Il cuore e i fatti. Dio esiste perché esiste l’Amore
Testimonianza di Andrea Bertoldi di Effatà, gruppo Ecumenico di cristiani omosessuali di Milano
Alla mia età, quasi quarantanove anni, sono arrivato a questa conclusione. Dio esiste perché esiste l’Amore, quella consapevolezza di essere irresistibilmente attratti da una persona, volendole bene in modo indescrivibile, ma che, al contempo, come solo agli uomini accade, ci parla di infinito. Se l’Amore ci fa scoprire il divino, è l’Immaginazione che serve a cercarlo, come quando, ad una certa età, si comincia a cercare la gioia con l’altro, prima ancora di averla conosciuta.
Ero poco meno che adolescente quando questa parte così importante della mia identità si è fatta viva per la prima volta; lo ha fatto molto semplicemente, attraverso i primi sogni ad occhi aperti. Si trattava, però, di fantasie per me inaccettabili, anche se ero costretto a prendere atto, aprendo la prima crisi della mia vita, che nascevano spontaneamente e con impetuosa dolcezza.
Ero sempre stato un ragazzino educato, bravo a scuola, sportivo, ma non appena si è manifestato quel conflitto, ho cominciato ad inabissarmi pensieroso e cupo. Accadeva a tutti gli adolescenti, lo capivo bene, ma per me, me ne sarei accorto molto presto, era diverso, io ero solo, più solo. Mentre i miei coetanei, nella caduta, via via, si ancoravano alle prime pomiciate in gita scolastica, alle dichiarazioni d’amore scalfite nel legno delle panchine e, come cuccioli, imparavano le dinamiche dei grandi con le donne, io continuavo a cadere, dovendo preoccuparmi, semmai, di nascondere.
A quei tempi, eravamo tra la fine degli anni ’70 e gli inizi degli anni ’80, essere froci, nel periodo delle scuole dell’obbligo, in una piccola cittadina di provincia, era pericoloso. Lo era essere secchioni, mingherlini e “impediti a pallone”, figuriamoci il resto. Ma la solitudine di un segreto “sporco”, la paura di essere preso in giro, l’invidia verso i miei compagni etero che giocavano liberamente con i loro desideri, era niente in confronto a quello che sarebbe venuto dopo. Per molti anni, a dire il vero, l’Amore mi ha risparmiato. Tutto sommato, il desiderio fisico, forse anche per indole personale, era gestibile “in proprio”, “senza troppe menate”; nulla sapevo del vero desiderio. Per me il sesso era un sacchetto di caramelle; ogni tanto ne mangiavo una, avvertendo un vago sentore di quello che sarebbe potuto essere farlo con uno dei bei ragazzoni delle classi superiori che, naturalmente, spiavo negli spogliatoi in palestra; qualcuno di loro se ne accorgeva lasciandosi sfuggire uno sguardo ambiguo su cui avrei fantasticato ancora la sera, a casa, nel mio letto, prima di dormire.
E poi è arrivato lui. In realtà, era già lì, ma non lo avevo mai guardato in quel modo; in quel modo non avevo mai guardato nessuno.
Io e S. eravamo compagni di classe e con il tempo molto amici. Era abitudine di entrambi scrivere pensieri e riflessioni personali che poi ci scambiavamo. Una sera del dicembre 1988, mentre S. mi leggeva uno dei suoi scritti, è successo qualcosa. Ascoltavo la sua voce; ad un tratto ho sentito dentro di me accendersi un calore potentissimo, un’emozione intensa, mai provata prima. Mi sono voltato e ho visto S. per la prima volta; ho visto un uomo per la prima volta e non sarei mai più stato lo stesso.
A quell’epoca, non avevo nessun rapporto con la religione già da molti anni. Era rimasto il ricordo di quando da bambino avevo l’obbligo di andare a messa la domenica. Per me Dio era stato una presenza totalmente astratta, un luogo ideale dove riporre i buoni propositi, pentirsi delle marachelle, una divinità a cui chiedere dei favori in cambio di quelli che chiamavano “fioretti”. Ero affascinato dalla messa, soprattutto quella “grande”, con la musica per organo, il coro e i paramenti; potere, lusso, magia e buoni sentimenti si mescolavano, senza molto altro. Negli anni del liceo, anche quel fascino e quel timoroso rispetto erano svaniti. All’inizio per distrazione, in seguito, per aver letto e capito (!?) Freud, Marx e Nietzsche, il fatto religioso era scomparso dalla mia vita o era diventato, in uno con la politica e la morale della Chiesa, oggetto di aspre critiche e altero disinteresse.
Probabilmente, chissà, se con S. avessi avuto una storia “normale”, nemmeno quell’evento catastrofico avvenuto nel mio cuore nel dicembre del 1988, avrebbe avuto l’effetto che invece ha avuto, se non altro come prologo.
S., eterosessuale, non era disponibile. Tornavo così nuovamente ad inabissarmi, ma questa volta piegato in due dal dolore che, con l’effetto di un coltello conficcato nel fianco, accompagnava l’amore e ne era parte inscindibile. Se pensavo a S., se lo frequentavo, ed era inevitabile era altrettanto inevitabile vedere la rosa, ma restare impigliato nelle spine e sanguinare. E’ stato allora, nei lunghi mesi di disperazione, che ha cominciato a scorrere, immensa, la grande domanda: che senso ha?!
