I protestanti e l’omosessualita’
Riflessione di Franca Long tratta da “Protestanti e sessualità”, Claudiana editrice, 1998, pp.47-52
Una differenza tra l’etica cattolica e l’etica protestante (con una varietà di posizioni all’interno dell’una e dell’altra) è che per i cattolici di solito il peccato è ciò che si oppone alla virtù; nel pensiero protestante l’opposto del peccato è la fede.
Ne deriva nel primo caso l’esigenza di elencare e graduare i peccati e le virtù, esaltando la purezza dei santi e delle sante; nel secondo la tendenza a parlare del peccato al singolare, condizione umana di incredulità e infedeltà, in cui tutti gli esseri umani sono compromessi, compresi i profeti di Israele o gli apostoli scelti da Gesù.
Riconoscere la centralità della fede e la responsabilità personale delle scelte di vita non ha impedito alle diverse generazioni e chiese protestanti di avallare in alcuni casi sistemi razzisti o di assumere atteggiamenti intolleranti, trovando nella Bibbia giustificazione e sostegno alle proprie tesi. Questo vale anche per la sessualità e in modo particolare per l’omosessualità.
La sessualità è presentata nella Bibbia come parte integrante della vita e della «vocazione» umana, soprattutto in relazione alla riproduzione, ma anche per esprimere la pienezza del rapporto uomo-donna. Il verbo usato per descrivere l’atto sessuale è lo stesso per esprimere la comunione con Dio: conoscere. «Adamo conobbe Eva, sua moglie, la quale concepì e partorì Caino» (Genesi 4,1). Questa intensità e pienezza è riconosciuta dagli autori biblici solo all’incontro eterosessuale.
La condanna dell’omosessualità, presente in vari testi, nasce essenzialmente da due motivazioni. La prima è il legame, frequente nei tempi antichi, tra culti idolatri e pratiche omosessuali.
Non dimentichiamo che tutta la storia del popolo ebraico è centrata sulla testimonianza all’unico Signore vivente e sulla ricorrente condanna-tentazione dei culti pagani resi a divinità e idoli dai popoli vicini. La seconda motivazione è certamente data dal fatto che il rapporto omosessuale è sterile e quindi non può generare la discendenza che Dio ha promesso numerosa ad Israele.
A differenza di oggi, il mondo antico non conosceva la realtà omosessuale come una condizione, né conosceva una visione positiva della sessualità non procreativa. L’omosessualità era osservata come manifestazione di passioni sfrenate o di perversione del sesso.
Tutto questo va tenuto presente in una riflessione cristiana su fede e omosessualità, senza per altro impoverire o relativizzare la centralità del rapporto donna-uomo nell’esperienza dell’umanità.
I testi biblici alternano narrazioni a parabole, a brani esortativi. Dovremmo riceverli nella comprensione della cultura che li ha prodotti, non sovrapponendo i generi «letterari». Per esempio nell’apostolo Paolo c’è la predicazione l’evangelo e la riflessione teologica; poi ci sono le sollecitudini e le esortazioni dirette a comunità con particolari problemi consuetudini, tentazioni prendere alla lettera – come normativo – il divieto di pratiche omosessuali segnalate come esempi di vizio e corruzione (Romani 1,26), indurrebbe anche a rifiutare l’abolizione della schiavitù, che è più volte citata come condizione da vivere con ubbidienza; o imporrebbe di astenersi dall’aprire un conto in banca, dal momento che Gesù — proprio Lui, non un apostolo – ci chiede esplicitamente di non mettere da pane denaro, perché il Padre che è nei cieli provvederà al nostro mangiare e al nostro vestire.
Gli esempi e le raccomandazioni sono legati ad un contesto esterno (la cultura del tempo, la dominazione romana, il rischio di assimilazione delle comunità cristiane, nell’apostolo Paolo) o interno al discorso stesso («Dove il tuo tesoro, li c’è anche il tuo cuore», nello straordinario discorso di Gesù, riportato da Matteo 6).
Per tornare alle esortazioni morali delle lettere apostoliche, notiamo che si accompagnano più volte ad una elencazione di comportamenti sgraditi a Dio e di altri indicati a modello di vita cristiana: collocarle nel loro contesto non vuol dire «liquidarle» con superficialità.
Sono davanti a noi nel Libro, provocazione e appello dell’antico discepolo. In esse c’è sempre un nocciolo forte che resta, annuncio per ogni generazione di credenti. Ecco il “me” della lettera agli Efesini per le donne e per gli mini, per omosessuali ed eterosessuali: «Uniti al Signore, voi vivete nella luce. Comportatevi dunque figli della luce: bontà, giustizia e verità sono i suoi frutti» (Efesini 5,8).
Sul piano concreto della vita di uomini e donne omosessuali esistono diversi problemi aperti. Nel mondo protestante internazionale è oggi già presente – nonostante la permanenza di diffuse riserve e preoccupazioni – la realtà di coppie omosessuali che vivono apertamente la loro fede all’interno della chiesa e contribuiscono alla presa di coscienza delle responsabilità storiche del cristianesimo nella trasmissione di pregiudizi e discriminazioni.
Più contrastata è l’accettazione di pastore e pastori dichiaratamente omosessuali. Ne è un esempio la chiesa presbiteriana degli Stati Uniti che da alcuni anni discute l’argomento con forti tensioni e alterne decisioni assembleari; tanto che è nato un movimento che raggruppa le chiese schierate a favore della consacrazione al ministero di omosessuali, per “una chiesa con più luce” (More light Church).
In Italia, al di là di singole esperienze di elaborazione teologica e di luoghi, come il centro ecumenico di Agape in Piemonte, dove da tempo si riflette sulla diversità degli orientamenti sessuali, solo a metà degli anni Novanta si è aperto un confronto nelle chiese su questa tematica. Il dibattito non è facile, perché le riserve sono di natura complessa e le posizioni articolate.
Nel 1994 una gran parte dei pastori e pastore metodisti e valdesi hanno firmato, in appoggio alla raccomandazione del Parlamento europeo, un appello per sollecitare in Italia una regolamentazione legislativa di riconoscimento delle convivenze stabili di coppie omosessuali.
La Commissione bioetica, già citata, pur distinguendo tra matrimonio (progetto di famiglia eterosessuale) e l’unione omosessuale, si è espressa a favore di «forme di benedizione» per le coppie omosessuali cristiane che ne facciano richiesta.
Perché sia possibile nelle chiese, come nelle città, una convivenza di reciproco arricchimento tra individui, famiglie e gruppi con diversi stili di vita, orientamenti sessuali e mentalità, non credo che siano utili scomuniche ma, d’altra parte, nemmeno provocazioni il «nuovo» ci è dato in speranza.
Possiamo solo cercare di costruire rapporti di pace e di ospitalità per limitare le sofferenze e combattere le ingiustizie. E tentare di promuovere una cultura «plurale» che non riconosca un unico modello di famiglia (oltretutto ormai solo «virtuale», se si pensa per esempio alla realtà di bambini con due famiglie di appartenenza, due coppie di genitori ecc.).
Il grande salto avviene quando non si percepiscono i comportamenti umani come «normali» e «diversi», ma come esperienze e condizioni che, con valenze diverse, convivono in un rapporto di maggioranza e minoranze. Con elementi di devianza e di violenza nell’una e nelle altre.
Quanto al resto, sul piano etico, vale per le donne e per gli uomini omosessuali quello che vale per gli e le eterosessuali: il rifiuto della propria e altrui mercificazione, la cura relazionale, la coscienza del limite e del conflitto […] .