Il mio cammino di fede e speranza col pellegrinaggio giubilare LGBT+
Testimonianza inviataci da Sean Jesudason (Australia). Tradotta dai volontari del Progetto Gionata
Potremmo definirlo un meraviglioso slancio di spontaneità, o forse un’ispirazione dello Spirito Santo.
Il 5 e 6 settembre 2025 mi sono ritrovato in viaggio dall’Australia verso Roma per partecipare al primo pellegrinaggio giubilare dei cattolici LGBTIQ+. L’iniziativa, promossa da La Tenda di Gionata, associazione cattolica impegnata ad “allargare la tenda” (Isaia 54) per fare spazio a tutti, per rendere le nostre comunità cristiane sempre più santuari di accoglienza e sostegno per le persone LGBTIQ+ e per chiunque sia vittima di discriminazione.
Da anni La Tenda di Gionata porta avanti questo impegno con costanza e spirito evangelico, avendo ricevuto anche la benedizione del compianto Papa Francesco.
Io ho prenotato i voli e trovato un alloggio (a Roma) appena due settimane prima della partenza, ispirato da un video di presentazione del pellegrinaggio realizzato da Alessandro Prevetti – che ho poi avuto la splendida opportunità di incontrare di persona. Il video mi era arrivato tramite la chat WhatsApp del gruppo Acceptance Melbourne. Un ringraziamento speciale va a Innocenzo Pontillo e al team de La Tenda di Gionata, che con grande generosità mi hanno offerto consigli e supporto, incoraggiandomi a intraprendere questo viaggio.
Come se tutto fosse scritto, ogni cosa è andata per il verso giusto e le connessioni virtuali si sono trasformate in autentiche amicizie.
Non ci è voluto molto, dopo l’atterraggio a Roma, per comprendere che tutto questo faceva parte di un disegno più grande. Appena arrivato, mi sono incamminato senza un piano preciso verso la Basilica di Santa Maria Maggiore, ritrovandomi davanti al luogo di sepoltura di Papa Francesco. È stato un momento profondamente emozionante: trovarmi lì, consapevole che proprio lui aveva reso possibile questo pellegrinaggio e, in qualche modo, aveva contribuito anche al mio percorso personale.
Grazie al suo esempio, ho potuto riscoprire la libertà di essere me stesso all’interno di una comunità che fa parte della mia vita fin dal battesimo.
Come ho scoperto, la mia è stata una storia, un viaggio e un’esperienza condivisa da molte delle persone che ho avuto la fortuna di incontrare nei giorni successivi. Dalla collaborazione con Outreach — il ministero cattolico LGBTIQ+ degli Stati Uniti — alla messa in lingua inglese presso l’oratorio di San Francesco Saverio a Roma, fino al forum dei leader laici cattolici impegnati nel ministero LGBT+ in diverse comunità, tenutosi presso la sede internazionale dei gesuiti, ogni momento ha contribuito a creare un filo comune.
Gli eventi centrali del pellegrinaggio — la Veglia, la Messa e l’attraversamento della Porta Santa nella Basilica di San Pietro — hanno rafforzato un profondo senso di condivisione di un cammino, fatto di gioia, ma anche di dolore e speranza.
È stato straordinario arrivare alla Chiesa del Gesù, la splendida basilica del XVI secolo che custodisce il corpo di Sant’Ignazio di Loyola e il braccio di San Francesco Saverio ai lati della navata principale.
L’interno era gremito da circa 1300 persone e si respirava un palpabile senso di entusiasmo e gioia. Anche se ero arrivato da solo, sono bastati pochi minuti per essere accolto da fra Antonio, un frate cordiale che mi ha invitato a sedermi accanto ai suoi amici: suor Fabrizia, una domenicana, e padre Simone, entrambi di Firenze.
Nonostante le barriere linguistiche, sono stati incredibilmente accoglienti e generosi, facendomi sentire parte di una comunità viva e calorosa come raramente mi era accaduto. La Veglia è stata una fonte profonda d’ispirazione — un momento di preghiera e di testimonianza dei tanti percorsi di fede presenti: giovani coppie, genitori, sacerdoti e religiosi che da generazioni accompagnano e sostengono i cattolici LGBTIQ+.
Padre James Martin, da anni impegnato nel ministero pastorale con la comunità LGBTIQ+, ha condiviso le principali ragioni per cui la Chiesa e i suoi ministri sono chiamati a essere accoglienti verso tutti i fedeli, senza eccezioni.
Padre Martin ha ricordato che l’impegno della Chiesa verso la comunità LGBTIQ+ si fonda su diverse ragioni profonde. La prima è di natura umana: questa comunità comprende molte persone che hanno vissuto esperienze di violenza, abusi e discriminazione. Chiunque abbia a cuore la dignità umana non può che desiderare di offrire sostegno ai propri fratelli e sorelle feriti.
La seconda ragione nasce dalla dottrina sociale cattolica, che invita alla solidarietà con chi vive ai margini e nelle “periferie”, come ricorda spesso Papa Francesco. La terza affonda le radici nella spiritualità ignaziana: chi appartiene a un ordine religioso è chiamato a camminare accanto agli esclusi, seguendo l’esempio di Sant’Ignazio di Loyola, che ci ha insegnato a cercare Dio in ogni cosa.
E, infine, la motivazione più alta: l’invito stesso di Gesù a fare ciò che Lui avrebbe fatto.
Il giorno seguente si è celebrata la Messa, con una partecipazione ancora più numerosa — probabilmente la più grande nella storia della chiesa — alla presenza di molti sacerdoti e religiosi. A presiedere la celebrazione è stato Sua Ecc.za Rev.ma Francesco Savino, vescovo di Cassano all’Jonio e vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana.
