Il ‘diverso’ in mezzo a noi (Mt 25: 31-46)
Quando Gesù viene in mezzo a noi nel Vangelo di ogni giorno ci sembra abbastanza familiare. Abbiamo conosciuto il suo nome fin dall’infanzia e ci aspettiamo di incontrarlo nell’adorazione.
Può essere che sia proprio questa grande familiarità che ci impedisce di renderci conto di quanto in realtà egli sia molto diverso da ciò che ci aspettiamo.
Questo è già abbastanza strano, perché noi pensiamo a Gesù come colui che rivela un Dio di misericordia e di amore: da lui non si sentono discorsi sulle fiamme dell’inferno.
Ma qui egli parla come se gli esseri umani debbano in qualche modo rendere conto a Dio per quello che fanno e se il loro destino dipendesse in qualche modo proprio da ciò.
Che cosa ci potrebbe essere di più strano? Pensare di dover rendere totalmente conto delle nostre decisioni e azioni sta diventando sempre più un ‘idea strana in questo nostro tempo.
I bambini non si sentono responsabili verso gli insegnanti, i cittadini non si sentono responsabili nei confronti del governo, i lavoratori non si sentono responsabili nei confronti dei datori di lavoro.
Perché qualcuno dovrebbe pensare di essere responsabile nei confronti di Dio? Oppure, potrebbe essere che la nostra incapacità di riconoscere una responsabilità verso Dio sia la sorgente della nostra incapacità di sentirsi responsabili verso gli altri?
Ma questo strano individuo, questo Diverso in mezzo a noi ci mette di fronte all’affermazione che Dio, pur amandoci comunque, sta per emettere un giudizio su di noi. Questo è un rovesciamento della nostra mentalità attuale.
Se la sola idea del giudizio è strana per noi, gli oggetti del giudizio sono ancora più strani. Ci aspettiamo che siano gli altri, i “diversi” appunto, a essere giudicati. Se le persone sono povere, c’è un motivo. Se le persone sono malate, c’è un motivo.
Il giusto sa che queste sono le forme del giudizio di Dio sui peccatori. Così, è un’idea familiare che i peccatori saranno giudicati.
Ma qui, Gesù non parla a quella gente. Sta parlando ai suoi discepoli. Sta parlando a noi. Ciò è molto strano, perché pensavamo di essere noi a giudicare, non di essere quelli giudicati. Ma la cosa strana di Gesù è che ogni volta che ha la possibilità di condannare un peccatore, come la donna colta in adulterio, lui non lo fa.
E ogni volta che ha la possibilità di premiare i giusti per la loro virtù, non fa nemmeno questo. Per esempio, due uomini salgono al Tempio per pregare: un pubblicano e un fariseo.
Il pubblicano confessa i suoi molti peccati, ed è giustificato, mentre il fariseo vanta i suoi successi impressionanti davanti a Dio ed è giudicato.
Se gli oggetto del giudizio sono strani, la base per il giudizio è ancora più strana. Se ci sarà un giudice finale davanti al quale ci presenteremo, ci aspettiamo un verdetto sulla base di quanto abbiamo evitato di fare cose cattive.
Sappiamo cosa sono le cose cattive: sono le cose che fanno male alle persone. Noi pensiamo di salvarci davanti al giudizio di Dio vivendo secondo l’etica dei nostri giorni: posso fare tutto ciò che mi piace, finché non faccio del male a qualcun altro.
Ma il Diverso in mezzo a noi ribalta completamente questa idea. Il giudizio di Dio non è basato sull’evitare di fare del male agli altri, ma sul nostro impegno a far loro del bene.
Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare. Ho avuto sete e mi avete dato da bere. Ero nudo e mi avete vestito. Ero malato e mi avete visitato. Ero forestiero e mi avete accolto. Ero in prigione e mi avete visitato.
Non abbiamo bisogno che sia Gesù a dirci di non farci del male a vicenda: possiamo capirlo da soli. Ma Dio giudica con un’etica più alta di quella che noi esseri umani avremmo stabilito per noi stessi.
Quello che Gesù introduce nell’equazione della nostra responsabilità è questo qualcosa in più di consapevolezza dei nostri doveri nei riguardi della salvezza e del benessere degli altri.
