Il lesbismo e la chiesa cattolica
Questa invisibilità può essere paradossalmente un grande vantaggio. Se nei secoli scorsi consentiva di sfuggire alla condanna dei tribunali (nei casi estremi, al rogo) ancora oggi è facile ‘passare inosservate’ nella società come nelle comunità religiose senza attirare l’attenzione, che spesso si traduce in discriminazione a causa della propria identità sessuale.
Naturalmente, c’è un prezzo da pagare: dover nascondere le proprie emozioni, non poter esprimersi in tutte le dimensioni della propria personalità inclusa quella affettiva ed erotica, e non trovare modelli di vita lesbica verso cui orientarsi come modelli.
La donna lesbica e la sua sessualità è un “angolo morto” nei discorsi femministi, come anche in quelli gay: per le femministe, per lungo tempo e ancora oggi, la donna è una donna eterosessuale, mentre per i promotori dei gay rights, i “gay” per eccellenza sono, appunto, gay, e non lesbiche.
Ciò che vale per la società in generale, vale anche per il cattolicesimo: poco si vede, poco si parla di lesbismo a tutti i livelli della religione cattolica (magistero, teologia, comunità). Senza pretendere di esaurire il tema in un breve saggio, vorrei comunque provare a rompere questo silenzio seguendo alcune tracce delle discussioni sul lesbismo nella storia della chiesa fino a oggi e poi presentare alcuni approcci di nuove teologie (non solo cattoliche) che provano a superare il mutismo nei confronti del lesbismo, e che partono, anzi, dall’esperienza lesbica nel loro “parlare di e a Dio”.
Dalla Bibbia all’età moderna
A parte la storia di Noemi e Rut raccontata nel libro di Rut nella Bibbia, nella quale si è voluto leggere l’amore tra due donne, nella Bibbia si trova solo un altro possibile riferimento all’omosessualità femminile (ben poco, confronto alle condanne esplicite dell’omosessualità maschile), nella lettera di Paolo alla comunità romana: “Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura: egualmente anche gli uomini, lasciando il rapprto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo cosi’ in se stessi la punizione che si addiceva al loro traviamento.” (Rom 1,26–27).
Unico riferimento a una perversione dei “rapporti naturali” commessa dalle donne, questo passaggio ha dato occasione a interpretazioni molto diverse: mentre la maggioranza dei commentatori, da Ambrogio a Pietro Abelardo e oltre, la intende come un riferimento a pratiche sessuali tra donne (un’altra questione che gli autori si ponevano è il come), ve ne sono anche altri che apparentemente non riescono a immaginarsi una sessualità senza fallo e che interpretano il passaggio come riferimento a un offrirsi immodestamente ai maschi da parte delle donne. [1]
Da queste brevi frasi i padri della chiesa e i teologi medievali costruivano la colpevolizzazione dell’atto sessuale tra donne come reato contro la natura, e cioè contro la legge divina, associando l’omosessualità femminile a quella maschile (la “sodomia”).
Tuttavia, nei commenti al passaggio paolino, nei trattati teologici e nei penitenziali, ovvero i manuali in cui si definivano i peccati e le rispettive penitenze da attribuire a ognuno, si nota un trattamento molto diverso del lesbismo rispetto all’omosessualità maschile: in primo luogo, i riferimenti sono scarsi confronto al trattamento esteso ricevuto dall’omosessualità maschile; in secondo luogo, il linguaggio usato è molto meno severo di quello usato per discutere il sesso tra maschi; e in terzo luogo, le penitenze assegnate per questo “peccato muto” sono molto più blande che quelle assegnate a un atto sessuale tra maschi: tutto ciò fa intendere che il sesso tra donne non veniva percepito come un atto sessuale a tutti gli effetti, o grave come il sesso tra maschi, nonostante la classificazione di Tommaso d’Aquino dell’atto omosessuale (tra donne come anche tra uomini) come uno dei quattro vizi contro la natura (insieme a masturbazione, bestialità, coito in posizioni innaturali).
Questa sottovalutazione del lesbismo richiama la lettera 211 (14) di Agostino a sua sorella nella quale tratta delle tentazioni a cui sono esposte le donne che vivono in comunità: “Il vostro reciproco amore però non deve essere carnale, ma spirituale, poiché certi scherzi e giochi indecenti, anche se scambiati solo tra donne, non devono essere fatti non solo dalle vedove e dalle vergini serve di Cristo viventi nella professione dell’ideale religioso, ma in nessun modo nemmeno dalle maritate e dalle ragazze che hanno intenzione di maritarsi.” [2]
Anche se Agostino parlò di “scherzi e giochi”, questi venivano considerati di una gravità tale che i concili di Parigi e Rouen nel XIII secolo ne prendevano atto con provvedimenti disciplinari, vietando alle monache di dormire insieme o di chiudere a chiave la cella.
