Padre Felice Scalia: i gesuiti e il Concilio disatteso
Dialogo di Silvia Lanzi con padre Felice Scalia S.J., 28 novembre 2012
Gesuita da più di cinquant’anni Padre Felice Scalia, è intervenuto ad un recente convegno riguardante il Concilio Vaticano II. Nel suo discorso padre Scalia ha sottolineato il rapporto, non sempre limpido e privo di tentennamenti della Chiesa, con lo spirito del grande evento.
Si inserisce nella corrente di chi vorrebbe che lo Spirito che ha soffiato durante gli anni in cui cardinali e vescovi si riunivano per riportare rinnovare la Chiesa rendendola più fedele allo spirito di Cristo.
C’è invece chi interpreta, e vorrebbe, il Concilio come un mero “lifting” della Chiesa, una sorta di modernismo di facciata – tradottosi, ad esempio, nella celebrazione della messa nelle lingue nazionali e poco più. Il Vaticano II ha avuto senso? Lo chiediamo ancora a Padre Scalia.
A quanto ho letto, secondo lei, e secondo una parte consistente dell’Ordine dei Gesuiti, il Concilio Vaticano II è stato ampiamente disatteso? Perché?
Il Vaticano II è stato un Concilio che ha rotto una tradizione millenaria nella visione che la Chiesa aveva di se stessa e nei riguardi del mondo. Dopo l’editto di Costantino del 313 si era andata costituendo una Chiesa molto legata con il potere imperiale, tendente a percepirsi come “civitas Dei” parallela alla “civitas hominis” di agostiniana memoria, incline al fasto, all’accentramento autoritario disciplinare e dogmatico, più preoccupata di se stessa, del suo prestigio e del suo potere, che del “Regno di Dio” per cui era stata pensata da Gesù di Nazareth.
Nei riguardi del mondo esisteva una sorta di diffidenza: immerso nel peccato, bisognava riportarlo a retta ragione con l’ubbidienza all’autorità sacra e con la paura di pene temporali ed eterne. Sulla terra gli uomini, abbondantemente feriti prima di nascere dal ‘peccato originale’, avevano bisogno di espiare il male commesso, distaccarsi sempre più dalla dimensione terrestre, fare opere buone per guadagnarsi il Cielo.
Una simile tradizione strideva sempre più con le esperienze dell’uomo moderno che nel solo secolo XX aveva combattuto due guerre e che sentiva un profondo bisogno di liberarsi dalla paura (anche dal terrore di Dio) trovando nuove ragioni del vivere, credere, lavorare, lottare e morire. Sentiva il bisogno di un Vangelo di liberazione e non di oppressione. Una nuova fraternità, nata nel dolore e nello sbigottimento dell’Olocausto, spingeva gli uomini a rivedere la loro storia e perfino la loro storia cristiana. La risposta a questo nuovo clima nella Chiesa era duplice.
Da una parte alcuni (teologi, popolo di Dio, vescovi…) nutrivano il desiderio di una Chiesa più centrata sul Vangelo del Regno, più libera dal potere, più aperta alla speranza. Dall’altra parte c’era chi pensava ad una restaurazione dell’antico: riportare la chiesa agli splendori della “cristianità” medievale, ad una disciplina restaurata, ad una fedeltà più stretta alla liturgia, alla teologia, alla pastorale dei tempi passati, ad una obbedienza ancora più marcata…
Al Vaticano II convocato da Giovanni XXIII, per ispirazione provvidenziale dello Spirito Santo, prevalse la prima ipotesi e fu “nuova Pentecoste”. La Compagnia di Gesù giunge al Concilio con le perplessità che solcavano tutta la Chiesa, ma soprattutto a partire dalla Congregazione Generale XXXII, sceglie la fedeltà al Concilio in un servizio alla fede e nella promozione della giustizia.
Purtroppo non succede questo in una parte autorevole della Chiesa, ed in modo sempre più chiaro (almeno a partire dal papato di Giovanni Paolo II), comincia presto quell’opera sotterranea di demolizione e demonizzazione del Concilio che fa diventare colpa o motivo di sospetto una leale e coraggiosa svolta pastorale.
Per rispondere direttamente alla domanda, credo di poter dire che questa presa di distanza, oggi quasi ufficiale, dal Concilio dipende non solo da una diversa valutazione pastorale, ma anche da motivazioni politiche. Il Concilio infatti aveva sdoganato la Chiesa dalla sua identificazione con l’Occidente, e l’aveva portata ad essere “Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri”, nuova speranza per ogni disperato della terra.
Come mai la spaccatura nell’Ordine?
Se un Ordine religioso vive il risveglio delle coscienze con la doppia prospettiva di ritorno massiccio al passato o di salto verso il “novum” dello Spirito (ne parlavo prima), immancabilmente finisce per attendersi cose diverse da un Concilio ecumenico. Per questo la Compagnia di Gesù perde l’indomani del Concilio circa diecimila membri.
Chi va via perché il Concilio ha detto troppo poco per la liberazione dei “poveri” ed il vero volto di Cristo; e c’è chi va via perché il Concilio si è spinto tanto oltre da non fare più riconoscere il volto della Chiesa e dell’Ordine che avevano amato da ragazzi. Le cose peggiorano quando ci si accorge che la “scelta dei poveri” creava dissidi con la Curia Romana.
Fu drammatico constatare che essere fedeli allo Spirito che aveva ispirato il Concilio, ritornare ad un Vangelo di vera e totale liberazione dell’uomo, significava essere sospettati di infedeltà a quel Pontefice a cui la Compagnia di Gesù era ed è legata da un voto particolare di ubbidienza. Ci rimise salute, credibilità quel sant’uomo di Pedro Arrupe, generale di una Compagnia di Gesù in piena tempesta. Con lui una cinquantina di confratelli che persero la vita per mano di governi assassini e sedicenti cattolici.
Come la penserebbe ora Ignazio di Loyola? Come la pensano quel “gruppo di dissidenti” che preferisce il sussurro lieve dello Spirito alle parole spesso roboanti e prive di compassione dei papaveri della gerarchia ecclesiastica? A voi la risposta.