L’idea non nasce con Gesù. Essa risale almeno a Mosè che ha insegnato a Israele a non raccogliere tutte le messi del proprio campo, ma a lasciare alcune spighe per gli stranieri e i pellegrini di passaggio.
Il principio risale a quando Caino uccise Abele e Dio gli chiese: dov’è tuo fratello? Caino rispose con una domanda così diffusa ai giorni nostri: Sono io il guardiano di mio fratello? La risposta di Dio è “che hai fatto?”.
Non è solo tuo fratello, ma il tuo stesso prossimo che devi amare come te stesso. Di più, il tuo prossimo non include solo quelli della tua cerchia, ma anche quelli che stanno al di fuori di essa: lo straniero, l’estraneo, il forestiero, il diverso da te, anche il tuo nemico. O almeno, così ha precisato Gesù.
Ma cosa ne sapeva? Chi si crede di essere per addossarci tali esigenze del tutto innaturali? Egli è proprio il Diverso in mezzo a noi, che ci parla della nostra responsabilità verso coloro che sono diversi in mezzo a noi. Ma c’è dell’altro..
Forse la cosa più strana che si nota di Gesù è la corrispondenza tra ciò che ha detto e ciò che ha fatto.
Non solo ci ha insegnato a includere nella comunità quelli che naturalmente tenderemmo a escludere, ma questo è ciò che ha fatto Egli stesso. Guardate i luoghi in cui si trova Gesù nel Nuovo Testamento.
Lo si vede nel Tempio solo due volte: una volta quando aveva dodici anni e una volta quando scaccia coloro che lo stavano profanando; il Tempio non era il suo posto preferito.
Lo si trova di tanto in tanto in conversazione con gli scribi, i farisei, i sadducei e altri leader della comunità religiosa, con la loro preoccupazione per la giustizia. Ma il più delle volte queste conversazioni erano in realtà occasioni di scontro fra la loro ristrettezza e la sua grazia.
Voi sapete dove di solito poteva essere trovato Gesù: tra gli esclusi, i diversi, quelli che le persone più religiose consideravano indegne della loro presenza e meritevoli di essere tenuti alla larga.
Era sempre tra quelle categorie di persone di cui ci ha insegnato ad avere cura: gli esattori delle tasse, come Matteo e Zaccheo; i peccatori, come i ladri sulla croce; le donne, come Marta e Maria; i piccoli, come quelli che teneva fra le braccia e benediceva fra le proteste dei suoi discepoli; i pagani, come la donna siro-fenicia che era disposta a mangiare le briciole che cadevano dalla tavola di Israele; i poveri, come la vedova che dava le sue ultime monete; e gli zoppi, i paralitici, i ciechi e i lebbrosi, come i dieci che guarì, ricevendo il ringraziamento da uno solo.
Cosa ci faceva un bravo ragazzo ebreo in giro con persone come queste? Egli è il Diverso in mezzo a noi ed è solidale con coloro che sono diversi fra di noi.
È già abbastanza strano sentirsi dire che la disponibilità ad aiutare gli estranei è la base per la valutazione divina. Ma ci sono delle idee ancora più strane. Noi pensiamo che Dio ci giudicherà per quello che facciamo per Lui più che per quello che facciamo per le persone.
Non saremo giudicati per quanto avremo amato Dio; quanto avremo pregato Dio; quanto avremo dato a Dio, quanto avremo servito Dio? Beh, in un certo senso, sì.
Ma la cosa strana è che il modo in cui amiamo Dio è molto diverso da quello che normalmente pensiamo. Certo, le attività religiose hanno il loro posto e valore; il problema viene quando le utilizziamo come strumento di valutazione: siamo portati a trasformare queste attività molto religiose in una giustificazione per evitare gli stranieri che stanno in mezzo a noi.
Questo è quanto ci mostra la parabola del Buon Samaritano [Lc: 10, 29-37]. Le persone che passarono oltre l’uomo ferito dai ladri erano sacerdoti e leviti, i principali incaricati dei servizi religiosi, da cui si sarebbero esclusi toccando un corpo morto.