E’ rimasta una poesia (forse l’unico esempio di letteratura lesbica del Medioevo) di una religiosa in occasione dell’assenza di una sua molto amata consorella che fa sospettare che le paure dei padri dei concili per la castità delle loro vergini forse non erano infondate: “To G., her singular rose, From A. – the bonds of precious love… When I recall the kisses you gave me, And how with tender words you caressed my little breasts, I want to die Because I cannot see you… Come home, sweet love! Prolong your trip no longer; Know that I can bear your absence no longer. Farewell. Remember me.” [3] La poesia potrebbe essere un segnale che solo perché non se ne parlava, non significa che l’omosessualità femminile non esistesse.
Le autorità non erano però per niente concordi nei loro giudizi sul lesbismo, nonostante la chiara classificazione di Tommaso, che comunque lasciava ampio spazio all’interpretazione di un fenomeno per la cui descrizione non si poteva nemmeno ricorrere a una terminologia stabilita: mentre alcuni condannavano le donne come gli uomini al rogo, altri riservavano questa pena alle donne che usavano uno “strumento” durante l’atto (percepito come ulteriore perversione dell’ordine naturale).
In assenza di tale strumento artificiale, l’atto sessuale non era considerato atto sessuale vero e proprio, definito invece dalla penetrazione e dall’emissione di seme, e quindi non era punibile. Questa confusione sulla reale fisionomia dell’atto sessuale lesbico portava a delle riflessioni sull’anatomia femminile e di conseguenza sul ‘come’ potesse avvenire un amplesso tra donne, nella mentalità comune immaginato fantasiosamente come atto penetrativo, reso possibile grazie allo sviluppo ipertrofico della clitoride, visto come fenomeno più frequente tra le donne non-europee. [4]
Un tale legame tra la sessualità non-normativa (l’anatomia ‘esotica’ con gli atti sessuali che ne possono seguire) e le culture non-europee si ritrova anche nei discorsi del colonialismo ottocentesco,5 dove il discorso si fa dominante non solo degli individui, ma di interi popoli ‘altri’.
La chiesa cattolica e la teologia cristiana
I presupposti per il giudizio del magistero della chiesa cattolica sull’omosessualità fino a oggi valido sono la complementarietà dei sessi, il valore della procreazione e del matrimonio come l’unico luogo dove si vive la sessualità ordinata, cioè tra uomo e donna, con lo scopo di rafforzare il legame e favorire la procreazione.
Pur condannando il peccato, i vari documenti prodotti dal magistero6 invocano l’accoglienza degli/delle omosessuali (purché non siano attivi/e) e rifiutano ogni forma di discriminazione o aggressione omofobica.
Questo netto rifiuto di ogni possibilità di vivere attivamente la propria omosessualità non viene più sostenuto dalla maggioranza delle riflessioni nell’ambito della teologia morale. Cito come esempio l’opera di Margaret Farley, Just Love (2006), nel quale si offre una cornice per una etica sessuale cristiana basata sul principio della giustizia, che vale allo stesso modo per le relazioni eterosessuali come per quelle omosessuali, che possono diventare a loro volta luogo di realizzazione del potenziale umano dell’individuo e della relazione.
Anche in questi nuovi approcci di teologia morale molto originali e corraggiosi si nota però la continua invisibilità del lesbismo, come esperienza diversa dall’omosessualità maschile, e che come tale richiederebbe dunque altri parametri anche nel suo trattamento etico.
Esiste invece un ramo di teologia (sviluppato soprattuto da Mary Hunt e Carter Hayward [7]) che parte esplicitamente dall’esperienza del lesbismo come base di una teologia centrata sul principio dell’amicizia tra donne, che si articola su un continuum affettivo ai cui estremi si situa l’amicizia appassionata e sessuale e l’amicizia affettuosa, caratterizzata da mutualità, inclusione, onestà, flessibilità, comunità, e che è sempre aperta all’incontro con l’altra/o.
Il principio dell’amicizia ha il potenziale di paradigma per la convivenza armonica della società allargata, e per un rapporto sereno con la natura, e può divenire addirittura il modello di descrizione e comprensione di Dio stesso, che nella sua trinità esiste in sé in una relazione di amicizia, che si estende a tutta l’umanità e di ciascun individuo. Partendo proprio dall’esperienza della marginalità, questa teologia sostiene la liberazione e la solidarietà con tutte le persone marginalizzate, e critica le condizioni di vita ingiuste causate, in ultima istanza, dal potere del patriarcato.
Queste teologie sono importanti per la valorizzazione dell’esperienza lesbica per la teologia e la vita della chiesa in generale, ma trascurano l’aspetto della passione, della sessualità vissuta in tutta la sua complessità, anche nei suoi lati oscuri.
