “guarisce” non può diventare prete. Il concetto, a dispetto della vasta presenza di omosessuali nel clero, era già stato affermato dalla precedente istruzione della medesima Congregazione vaticana nel 2005: in quel testo, oltre alle tendenze omosex e all’omosessualità «profondamente radicata», si escludevano dal sacerdozio coloro che «sostengono la cosiddetta cultura gay».
Allora, subito dopo gli scandali dei pedofili nei seminari Usa, fu forte nelle gerarchie la tentazione di una terribile equazione tra gay e pedofilo. Recentemente papa Ratzinger ha distinto nettamente i due aspetti rispondendo ai giornalisti sul volo per Washington. Ma l’idea che l’omosessualità sia un disordine foriero di peccati è rimasta “fortemente radicata”.