Il mondo delle hijra, il terzo sesso dell’India
Articolo di Jeffrey Gettleman* pubblicato sul sito del quotidiano The New York Times (Stati Uniti) il 17 febbraio 2018, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Quando il Signore Rama venne esiliato da Ayodhya e tutto il suo regno fece per seguirlo nella foresta, disse ai suoi discepoli: “Uomini e donne, vi prego di asciugarvi le lacrime e di andarvene”. Tutti se ne andarono, tranne un gruppo di persone che rimase ai margini della foresta, perché non era composto né da uomini, né da donne: erano hijra, che in lingua urdu si traduce più o meno come eunuchi. Queste persone aspettarono nella foresta per quattordici anni il ritorno del Signore Rama, il che guadagnò loro un posto speciale nella mitologia indù.
C’è del mistero sulle origini del racconto (secondo gli studiosi, esso non compare nelle più antiche versioni dei testi indù), ma negli scorsi secoli questo racconto popolare sulla loro fedeltà è stato una parte importante dell’identità delle hijra, le quali svolgono un ruolo preminente anche nella storia islamica dell’India, in quanto erano le guardiane asessuate degli harem moghul.
Oggi le hijra, che possono essere sia transgender che intersessuali, non passano inosservate: vestite in sari glitterati, i volti coperti da un trucco pesante e scadente, camminano con disinvoltura per gli incroci trafficati e bussano ai finestrini delle macchine con il dorso di una monetina per offrire una benedizione, danzano nei templi e intrattengono gli ospiti nelle chiassose feste di matrimonio e di nascita di un bambino, cantando canzoni osé e terminando la serata con un bel mazzetto di rupie.
Per molti indiani le hijra hanno il potere di benedire e di maledire, e le hijra stesse traggono profitto da questa scomoda ambivalenza. Lo psichiatra Gurvinder Kalra, studioso della comunità hijra, ricorda quella volta in cui un gruppetto [di hijra] si è presentato, inatteso, [alla festa per] la nascita di suo nipote: “La prima cosa che la gente ha detto è stata ‘Oh mio Dio, arrivano le hijra!’”. Ci fu un momento di nervosismo, poi uno scoppio di risa: “C’è sempre [in loro presenza] un misto di positività e negatività, una specie di paura, la sensazione che queste persone siano bestie rare”.
Dietro alla loro teatralità ci sono spesso storie tristi, storie di prostituzione e sfruttamento, crudeltà e castrazioni pericolose, emarginazione e umiliazioni continue. All’interno della comunità LGBT indiana, le hijra sono gelose della loro sottocultura, molto riservata.
Radhika, una hijra che vive vicino a una stazione ferroviaria di Mumbai, non si considerava diversa prima di cominciare la scuola, un capitolo della sua vita che non è durato a lungo. Dopo essere stata molestata dagli altri bambini ha capito di non essere proprio una femminuccia, ma nemmeno un maschietto. Sua madre le ha detto di non rimuginarci troppo sopra: “Tu sei una bambina. Non farti troppi problemi”.
Non è stato facile per Radhika: i suoi genitori si sono separati quando era ancora giovane, e poco dopo sua madre è morta. Nessuno dei suoi parenti ha voluto prenderla in casa ed è stata praticamente abbandonata, così una prostituta l’ha presa con sé e l’ha mandata a vendere il suo corpo in un parco disseminato di rifiuti. Aveva otto anni. Qundici anni dopo, Radhika fa ancora la prostituta, con i suoi sari scuri, le unghie color porpora screpolate, il suo anello d’oro alla narice sinistra e i capelli che le arrivano fino a metà schiena. Quando le chiedo come si sente la mattina quando si reca al lavoro, vale a dire quando si mette in fila lungo la ferrovia ad aspettare i clienti assieme ad altre prostitute, alza le spalle: “Fin da quando ero bambina ho imparato che il mondo si basa sui soldi. Ho imparato che, se non ho soldi, non esisto”.
La storia di Radhika non trasuda certamente più durezza, solitudine e disperazione di quella di molte altre hijra. Molte di loro si prostituiscono e sono obbligate a lavorare per una guru, alla quale va la maggior parte dei guadagni.
Radhika non vuole dirci il nome della sua guru: sembra spaventata di nominarla. Nel mondo delle hijra le guru assolvono a vari ruoli: capo scout, madrina, guida spirituale e protettrice di prostitute. Anche le guru sono hijra, che di solito hanno superato i quarant’anni.
