Il senso della fede. Il mio cammino di gay cattolico
Testo di Jerome P. Baggett* tratto da ‘Sense of the Faithful, How American Catholics Live Their Faith’, Oxford University Press, 2008, liberamente tradotto da Silvia Renghi
“Il fatto è che il Cattolicesimo americano esiste e non esiste!” Bill McNamara si lascia sfuggire queste parole ma poi sembra sorpreso dalle stesse, come se si fosse inaspettatamente imbattuto in qualcuno del suo passato. Si attarda un po’, riflettendo.
“Cosa voglio dire con questo?” chiede, ora apparentemente ripreso e giustamente consapevole di aver anticipato la mia prossima domanda.
“Voglio dire che esiste nel senso che è, qualcosa di cui tu ed io possiamo parlare e che possiamo identificare in certi suoi elementi e così via. Ma non esiste come qualche cosa di monolitico, come qualcosa di immutabile.
Non è come se ogni persona lo capisse e lo esternasse allo stesso modo per tutto il tempo o esattamente come chiunque altro farebbe.”
Nonostante Bill fosse stato tra le prime persone che avevo intervistato per questo libro, Io stesso mi concedetti un’iniziale conclusione: lui sapeva di cosa stava parlando.
Dopo diverse tazze di tè e continue interruzioni da parte di Rusty, il suo Siamese — il cui nome, come quello di tutti gli intervistati in questo libro, è uno pseudonimo — il resoconto della sua vita e della sua fede demolirono l’idea che il Cattolicesimo americano potesse essere “qualche cosa di monolitico, una cosa immutabile.”
Nato da una famiglia della classe operaia degli anni trenta, Bill crebbe in un quartiere quasi interamente irlandese di Philadelphia. La sua educazione fu tipica degli abitanti dei “villaggi urbani” di cui il sociologo Herbert Gans scrisse una volta in modo molto persuasivo.
Il sobborgo definito etnicamente, i modesti mezzi economici, la grande famiglia che includeva Bill e cinque fratelli più piccoli, i ruoli di genere chiaramente predeterminati a cui madre e padre si attenevano strettamente, i tradizionali — e, in questo caso, tradizionalmente cattolici — costumi: Bill si ricorda tutto molto bene, senza malinconia, nei minimi dettagli. I particolari della sua educazione religiosa sono particolarmente memorabili per lui.
Frequentò scuole parrocchiali nelle vicinanze fino a quando non gli arrivò inaspettatamente un aiuto finanziario per iscriversi ad un’università pubblica di grandi dimensioni dove si specializzò in contabilità.
Andò in chiesa ogni settimana senza mai mancare e, a meno che non servisse come chierichetto per una messa impopolare (leggi: inizialmente disordinata), in genere veniva accompagnato dalla sua famiglia.
Questo instillò in lui un amore innato per la bellezza della messa e soprattutto per la sua musica, che egli ancora paragona favorevolmente a fesserie “cacofoniche” che si possono ascoltare in alcune parrocchie…. Uno dei parroci più giovani fu come “un amico e una sorta di mentore” per Bill, parlò con lui di qualsiasi cosa, compreso— certamente— il pensiero di entrare in seminario.
E naturalmente ci sono storie che sembrano essere lo standard tra i cattolici della generazione di Bill. Dalle molte gentilezze del suo mentore ai racconti esagerati “della severissima suora”, dalla trepidazione delle prime confidenze (“l’Inferno era qualcosa di pauroso in quella piccola realtà!”) ai sentimenti d’intensa pietà mentre accompagnava Gesù lungo la Via Crucis ogni venerdì pomeriggio durante la Quaresima, il mondo di Bill era Cattolico.
Tuttavia, una volta divenuto ventenne, quel mondo giunse alla fine. “Non ho mai avuto tanto animo quanto i tanti gay cattolici che hanno avuto brutte esperienze a scuola o cose del genere,” confida. “Non ero contro quel mondo, ma non mi sentivo più sulla stessa linea.”
Sempre attratto da uomini, Bill divenne sessualmente attivo all’età di ventisei anni. Quindi, piuttosto che nascondere agli altri ciò che considerava il suo “onesto, vero modo di essere”, si trasferì a San Francisco, dove ottenne un lavoro ben retribuito in una compagnia di assicurazioni e cominciò la sua nuova vita come uomo apertamente gay. Chiuse la porta al suo cattolicesimo lentamente in un primo momento, poi del tutto.