Il modello di relazione e di amicizia lesbica proposto nei testi è quello di una relazione monogama e di lunga durata, caratterizzata più dalla tenerezza che dalla passione, mentre gli incontri più casuali, più appassionati o più trasgressivi, come anche gli effetti che le varie condizioni socio-economiche hanno sul vivere la sessualità lesbica, non vengono inclusi in quello che dovrebbe costituire ‘l’esperienza lesbica’.
Questa mancata considerazione della pluralità di esperienze lesbiche si rispecchia anche nel presupposto di un’identità sessuale stabile e chiaramente definibile come ‘lesbica’ tout cour.
La teologia queer tenta di superare queste critiche parlando appunto di identità sessuali ‘queer’, trasversali e instabili, che non si possono ingabbiare in una definizione una volta per tutte. Un’esponente di questo approccio è la teologa protestante argentina Marcella Althaus-Reid [8] che nella sua teologia ‘indecente’, cioè trasgressiva e ‘anormale’ – e in questo richiamando lo spirito del cristianesimo delle origini, una religione di sovversione di strutture di potere, di norme e di ideologie –, parte dalla sua esperienza di donna povera lesbica per riflettere come quelle esperienze di ‘passione’, intese in entrambi i sensi della parola, possano aprire a un nuovo modo di incontrare Dio. E invita a partire dalla riflessione sul significato di quell’incontro per vivere la propria vita con passione nei confronti del proprio corpo, della propria persona, e nei confronti dei corpi e la persona di altre/i.
Ulteriori riflessioni queer su Dio, Cristo e la chiesa di Graham Ward, Gerard Loughlin, Grace Jantzen, Althaus-Reid e altri/e [9] mostrano che la percezione di Dio come ‘queer’ non è un’invenzione di un periodo storico disorientato e privo di altre questioni sulle quali interrogarsi, ma ha le sue radici proprio nella tradizione e nell’immaginario del cristianesimo, come per esempio nella mescolanza nella storia dell’arte di identità in Gesù Cristo tra uomo potente e donna che nutre con il suo sangue. Invece il ‘queering’ di Dio risiede nel fatto che Dio è sempre diverso, e veramente Altro/Altra, che costringe a rompere le definizioni nette che si formulano su di lui.
Anche se questi approcci, nella totalità degli studi della teologia, non sono numerosi e ancora poco conosciuti, all’interno di questa disciplina e ancora di meno al di fuori di essa, costituiscono un importante contributo, scaturito proprio dall’esperienza lesbica e queer, valorizzandola come fondamento di una teologia esperienziale e incoraggiando in questo modo anche a vivere la propria affettività e passione anche negli ambienti religiosi.
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1 Cfr. Judith C. Brown: Immodest Acts: The Life of a Lesbian Nun in Renaissance Italy. Oxford University Press, 1986, p. 9. Mi rifaccio principalmente alla sua introduzione, che offre una buona panoramica storica del trattamento del lesbismo in un sistema complesso di fonti fino all’età moderna. Per una buona introduzione al tema nell’ambito del discorso giuridico si veda anche: Fernanda Alfieri: La sessualità femminile nella trattatistica giuridica dell’età moderna. Tesi di laurea, Università di Bologna, Anno accademico 2000/2001.
2 Augustinus, Epistulae, 211.14, PL 33, col. 964, trad. it. in: P. Lupo: Lo specchio incrinato: Storia e immagine dell’omosessualità femminile. Marsilio, 1998, p. 148.
3 Poesia citata in Brown, Immodest Acts, p. 167, nota 15.
4 Cfr. Brown, Immodest Acts, p. 18–19.
5 Cfr. Christina v. Braun/Bettina Mathes: Verschleierte Wirklichkeit: Die Frau, der Islam und der Westen. Aufbau 2007.
6 Si veda per es. Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali, del 1° ottobre 1986; Congregazione per l’Educazione Cattolica, Istruzione della Congregazione per l’Educazione Cattolica circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al Seminario e agli Ordini Sacri, del 4 novembre 2005.
7 Cfr. Mary Hunt: Lovingly Lesbian: Toward a Feminist Theology of Friendship. In: James B. Nelson/Sandra P. Longfellow (cura di): Sexuality and the Sacred: Sources for Theological Reflection. Westminster John Knox Press, 1994, pp. 169–182. Carter Heyward: Touching our Strength. Harper Collins, 1989.
8 Si veda anche il suo articolo, in cui spiega la teologia queer, in Dossier Diversità sessuale e teologia in America latina, a cura di Mauro Castagnaro, in Rivista Confronti, gennaio 2008, pp.14-16.
9 Cfr. le due antologie recenti: Virginia Burrus/Catherine Keller (cura di): Toward a Theology of Eros: Transfiguring Passion at the Limits of Discipline. Fordham University Press, 2006; Gerard Loughlin (cura di): Queer Theology: Rethinking the Western Body. Blackwell 2007.
* I volontari e le volontarie del progetto gionata ringraziano l’Autrice per averci concesso di pubblicare questo suo intervento.