Quando la gente viene in chiesa con le loro generose offerte per Dio, Gesù domanda se hanno in corso un conflitto con il loro prossimo. Se è così, dice loro di posare le offerte all’ingresso, andare a riconciliarsi con il prossimo e poi tornare ad offrire il loro dono a Dio.
Gesù non ha nulla a che fare con questa idea che il servizio a Dio è più importante al servizio delle persone. Invece, Gesù insiste sull’idea radicalmente strana che l’unico modo per servire Dio sia servire la gente.
Chi era l’uomo colpito dai ladri sulla strada che va da Gerusalemme a Gerico? Chi era quella donna affamata a cui hai rifiutato un pasto? Chi era quel prigioniero che non hai avuto tempo di visitare? Chi era quello straniero da cui hai distolto lo sguardo mente camminavi? Chi era quella persona transgender che non sarebbe il benvenuto nella vostra Congregazione?
La strana verità è che costui/costei era Gesù! Egli è il Diverso in mezzo a coloro che sono diversi. Così dice: rifiutando il vostro aiuto a questi estranei lo avete rifiutato a me.
Ed è vero anche il contrario. Dando il vostro aiuto a uno di questi estranei, lo avete dato a me. Ebbene, ma davvero chi si crede di essere Gesù, per dirci queste cose? Egli è quello che abbiamo evitato e quello che abbiamo aiutato.
Il pensiero più strano di tutti è che stare davanti al tribunale di Dio per un giudizio sulla nostra vita significa stare davanti proprio a quegli estranei che abbiamo ignorato o che abbiamo servito.
Che cosa dobbiamo fare allora? Il nostro primo impulso può essere ora quello di correre fuori e iniziare ad accettare gay e lesbiche, per costruirci un curriculum di servizi verso gli estranei che ci assicuri un posto fra le pecore e non fra i capri al giudizio finale.
Ma non è così che funziona. Perché la stranezza finale di questa storia è che né coloro che hanno dato il loro aiuto né quelli che non lo hanno fatto erano consapevoli di quello che avevano fatto.
Aiutare gli altri al fine di ottenere una ricompensa per voi stessi non funzionerà, perché la bontà che distingue le pecore dai capri è una differenza intrinseca alla natura del loro essere. Le pecore si comportano come pecore perché sono pecore.
Capri, che cerchino di comportarsi come pecore per essere contati come pecore, restano capri e fanno la fine dei capri. Le persone che si curano degli altri lo fanno perché questa è la loro natura.
Ciò di cui abbiamo bisogno non è una nuova serie di azioni, ma una nuova natura. Ciò di cui abbiamo bisogno non è un cambiamento nel comportamento, ma un cambiamento nel nostro modo di essere.
Il servizio allo Straniero in mezzo a noi, il quale è presente negli stranieri in mezzo a noi, ci verrà spontaneo solo se avremo imparato a conoscere più onestamente noi stessi e più personalmente il Cristo.
Solo quando avremo imparato a riconoscere noi stessi come stranieri, come diversi che hanno bisogno dell’accoglienza da parte della grazia divina, solo allora permetteremo a Cristo di prendere dimora in noi e di trasformarci a sua somiglianza.
Cristo viene in mezzo a noi per fare niente di meno di questo. Ma la cosa strana è che può venire proprio sotto le spoglie dell’estraneo, del diverso da voi, che voi escludereste.
* Il reverendo Paul Egertson è stato nominato vescovo della Chiesa Evangelica Luterana in America (ELCA) nel gennaio 1995. In precedenza era stato parroco per 21 anni in California e in Nevada. E’ stato direttore del Centro di studi teologici in Thousand Oaks, in California, per 13 anni e professore di religione presso l’Università luterana della California per 10 anni. Laureato al Pepperdine College (Los Angeles) ha conseguito un Master al Lutero Theological Seminary di St. Paul, ed una laurea presso la Scuola di Teologia di Claremont (California)
Presso il Centro di studi teologici ha insegnato nei corsi per i laici affrontando il tema “L’omosessualità: Assunzione di un secondo sguardo.” Nel 1992, ha ricevuto il premio Voice of Faithfulness dai Lutheran Lesbian and Gay Ministry (San Francisco). Lui e sua moglie hanno sei figli e quattro nipoti.
Testo originale: Brano tratto da The Stranger in Our Midst