Questa tradizione secolare sembrava incompatibile con la sua nuova città e il suo lavoro, nuovi amici e, dopo dieci anni o giù di lì, un rapporto sentimentale e quindi un ritrovato livello di intimità con Daniel, suo compagno per diciotto anni.
Daniel frequentò la messa ogni settimana presso la Chiesa del Santissimo Redentore nel fiorente enclave gay della città, il Quartiere di Castro. Ma ci andò un po’ meno spesso quando Bill comprò una casa insieme a lui nella baia della Colline di Oakland. Bill, invece, preferì dormire fino a tardi la maggior parte delle domeniche.
Tutto cambiò quando Daniel contrasse l’AIDS e Bill divenne il suo principale assistente nelle cure. Questa tragedia portò Bill ad un forte stress, ma anche ad un faccia a faccia col Cattolicesimo che non aveva conosciuto in precedenza.
Il gruppo di supporto per l’AIDS del Santissimo Redentore inviò volontari per provvedere alla salute di Daniel ed ai suoi bisogni personali, volontari che, verso la fine della sua vita, furono necessari quotidianamente.
Anche nel dolore, Bill fu impressionato dalla testimonianza di queste persone verso la loro – e una volta anche la sua – fede. Questa non era l’intollerabile dogmatica “Ecclesialità” divenuta fossilizzata ed irrilevante per lui. Né, naturalmente, era questo il messaggio: “Dio odia i froci” che sentiva mentre era alla ricerca di una Chiesa che facesse per lui prima di spostarsi da Philadelphia.
Trovò questa concezione della fede aperta nel cuore e nella mente, molto seducente. Tant’è vero, infatti, che Bill cominciò a frequentare la messa al Santissimo Redentore non molto tempo dopo la morte di Daniel e divenne ben presto un membro attivo del gruppo di supporto per l’AIDS e quindi della parrocchia stessa.
La storia di Bill potrebbe apparire come un adattamento al familiare “cattolico ritorno alla Madre Chiesa”, ma Bill non è tornato al nulla; ha dato inizio a qualcosa di nuovo. Da un lato, è piuttosto il tipo di cattolico imperturbabile: “amo le tradizioni e amo il mistero; penso che sia una religione molto, molto, molto ricca.”
Dall’altra parte, però, egli è irremovibile sulla sua libertà, non accetta che gli si renda la vita impossibile negando i suoi bisogni. Egli ha scelto di essere un membro del Santissimo Redentore nella baia di San Francisco piuttosto che nella sua parrocchia di quartiere che egli ritiene meno “aperta” ai cattolici gay.
Egli rispetta enormemente i sacerdoti (anche se è meno generoso nella sua valutazione dei vescovi), ma è anche un forte sostenitore del ruolo dei laici nel ministero pastorale e parrocchiale. Egli è “benvenuto” alla messa la domenica (alle 10) e ha promosso diversi riti d’iniziazione cristiana per i candidati adulti (RCIA).
Allo stesso tempo, si è risentito al pensiero di essere considerato presuntuoso nel parlare ad altri di fede in un modo che potrebbe essere percepito come inappropriato e invadente. Si definisce “un cattolico vero, forte” ma, senza accenno di scuse, avidamente abbraccia il soprannome “cafeteria Catholic” come una testimonianza del suo credo religioso e della sua capacità di discernimento.
In breve, Bill ha iniziato qualcosa di nuovo come cattolico in risposta agli sviluppi nella sua vita personale e perché egli ha vissuto un periodo in cui la Chiesa americana è stata testimone di importanti cambiamenti sociali e culturali. Il risultato è che ha iniziato qualcosa di molto innovativo.
* Testo tratto dal blog Gay Mystics (Stati Uniti), del 13 dicembre 2012 che scrive “A completamento o in contrasto con il mio precedente intervento, 50 ragioni per boicottare la Chiesa Cattolica, qui vi è una storia molto interessante, tratta appunto dal libro “Sense of the Faithful, How American Catholics Live Their Faith” di Jerome Baggett (2008). Trovo molto interessante che questo aneddoto costituisca l’apertura del libro stesso”.
Testo originale: One Gay Man’s Return to the Catholic Church: A Reason not to Boycott