Il chiodo fisso del gender e i ridicoli attacchi a Sanremo
Riflessioni di Massimo Battaglio
Che alcuni politici o aspiranti tali avrebbero usato il palco di Sanremo per farsi propaganda, era prevedibile e non è la prima volta. Che qualcuno avrebbe sventolato la bandiera anti-gender, ci sta pure. D’altra parte, l’Ariston si è tinto di arcobaleno a sufficienza per sollecitare le ire di chi ha il chiodo fisso. Che questo fenomeno assumesse i toni ridicoli dei comunicati di quel tal senatore leghista, è già un po’ più sgradevole. Che ai loro strilli sconclusionati si aggiungessero quelli del vescovo locale, è veramente penoso.
La reazione dell’onorevole è nota. Appena ha visto quattro piume addosso ad Achille Lauro, gli è scattato il twitt:
“Anche quest’anno il festival viene invaso da baci omosex, sermoni sulla bellezza della transizione sessuale, continuo ammiccamento LGBT, divetti trash che si impiumano e bestemmiano la religione cristiana… Capirai che novità… Tutto già visto. Sogno un festival di Sanremo che sia momento di arte, di musica, di bellezza. Sono stanco di vedere il palco dell’Ariston trasformato in megafono per le follie Gender. Perché il massimo evento musicale itliano deve diventare anno dopo anno una sorta di ossessivo gay pride? Lo so, abbiamo problemi molto più seri, ma quelli sono pur sempre soldi pubblici, e non possono essere usati per promuovere le false ideoogie di parte. Chiedo troppo?”
Poi, il cinguettio è sparito. Restano solo numerosi screen shot a testimoniare che questo delirio è stato davvero pronunciato. Tanto che se ne sono accodati altri, come quello del marito della conduttrice televisiva Veronica Maya, il chirurgo plastico Marco Moraci. Anche lui usa twitter per strillare (tutto a lettere maiuscole) uno sdegno tutto programmato:
“Più che un Festival di Sanremo, è un Gay Pride”. E poi: “Una volta il festival di Sanremo era un’occasione per le famiglie italiane, per riunirsi e guardare la bella, sana musica italiana in cui le canzoni avevano testi ricchi di valori come amicizia, amore e stimolo a far bene nella vita“. “Io ho cercato di spiegare ai miei figli cosa fosse Achille Lauro e ho preferito cambiare canale”.
Pazienza: un privato cittadino può avere il chiodo fisso che vuole. E’ la libertà di opinione.
Altrettanto legittima, per quanto discutibile, è stata la reazione di Famiglia Cristiana, che ha bollato la scena delle lacrime di sangue di Achille Lauro come “sicuramente eccessiva, forse anche blasfema”:
“una scelta eccessiva, per certi versi scioccante, che l’artista si poteva tranquillamente risparmiare e che potrebbe anche essere interpretata in maniera negativa, al di là di possibili riferimenti cercati e voluti, come una offesa ai credenti cristiani, per la possibile allusione alla statue della Madonna e a immagini sacre legate alle lacrimazioni: l’effetto potrebbe richiamarle, sfiorando il blasfemo”.
Le finte lacrime sono una prerogativa delle madonnine? Sono ammesse solo se appaiono in chiese bisognose di manutenzione? E sono diventate una verità di fede? O semplicemente, il direttore Antonio Rizzolo confonde ancora una volta la devozione popolare con la superstizione? O, ancora più semplicemente, cercava qualcosa a cui attaccarsi?
Ma il colmo è raggiunto dal vescovo di Albenga, sotto la cui giurisdizione si trova Sanremo. Con un comunicato ufficiale, ci avverte che il suo pronunciamento è stato sollecitato da “tante segnalazioni di giusto sdegno e di proteste riguardo alle ricorrenti occasioni di mancanza di rispetto, di derisione e di manifestazioni blasfeme nei confronti della fede cristiana, della Chiesa cattolica e dei credenti, esibite in forme volgari e offensive”.
Aggiunge che il suo intervento è “per confortare la fede dei piccoli, per dare voce a tutte le persone credenti e non credenti offese da simili insulsaggini e volgarità, per sostenere il coraggio di chi con dignità non si accoda alla deriva dilagante, per esortare al dovere di giusta riparazione per le offese rivolte a Nostro Signore, alla Beata Vergine Maria e ai santi, ripetutamente perpetrate mediante un servizio pubblico e nel sacro tempo di Quaresima”.
Non pronuncia il nome del chiodo fisso ma non è necessario. Se la sta prendendo chiaramente con Achille Lauro, il nuovo profeta del GENDER!!! (tutto maiuscolo, grassetto e con tre punti esclamativi).
Forse il vescovo Antonio Suetta non ricorda che la legge fondamentale italiana non è più lo Statuto Albertino, che apriva dicendo che la religione di Stato è il cattolicesimo. Oggi va di moda la Costituzione della Repubblica. La quale, all’art. 19, si dice semplicemente che: “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume”. Non si fa cenno alla Beata Vergine nè ai santi, nè tantomeno al tempo di Quaresima.
Nè si può sostenere che, proprio in base al concetto di libertà religiosa sancita dall’articolo succitato, tutti siano tenuti a osservare la penitenza quaresimale. Perché vedere Sanremo non è obbligatorio. Per seguire i desiderata di Sua Eccellenza, basta cambiare canale.
Io, oltre a credere in Dio, faccio anche parte di quel popolo LGBT tanto esecrato. Anzi: sarebbe meglio dire che faccio prima parte di quel popolo e poi di quello dei credenti, perché il primo è un dato di natura mentre il secondo è una mia scelta. E sono ben felice che Sanremo si stia finalmente accorgendo – con toni che non mi sembrano affatto blasfemi – che quelli come me esistono, hanno una dignità e magari anche qualcosa da dire al mondo dell’arte e della canzone.
Sono solo contento di aver sentito pronunciare ad Achille Lauro, frasi ripetute proprio come un altro chiodo fisso, che suonano così:
“Esistere è essere. Essere è diritto di ognuno. Dio benedica chi è”.
“Godere è un obbligo, Dio benedica chi gode”.
“Il pregiudizio è una prigione. Il giudizio è condanna. Dio benedica gli incompresi”.
“È giunto il nostro momento. Colpevoli e innocenti, attori e uditori, santi e peccatori. Tutti insieme sulla stessa strada di stelle, di fronte alle porte del Paradiso. Tutti con la stessa carne debole, la stessa rosa che ci trafigge il petto. Insieme, inginocchiati davanti al sipario della vita. E così sia. Dio benedica solo noi esseri umani”.
Forse questo non è il Dio dei cattolici? Strano: io ero abituato a credere che esistesse un solo Dio, non un pantheon politeista in cui ciascun vescovo, ciascun senatore e ciascun Achille Lauro piazzano la statuetta del dio che preferiscono. E il Dio in cui mi è stato insegnato a credere (proprio da parte dei cattolici che mi hanno preceduto), è proprio un Dio che benedice. Non è un Dio con il chiodo fisso:
“Benedite e non maledite. Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto. Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri”. (Rm 12,14-15).
Siano dunque benedetti i senatori, Famiglia Cristiana e il vescovo di Albenga. E non si schifino troppo se lo dico io.