Che senso aveva quel sentimento dolcissimo e immenso che mi faceva pensare a qualcosa di eterno, se non potevo condividerlo con lui, se ero così infelice.
Qualche anno dopo quella famosa sera, il nostro rapporto, per impossibilità, per consunzione, si è esaurito nell’unico modo possibile: lui è sparito, io sono naufragato nella rabbia e nella depressione, finché lentissimamente, il mio cuore si è dimenticato di lui e mi ha lasciato in pace.
Mi restava il rimpianto di aver sprecato molto tempo ad essere infelice, ma anche la certezza che quell’esperienza mi aveva lasciato qualcosa di molto importante. Innanzi tutto, la definitiva consapevolezza di essere gay (un uomo che si innamora di altri uomini), ma anche quella di essere dotato di un cuore capace di lasciarsi misteriosamente coinvolgere in qualcosa di più grande.
Nel lungo periodo intermedio, mentre come tutti, vivevo le piccole grandi storie di un gay abbastanza evoluto, Dio, la religione, sono restati assenti. L’esperienza più incisiva nel mio cammino, infatti, è piuttosto recente, ma molto simile a quella che, proprio per questo motivo, ho appena raccontato.
Lo temevo, come un malato scampato alla malattia continua a temerla anche se non ci pensa, ed infatti è successo ancora, nel marzo 2017.
La cosa è nata da un banalissimo contatto cercato e trovato su un noto sito per incontri gay.
Così una sera, dopo i soliti primi approcci scritti, ci siamo visti. Sulle prime, malgrado avessi scoperto che si trattava di un ragazzo bellissimo, mi era sembrato mezzo matto e neppure mi attraeva fisicamente. Durante quella stessa serata, però, le cose hanno preso una piega inattesa. F. ha incominciato stranamente a parlare di me, mi descriveva bene, come già altri avevano fatto, ma la sua voce, il suo modo particolare e unico di discorrere, hanno avuto su di me un effetto dirompente. Il cuore si è messo improvvisamente a battere forte. L’ho guardato dritto negli occhi e gliel’ho detto, lui si è zittito e mi ha scrutato. Cosa stava accadendo?
Niente, non se ne poteva comunque fare niente: troppo fidanzato, una vita all’estero, troppo di tutto e niente di tutto. Ho resistito, sono rimasto in guardia, ma ancora una volta ho avvertito come una forza esterna che mi diceva “amalo”, che mi faceva commuovere fino allo lacrime pensando a lui, che mi faceva ripensare all’infinito bene che avrei voluto per lui, senza chiedere niente.
E’ stato F. che me ne ha parlato, in una delle nostre lunghissime telefonate, prima che partisse.
– Hai provato, hai provato?! – mi ha detto – ad andare in chiesa (era la prima sera del triduo pasquale, ho imparato da lui cosa significasse), vai e poi mi dici – .
Sono andato e come mi aveva proposto mi sono solo seduto nella chiesa vuota, in ascolto. Lentamente nei giorni successivi i suoi discorsi e la gioia che avevo provato si sono andati ad accumulare in un’intuizione, in una possibile risposta alla mia domanda che lui stesso stava riaccendendo nuovamente in me: che cos’è l’Amore, a che cosa serve?! A cosa serve quando ci rende infelici?! Un’intensità tale è destinata solo alla felicità individuale?! La felicità individuale è lo scopo, la sofferenza è l’errore?! E più in generale vuol dire allora che esistono cuori sbagliati perché amano in modo diverso, in un modo che va contro il buon senso o ciò che è ritenuto conveniente, comprensibile, utile, normale?!
Tutto ciò e l’umana mancanza di F. che poi è partito e non lo vedo più, sono state notti insonni, piegato in due, trafitto a singhiozzare come un adolescente, come una donna. Sono state giornate lugubri e ammutolite sotto il sole, sotto il peso del suo silenzio assoluto, chi le conosce lo sa.
L’unica cosa che mi salvava, e che a vent’anni non avevo, era questa semplice frase che mi ripetevo a voce alta tentando di respirare: “non è colpa tua”. Perdonarmi, cercare una spiegazione comprensibile al cuore stesso, oltre gli psicologismi, mi è sembrata l’unica vera soluzione ad un mistero che è il modo in cui siamo stati progettati.
Ecco, è più o meno così che ho scoperto che nel nostro cuore abitano l’Amore e la Sofferenza e c’è anche l’Immaginazione che serve a cercare. Questo meccanismo perfetto, questa altrimenti incomprensibile struttura di dialogo incessante della coscienza, dell’agire e del vivere umano che si protendono verso un altro, questo segreto motorino atomico che ci portiamo dentro, questo generatore di interrogativi, di infinite esplorazioni, di enormi felicità e sofferenze, che sono diverse da quelle del corpo al pari grandiose, questa cosa qui non può che essere Dio; un Dio che ci provoca mostrandoci i segreti della nostra, della sua, umanità, e di un’altra dimensione che possiamo così sperimentare.