Il mondo visto attraverso gli occhi di Lavinia. Il mio coming out
Testimonianza di Lavinia Capogna
A metà anni 70 frequentavo l’ultimo anno di una rinomata scuola media romana. C’erano ancora le classi solo femminili, solo maschili e miste e i grembiuli neri. Io ero capitata in una classe solo femminile. Eravamo circa trenta ragazzine di 14 anni in un’Italia stravolta dal terrorismo.
Una mattina senza preavviso una supplente di scienze ci fece una lezione di educazione sessuale, a dire il vero malfatta e raggelante. Erano penso le prime su un argomento tabù in quell’Italia in cui governava la DC. L’omosessualità era un argomento invisibile. C’era un movimento gay, piccolo ma tenace, con in testa Massimo Consoli, ma noi adolescenti non lo sapevamo.
La lezione sconvolse quasi tutte noi, la mia compagna di banco, figlia di un muratore, quella che studiava danza e la ricca figlia di un noto commerciante. Ricordo che in quella spiegazione scientifica non c’era nessun accenno alla tenerezza nella sessualità. I manuali citavano invece l’omosessualità come perversione (parola spaventosa e ambigua). La chiesa cattolica era contro gli omosessuali e anche nella sinistra c’era una certa diffidenza. C’erano stati gli hippies, il 68 e il femminismo ma a quell’epoca a 14 anni si era bambine.
Io sapevo già il mio orientamento ma la parola lesbica mi spaventava. Non si pronunciava mai, nè si leggeva sui quotidiani neppure credo sull’eroico Paese Sera che leggevo spesso.
La parola gay non si usava e sulla spiaggia i vicini di ombrellone se passava un bel ragazzo con i capelli lunghi e una chitarra a tracolla lo indicavano come uno ‘dell’altra sponda’ (altra frase incomprensibile). La mia famiglia era aperta ed emancipata ma mio padre gravemente malato.
Negli anni 80 Roma sembrava più tranquilla degli anni 70:io leggevo molto, scrivevo, suonavo la chitarra, ammiravo i primi capolavori di Wim Wenders. Sognavo di incontrare una Micol Finzi Contini, eterea, evanescente ma nella realtà l’amore restava un sogno e avevo tabù e condizionamenti che avevo assimilato dalla società.
Ero credente ma non praticante e ora a San Pietro c’era un energico cinquantenne polacco Giovanni Paolo secondo. Tuttavia sentivo la chiesa estranea e le preferivo il PCI di Enrico Berlinguer e il movimento pacifista. Ricordate la base di Comiso in Sicilia?
La strage di Bologna del 2 agosto 1980 aveva segnato indelebilmente la mia generazione come l’omicidio di Aldo Moro di due anni prima. Tra i miei amici c’era una ragazza bisessuale e pian piano scoprii che lesbiche, gay e bisex esistevano. Dei trans non si parlava ma qualcosa stava cambiando grazie ad un nascente movimento gay, alla musica e al cinema.
Un film come “Another country” sul delicato amore tra due studenti inglesi mi commosse profondamente. Quanto a me ci volle un lungo percorso emotivo per liberarmi dai condizionamenti, percorso emotivo ancora non completamente concluso. A 12 anni ho scoperto l’amore come sentimento spirituale, casto, ed è stata una rivelazione. Solo più tardi compresi che quel nobile sentimento mai espresso. Il mio percorso personale incominciò con l’ammirazione verso scrittrici lesbiche per il loro talento e soprattutto verso Virginia Woolf e più tardi per Annemarie Schwarzenbach.
Poi il cinema e i primi film a tematica lesbica. Mi avvicinai al rock anche se la musica che più ascoltavo era classica e jazz. Scoprii la rabbia piena di vita di Janis Joplin, star hippy, scomparsa poco più che ventenne per overdose. Leggevo spesso i Vangeli e non vi trovavo nulla contro lesbiche e gay. Lessi la Lettera ai Romani di S. Paolo e vi trovai quel passo contro l’omosessualità. Ma il Maestro è uno solo: Gesù. Iniziai a leggere la rivista Babilonia e a scoprire rivendicazioni, cultura frivolezze della comunità Glbt.
Il maggiore aiuto mi venne da mia madre a cui una sera d’autunno del 1990, a 27 anni, diedi una lettera e con il cuore a mille attesi che la leggesse. Subito mia mamma venne in camera mia, mi abbracciò e mi disse parole belle, piene di amore e di comprensione. Poi feci coming out con la mia migliore amica, una simpatica ragazza etero di famiglia napoletana.
Dopo la mia ardua “confessione” lei mi disse ridente: prepariamoci un buon caffè forte. Poi una psicologa anche lei etero, molta brava, mi aiutò a scardinare i pregiudizi che avevo solo verso me stessa. Scelsi di fare una psicoterapia per altre ragioni ma parlare di sentimenti mi fece bene, mi innamoravo soprattutto di coetanee etero e che immaginavo evanescenti e incantevoli come Tadzio in “Morte a Venezia” di Luchino Visconti, figure eteree, ottocentesche ma chissà com’erano veramente queste Beatrici e queste Laure di fine Novecento? Con me gentili ma nulla piú. Spesso silenziose, forse timide, misteriose.
La quarta donna che mi aiutò fu una lesbica di dieci anni più grande di me con cui feci amicizia. Era una donna molto garbata e colta. Era stata nel movimento femminista e con molta sensibilità aspettò che fossi io per prima a parlare di questo argomento. Lei conviveva con la sua compagna.
Questa amicizia mi avvicinò al movimento Glbt romano. Non frequentavo discoteche o locali ma un circolo di gay di comunisti con volontari solo uomini e una transessuale da cui intuii quanto possa essere difficile il percorso dei trans. Facevo i primi passi nel movimento Glbt e ancora non avevo incontrato un amore corrisposto.
Ma un giorno incontrai il mio primo amore corrisposto. Per rispetto verso di lei non posso scrivere altro che in poco tempo con grande dolcezza fece svanire le mie paure sul sesso. Era una ragazza intelligente e delicata, piena di gioia di vivere e cattolica di sinistra. Parlavamo a cuore aperto, leggevamo poesie insieme, al mattino le portavo una tazzina di caffè mentre era ancora nel dormiveglia. Lei aveva vissuto prima di me tre storie. Il nostro amore durò qualche mese fino a quando mi lasciò spiegandomi il perché.
Il ricordo di quei mesi é per sempre nella mia anima. Questo è stato il mio percorso dal primo amore casto al primo amore ricambiato. Un percorso in parte difficile, in parte aiutato da quattro donne. Un percorso anche di solitudine. Il mio apporto al movimento Glbt romano è stato quasi solo intellettuale scrivendo più di cento articoli su artisti gay e lesbiche, in gran parte perduti.
Molti volontari del movimento Glbt si impegnano quotidianamente dando un concreto aiuto alle persone. Io ho mancato di farlo se non in forma letteraria e da dieci mesi una rara malattia invalidante, la Sindrome da fatica cronica (Cfs), mi impedisce persino di prendere un bicchier d’acqua in cucina. Spero di potermi impegnare molto di più in avvenire.