Il doppio coming out dei cristiani LGBTQ+
Riflessioni della pastora Di Jana Dye pubblicate sul sito Alliance of Baptists (USA) il 3 giugno 2023, liberamente tradotte dai volontari del progetto Gionata
Tra i cristiani LGBTQ+ si parla spesso di un fenomeno che potremmo definire il “doppio coming out”. Per molti, infatti, dichiarare la propria identità sessuale o di genere a familiari e amici è solo il primo passo. Ma c’è una seconda fase, altrettanto significativa: dichiararsi cristiani all’interno della comunità LGBTQ+.
Molte persone queer, trans e non-binary, comprensibilmente, si allontanano dalla Chiesa dopo aver affrontato il primo coming out. Storicamente, la Chiesa non ha sempre dato il meglio di sé nell’accogliere le persone LGBTQ+. Anzi, spesso ha ferito, escluso e stigmatizzato chi non rientrava nei suoi canoni.
Eppure, alcuni di noi, come me, rimangono. Ci sono momenti difficili, come quando, fuori dal contesto ecclesiale, qualcuno mi chiede: “Cosa fai nella vita?”. Ogni volta, dopo un profondo respiro, rispondo che sono una pastora. La reazione è quasi sempre di shock o confusione: Come può una persona omosessuale lavorare per una Chiesa?.
Una domanda legittima, vista la lunga storia di rifiuti e sofferenze inflitte in nome del cristianesimo. Molti di noi sono stati spinti a rinnegare sé stessi o a credere di essere “sbagliati”. Eppure, nonostante tutto, alcuni rimangono fedeli, attratti da un messaggio di amore e cambiamento che va oltre le distorsioni umane.
La Bibbia, usata troppo spesso come arma contro di noi, contiene anche storie di liberazione e inclusione. Quando i padroni degli schiavi cercavano di giustificare la loro oppressione, le persone ridotte in schiavitù trovavano proprio nella storia dell’Esodo la loro promessa di libertà. Quando si citava Paolo per silenziare le donne, molte donne si sono ispirate a figure bibliche come Maria Maddalena ed Ester. Allo stesso modo, quando vengono usati versetti per condannare l’amore queer, possiamo guardare a Genesi e ricordare che siamo stati creati a immagine di Dio, e Dio vide che era cosa buona.
Le prime comunità cristiane erano formate da emarginati e oppressi. Quelle comunità erano spazi di accoglienza radicale, in cui l’amore e il rispetto per l’altro erano valori centrali. La Chiesa di oggi, invece, somiglia spesso più all’Impero contro cui Gesù si è ribellato che al movimento di inclusione che lui stesso ha fondato.
Come possiamo tornare alle nostre radici?
Durante il mese del Pride, le Chiese hanno il dovere di celebrare le voci dei loro membri LGBTQ+. Non solo siamo stati parte della storia del cristianesimo – anche quando non si vedeva – ma siamo cruciali per il suo futuro. La nostra esperienza di vita, fatta di riflessione, resilienza e capacità di infrangele le norme, può insegnare alla Chiesa come aprirsi, evolversi e accogliere.
Le Chiese hanno tutto da guadagnare dalle nostre storie, dai nostri doni e dalle nostre prospettive. Basta solo che trovino il coraggio di aprire un po’ di più le loro porte. Fino ad allora, continueremo a essere qui – come lo siamo sempre stati – con orgoglio per chi siamo e per il nostro posto nella storia.
*La pastora battista Jana Dye, è originaria del Kentucky, ma vive a New York City dove ricopre il ruolo di Pastora Associata ad interim presso la Metro Baptist Church e è Direttrice Associata ad interim del Rauschenbusch Metro Ministries.
Testo originale: LGBTQ+ Christians and the ‘Double Coming Out’ Process