Il mio viaggio nella spiritualità LGBT. La comunità “il Cerchio”
Testimonianza di Giacomo Tessaro, volontario del Progetto Gionata
Una piccola presentazione prima di andare al sodo del mio racconto: mi chiamo Giacomo, ho 36 anni, da diverso tempo sono appassionato di tutto ciò che ha a che fare con le religioni (rigorosamente al plurale) e la spiritualità, argomenti che in dieci anni mi hanno spinto a divorare milioni di parole cartacee ed elettroniche e a prendere alcuni impegni con un paio di comunità cristiane, impegni che, per vari motivi, purtroppo non ho potuto mantenere a lungo.
Poiché sono un simpatizzante etero della causa LGBT, sono venuto a contatto con don Mario collaborando all’organizzazione di una sua conferenza a Vercelli con la locale Arcigay. In quel periodo frequentavo molto convintamente la Chiesa Valdese, in cui ricoprivo saltuariamente ruoli di responsabilità. Apprezzai la conferenza, non mi trovai d’accordo con alcune tesi di don Mario ma fui contento di vedere che un po’ di interesse per le tematiche religiose si era acceso nella nostra associazione (qui il resoconto che scrissi a suo tempo). §
Passò un po’ di tempo, contattai don Mario via mail per conto di un amico che non si decide ad allacciarsi alla Rete, e in questo modo riuscimmo a organizzare un secondo incontro a Biella (qui il resoconto), che voleva essere una celebrazione e alla fine si risolse in un incontro di domande e risposte, a cui però non andai: quella sera avevo preferito un concerto a Milano…
Nel frattempo una persona era entrata nel mio cuore, portando con sé nuove priorità e nuovi pensieri, perciò abbandonai la pratica religiosa nella mia locale comunità metodista, che pure per molti versi continuo a sentire mia. Non è stato un distacco facile: oltre al dolore e alla delusione sentiti e causati, ha portato sì una nuova libertà spirituale, ma anche un certo disorientamento dovuto alla mancanza di una comunità di riferimento. Intanto avevo chiesto l’amicizia di Facebook a don Mario e, chattando con lui, espressi il desiderio di partecipare a qualche iniziativa del Cerchio di Merate. Colsi la palla al balzo lo scorso giugno, l’ultimo incontro fisico prima della pausa estiva: non c’era più ragione di aspettare per conoscere più da vicino questa realtà.
Gli incontri si svolgono nella sede del Guado, in una zona di Milano che non ho mai frequentato, ma non ho difficoltà a trovare la via: dopo essermi concesso una pausa pizza, giungo al portone, che intimidisce non poco un provinciale come me. Poco dopo giunge uno dei frequentatori, abituali o occasionali, del Cerchio e cominciamo a chiacchierare. Finalmente arriva don Mario: l’attesa in strada è finita, non vedo l’ora di entrare, anche se il seminterrato dove fervono i preparativi per la serata non invita molto al raccoglimento, né alla fraternità/sororità.
Ci sediamo in semicerchio, come avviene di solito negli incontri unitariani, cerco di osservare i volti de* convenut*, ci vedo molto poco ma in qualche modo riesco a farmi un’idea delle emozioni che attraversano i loro cuori; capisco che questa comunità è capace di dare molto ai “vagabondi dello Spirito”.
Mi colpisce subito il rito della purificazione: poco sotto allo schermo dove verrà proiettato un filmato, in fondo al semicerchio, c’è un catino d’acqua per le abluzioni agli occhi e alle orecchie, un antico gesto simbolico che sa molto di rispetto per il Sacro e per la pulizia/integrità del corpo umano (“lode al Signore, Dio dell’universo, che ci ha dato i comandamenti e ci ha ordinato l’abluzione delle mani”: cito a memoria da una preghiera ebraica).
Un altro momento della serata che mi ha dato forti emozioni è stata la visione di un video della Terra vista dallo spazio: osservando la Madre Terra come solamente da pochissimi anni l’essere umano ha potuto osservarla, accanto all’ammirazione, all’amore e allo stupore (anche grazie all’ottimo commento musicale), mi sovviene subito il disprezzo e la violenza che Gaia deve sopportare ogni giorno da questo su* figli*, di cui ci giungono notizie ogni giorno; un misto di gioia e di profondo dolore mi attraversa, ma cerco di godermi a fondo quei minuti come importante esperienza dello Spirito. C’è poi il momento della danza… difficile da descrivere per chi, come me, dopo un paio di timidi passi ha pensato bene di osservare dall’esterno la grazia di don Mario e la serenità (felicità?) impressa nel viso delle altre danzatrici.
Il momento meno gradito è stato quello della parola libera e del “bastone della parola”: come credo si usi presso alcuni popoli Nativi Americani, al centro dell’assemblea viene posto un bastone, chi vuole prendere la parola lo tiene in mano e non può essere interrotto mentre parla. Come sempre, amo ascoltare le storie di vita del prossimo ma, in quanto a me, prediligo la narrazione scritta.
Poco dopo, la celebrazione finisce e subito sguscio via: nei giorni seguenti cercherò di raccogliere le sensazioni e i pensieri che questo incontro mi ha suscitato e che ora riesco a mettere nero su bianco.
Nella speranza di poter emozionarmi ancora al prossimo incontro cui parteciperò, con più cognizione di causa, il più grande augurio che posso esprimere è di partecipare un giorno con la persona che domina nel mio cuore e che nel suo cuore soffre ogni giorno, con l’auspicio che in qualche modo quest’esperienza possa esserle d’aiuto e conforto.