La comunità hijra ha qualcosa degli schemi a piramide: le chela (discepole) più giovani sono dirette da hijra di medio livello, le quali rispondono alle guru, spesso a loro volta guidate da guru più anziane. Tutte le hijra hanno l’intenzione di far lavorare per loro quante più chela possibile. Il denaro va verso l’alto, la protezione dai clienti violenti e dai poliziotti, invece, filtra verso il basso.
Quando ho cercato di intervistare una guru nel quartiere di Radhika, questa ha scosso la testa e ha detto che avrebbe dovuto avere il permesso da parte della sua guru. Una di esse, invece, ha accettato di parlarmi. Vive al secondo piano in una baraccopoli di Mumbai, e per raggiungerla bisogna salire una stretta scala a pioli di metallo, come se si fosse su una barca. A differenza di Radhika e delle altre hijra, che passano la vita in baracche piccole e prive di aria, piene di crepe nei muri e appestate dall’odore di escrementi, questa guru, che dice di chiamarsi Chandini, ha preso in affitto un appartamento relativamente grande. Siede sul pavimento molto pulito, stravaccata con la schiena contro un frigorifero Whirlpool: “Oggigiorno è molto più facile essere una hijra. Oggi ci sono i medici. Quando ho cambiato il mio sesso, [noi hijra] dovevamo fare tutto da sole”. In passato, ci dice con un sospiro, sono morti innumerevoli giovani a causa di castrazioni approssimative, spesso eseguite da persone prive di conoscenze mediche.
Da quell’epoca, l’India ha fatto grossi passi avanti. In alcuni stati, come il meridionale Kerala, oggi si può cambiare sesso negli ospedali governativi. Alcuni anni fa l’India ha riconosciuto ufficialmente le persone transgender come terzo genere, dando loro diritto al welfare e ad altri benefici. Non tutte le persone transgender sono hijra o discepole di una guru. Secoli fa, quando era in vigore la cultura indù tradizionale, le hijra godevano di un certo rispetto, ma l’Inghilterra vittoriana cambiò molte cose. Quando, a metà del XIX secolo, i Britannici colonizzarono l’India, vi esportarono un forte senso di giudizio verso i costumi sessuali e resero un reato “il rapporto carnale contro l’ordine di natura”. Questo, secondo gli studiosi, fu l’inizio di un disagio, diffuso a tutti i livelli della società indiana, verso l’omosessualità, le persone transgender e le hijra.
Molte hijra si sento alienate, e soffrono di venire considerate dei mostri. Si lamentano di venire infastidite, molestate e aggredite. Le guru aiutano le giovani hijra a far fronte a questa vita; le loro reti di discepole sono note come “case” o “famiglie”. Queste case operano un po’ come gang di strada: combattono per il territorio in cui chiedere l’elemosina e prostituirsi e regolano i conti tra di loro, talvolta in modo violento, all’ombra delle stazioni e delle baraccopoli.
Chandini non si fa problemi a dirci come funziona tra lei e le sue quindici chela: “Danno a me ciò che guadagnano”. Ammucchiati vicino al televisore tiene una pila di libretti di ricevute, in modo da registrare le donazioni alle hijra fatte nel suo quartiere.
La hijra ventottenne Puja si sente “sorella” delle altre hijra della sua casa. Puja sembra un po’ frivola e a suo agio nella sua pelle. Vive assieme ad altre tre donne transgender e pagano l’affitto danzando nei templi e chiedendo l’elemosina per strada: “Io personalmente non voglio mendicare. Nessuna lo vuole fare. E adesso la situazione è peggiorata, perché i poliziotti ci maltrattano. Non ci permettono più di chiedere l’elemosina sui treni, ma non abbiamo altre opportunità, e ora ci chiedono di smettere? Non è giusto. Questa non è giustizia”. Finita l’intervista, Puja mi guarda e chiede con molta sincerità: “Cosa fanno le persone transgender nel tuo Paese? Si prostituiscono?”.
* Jeffrey Gettleman, vincitore nel 2012 del Premio Pulitzer per le sue inchieste internazionali, è inviato nell’Asia del sud per il Times e vive a Nuova Delhi. Ha scritto per il National Geographic, GQ, Foreign Policy e la New York Review of Books. Ha studiato filosofia alla Cornell University [di Ithaca, nello stato di New York] e a Oxford. Dal 2006 al 2017 ha abitato in Kenya ed è stato inviato per l’Africa orientale. Twitter: @gettleman
Testo originale: The Peculiar Position of India’s Third Gender