Il cammino di M., la prima diacona transgender della chiesa metodista
Articolo di Julie Zauzmer pubblicato sul sito del quotidiano Washington Post (Stati Uniti) il 7 giugno 2017, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
La vescova pronuncia le parole tradizionali mentre impone le mani sulla nuova diacona di nome M.; c’è solo una piccola variazione rispetto a come sono sempre state pronunciate: “Infondi lo Spirito Santo su M. Mandale ad annunziare la buona novella di Gesù Cristo, ad annunziare il regno di Dio e a preparare la Chiesa per il ministero”. Non “mandalo ora” o “mandala ora”, no: “Mandale ora”. M. Barclay ha lavorato per dodici anni per sentirsi dire questo.
M. è una persona transgender che non si identifica né come maschio, né come femmina e che perciò utilizza il pronome “loro”, è stata consacrata domenica scorsa [4 giugno 2017] prima diacona non-binaria della Chiesa Metodista Unita. Questa Chiesa è una delle più grandi denominazioni degli Stati Uniti, seconda solo alla Chiesa Cattolica e alla Federazione Battista del Sud. Questa denominazione protestante storica si trova aspramente divisa sui temi della sessualità e dell’identità di genere: i suoi regolamenti ufficiali stabiliscono che i pastori e i diaconi, se non sono sposati con una persona del sesso opposto, devono essere celibi e che possono celebrare solamente matrimoni eterosessuali, ma i vescovi hanno già ordinato pastori gay e pastore lesbiche; vari pastori, inoltre, hanno celebrato matrimoni omosessuali.
Nel distretto dell’Illinois del Nord, in cui M. Barclay è stata consacrata, la vescova Sally Dyck ha dichiarato: “Certo, il cammino di M. negli ultimi anni ha riguardato anche la loro identità di genere, ma in realtà tutte le persone consacrate domenica scorsa hanno percorso un qualche tipo di cammino che le ha portate in nuovi luoghi di fede, di vita e di relazioni. Spero perciò che la Chiesa si trovi, in un prossimo futuro, in un nuovo luogo di piena inclusione”.
È stato un lungo viaggio quello che ha portato M. alla possibilità di essere ordinata. Cresciute in una congregazione conservatrice di Pensacola, in Florida, M. si considerava una donna etero quando decise di diventare pastora; nel 2005 si iscrisse quindi alla Facoltà Teologica Presbiteriana di Austin, nel Texas. Dopo un anno circa di letture teologiche – comprese la teologia femminista e la teologia queer – M. capì di non essere etero e fece coming out come donna lesbica: “Durante il secondo anno ho lottato molto per capire se volevo rimanere nella Chiesa. Ho lottato con il male che la Chiesa aveva fatto, non solo alle persone LGBT ma agli emarginati in genere. Non ero sicura di voler far parte di tutto questo. La mia fede era intatta, solo che era molto difficile immaginare una Chiesa all’altezza di ciò che penso Dio stia cercando di compiere nel mondo in questo momento”.
Dopo aver terminato la Facoltà, M. ha lavorato come responsabile dei giovani in una congregazione metodista di Austin. Predicare e partecipare al culto persuase M. che la sua strada era il ministero cristiano: “Comprendo che i regolamenti della Chiesa non lo permettono, ma la verità è questa: io sono queer e la mia vocazione è il ministero”. Nel 2012 M. chiese di essere consacrate in Texas. A quel tempo si identificava come donna e aveva una relazione con un’altra donna; pensava che per questo motivo non sarebbe stata presa in considerazione, invece superò il primo gradino e venne ammesso al secondo giro di colloqui. La commissione, però, non volle nemmeno incontrarla e innescò un infuocato dibattito pubblico: “Ci fu un dibattito di 400 pastori che discutevano se potevano dimostrare se avessi rapporti sessuali oppure no. Era terribile, terribile”.
Dopo una lunga lotta (M hanno poi ottenuto di essere ascoltata dalla commissione, ma la sua domanda è stata bocciata) M. si è trasferita a Chicago e ha trovato lavoro al Reconciling Ministries Network (Rete dei Ministeri di Riconciliazione), un’organizzazione che promuove l’inclusione delle persone transgender e queer nella Chiesa Metodista Unita. A quel punto M. si sentiva libera di uscire allo scoperto non solo come queer ma come transgender e, dopo qualche procedura burocratica, ha incontrato una nuova commissione, che approvò con entusiasmo la loro candidatura all’ordinazione.
M. ha pronunciato la promessa nella cerimonia di domenica scorsa e verra ordinata nel 2019, dopo il periodo di prova di due anni che tutti i diaconi e le diacone devono affrontare. Nella Chiesa Metodista Unita i diaconi e le diacone sono ministri ordinati, che svolgono il ministero della predicazione e della guida della comunità.
“Ad ogni passo che stavo facendo mi chiedevo se ce l’avrei fatta. Anche nel giorno della promessa pensavo: ‘Forse qualcuno irromperà in chiesa e troverà un modo per impedire la mia promessa’” . M. non ha una relazione al momento, quindi non viola i regolamenti secondo cui i pastori e i diaconi metodisti possono avere rapporti sessuali solamente all’interno di un matrimonio eterosessuale; non ci sono invece regole che impediscano alle persone transgender di essere ordinate.
Per qualcuno, però, l’identità di genere di M. è causa di turbamento. Il reverendo Thomas Lambrecht, responsabile del gruppo metodista Good News (Buona Novella), contrario al matrimonio omosessuale e ai pastori LGBT, afferma che il pensiero generale del suo gruppo è che si dovrebbe vivere nel genere assegnato alla nascita, anche se le persone transgender dovrebbero essere accolte nelle congregazioni: “Forse dobbiamo mettere dei paletti in alto e considerare le persone transgender come non adatte al ministero. È stato prematuro concedere la promessa a M. Barclay, viste le domande che la sua futura consacrazione fa sorgere nelle menti di molti fedeli metodisti”.
M. afferma di aver ricevuto molti messaggi ostili sul suo ruolo nella Chiesa, ma anche messaggi da parte di cristiani e cristiane LGBT, di genitori di giovani LGBT e di varie chiese locali che auspicano una teologia che incorpori l’insegnamento cristiano e le tematiche queer: “Come posso lavorare, teologicamente e biblicamente, per le persone trans? Molti mi invitano a predicare su questo tema”.
Ora, come futura diacona, M. continuerà a svolgere il loro ministero al Reconciling Ministries Network, a predicare e organizzare iniziative in varie congregazioni metodiste, con una differenza non da poco: indosserà il collarino. La maggior parte dei pastori e dei diaconi metodisti lo indossa di tanto in tanto, ma M. vuoe esibirlo sempre: “Mi sento proprio chiamata a farlo. Le persone queer e trans hanno bisogno di vedere una trans dichiarata che agisce come estensione della Chiesa. Hanno bisogno di riflettersi nella vita di fede”. Così, ogni mattina, M. si veste e si guarda allo specchio; lì la nuova diacona metodista vede ciò per cui hanno lottato a lungo: un viso fedele alla sua identità, con un emblema cristiano attorno al collo.
Testo originale: The United Methodist Church has appointed a transgender deacon