Il vescovo Francesco Savino, in un’omelia emozionante, ha sottolineato che “dobbiamo far sì che la speranza cammini in un mondo di disperazione, farla camminare sfidando l’alba, sfidando il tramonto, indipendentemente dalla notte”. In un momento straordinario, accolto da un’ovazione e da molte lacrime, ha aggiunto: “Il Giubileo è il tempo per liberare gli oppressi e restituire dignità a chi l’ha perduta. Fratelli e sorelle, dico con commozione: è tempo di restituire dignità a tutti, soprattutto a coloro ai quali è stata negata”.
Le liturgie ispiratrici ed edificanti (Veglia e Messa) sono culminate con il pellegrinaggio attraverso le Porte Sante della Basilica di San Pietro, che ha riunito quasi duemila pellegrini cattolici LGBTIQ+, insieme a familiari e amici. L’atmosfera era di gioia e gratitudine, anche se accompagnata da una comprensibile cautela per il timore di eventuali reazioni negative. Ma, sotto la luce dorata del sole e un cielo limpido, tutto si è svolto in un clima di accoglienza e serenità: i passanti e gli altri pellegrini riuniti in Piazza San Pietro hanno salutato con applausi e sorrisi il passaggio del pellegrinaggio.
Attraversando le Porte Sante, molti si sono commossi fino alle lacrime. Un senso profondo di pace ha accompagnato la processione all’interno della basilica, fino all’altare maggiore dove riposa San Pietro, primo apostolo e Papa. Al momento della recita del Credo, il suono maestoso dell’organo a canne ha riempito la navata, regalando a tutti la sensazione di trovarsi davvero “a casa”, nella propria dimora spirituale.
Per un segno del destino – o forse per grazia – ho avuto due compagni di pellegrinaggio con cui condividere il cammino. Il primo, un giovane cattolico appena battezzato e studente di filosofia all’Università Gregoriana, l’ho incontrato casualmente fuori dalla chiesa durante la Veglia. Il secondo, padre James Alison, sacerdote e teologo cattolico inglese residente a Madrid, è una figura di grande ispirazione, la cui vocazione e ministero sono stati sostenuti personalmente da Papa Francesco.
Entrambi, con le loro storie di fede e di resilienza, incarnano lo spirito di speranza e autenticità che ha attraversato l’intero pellegrinaggio. Hanno vissuto prove difficili, ma anche la grazia di sentire l’abbraccio spirituale di Gesù nei momenti più complessi del loro cammino.
Sebbene Papa Leone non fosse presente di persona, molti hanno percepito la sua presenza spirituale. Il vescovo Savino ha raccontato in seguito che era stato proprio Papa Leone a invitarlo a celebrare la Messa durante l’incontro. Solo pochi giorni prima, il Pontefice aveva condiviso i suoi pensieri con padre James Martin SJ – figura di riferimento per i cattolici LGBTIQ+ – e la sua volontà di proseguire sul cammino tracciato da Papa Francesco, ribadendo il suo sogno di una Chiesa per “todos, todos, todos” (“tutti”).
Ho avuto la fortuna di partecipare anche a due udienze papali e alla Messa di canonizzazione dei santi Pier Giorgio Frassati e Carlo Acutis, esperienze che hanno reso ancora più tangibile il senso di apertura, accoglienza e speranza che ha attraversato tutto il pellegrinaggio.
Cosa ha significato per me questo viaggio improvvisato? E perché ho sentito così forte la chiamata a intraprenderlo?
All’ultima udienza a cui ho potuto partecipare prima del mio volo di ritorno a Melbourne, Papa Leone ha pronunciato parole che mi hanno profondamente toccato:
>“Nel cammino della vita ci sono momenti in cui tenere qualcosa dentro può lentamente consumarci. Gesù ci insegna a non aver paura di gridare, purché sia sincero, umile e rivolto al Padre. Un grido non è mai inutile, se nasce dall’amore. E non viene mai ignorato, se è rivolto a Dio. È un modo per non cedere al cinismo, per continuare a credere che un altro mondo è possibile.”
Quelle parole hanno risuonato in me come la risposta a un richiamo che sentivo da tempo. È stato come dare voce a un grido custodito per tutta la vita: il desiderio di sentirmi completo, come una creazione amata, portando con me le ferite e le speranze di coloro che avevano già percorso questo cammino.
Un grido di guarigione, di amore e di riconciliazione; un passo verso un futuro di accettazione e di speranza, radicato nel vero amore di Cristo.
Questo pellegrinaggio è stato un viaggio personale di fede e di speranza, ma anche un cammino condiviso spiritualmente con amici, familiari e persone care che ho portato con me nel cuore. Mi ha donato una rinnovata consapevolezza del motivo per cui continuo a credere e a trovare forza in una comunità di fede che mi accompagna fin dall’infanzia.
Ho riscoperto che questa comunità rimane la mia bussola morale: ciò che orienta la vita, illumina chi siamo e chi siamo destinati a diventare.
Soprattutto, ho compreso che amore, compassione e comprensione sono le forze che costruiscono e prevalgono su tutto ciò che divide, ferisce e distrugge.
Questo non è stato la fine di un viaggio, ma l’inizio di una speranza rinnovata: che le generazioni future possano trovare sempre un abbraccio spirituale di amore e accoglienza all’interno della Chiesa universale, indipendentemente da chi siano — proprio come avrebbe fatto Gesù, e come continua a ispirare i nostri cuori oggi.

