Il Papa deve temere i ricatti e non fare demagogia
Articolo del 13 giugno 2013 di Carlo Tecce pubblicato su il Fatto Quotidiano
La denuncia di Francesco non stupisce: “Era una confidenza a un gruppo di amici, non voleva che lo sapesse il pianeta, però, potremmo dire che poteva osare di più”, scherza con un paradosso Vittorio Messori, scrittore e storico, editorialista del Corriere, frequentatore assiduo di Joseph Ratzinger. Un pontefice che si sconcerta per lobby gay e corruzione non s’era mai sentito: “E c’è un pericolo, ancora più grave”.
Quale, Messori? Il ricatto.
Va oltre al turbamento di Francesco. No, non mi permetterei, non darei mai consigli al pontefice, sarei ridicolo, questo lo scriva per favore.
E cosa teme per la Chiesa? Il rischio non viene soltanto da un’organizzazione di gay, non farei una distinzione di gusti sessuali, il problema è il ricatto a cui si sottopongono i funzionari o i prelati che conducono una doppia vita: che vanno con la donna o col camionista.
Chi può maneggiare le minacce? Il Vaticano non è un paradiso. Ci sono moltitudine di nemici esterni e soprattutto interni, non è una scoperta affermare che continua la battaglia fra i conservatori e i progressisti.
Nemmeno la corruzione la fa tribolare. Il Vaticano è uno speciale e piccolo Stato, ma è pur sempre una realtà burocratizzata che distribuisce appalti, commesse, denaro e non può farne a meno.
Francesco ha citato la Curia, in tanti la indicano come un malanno diventato incurabile. Il Vaticano non può rinunciare a una struttura di governo, comunque funzionale per la diffusione evangelica. Un po’ di serietà.
Cosa pensa di Tarcisio Bertone, il segretario di Stato, più volte – soprattutto nei retroscena e per le indiscrezioni – sul punto di essere costretto a lasciare o di essere sostituto? La questione non comincia e non si esaurisce con Bertone.
Il Papa inneggia al cattolico povero, umile e inveisce contro il carrierismo e il malaffare. La cura funziona? Io non ho mai accettato di vivere a Roma per non cadere in queste interpretazioni. Non è intenzione di Francesco, però i suoi discorsi vengono dipinti con demagogia e lo stesso pontefice può sembrare demagogo. Non è corretto dire che “San Pietro non aveva una banca” come dichiarato un paio di giorni fa: la Chiesa non ha mai disprezzato il denaro. E poi ha letto le leggende sugli scarponi?
Bergoglio non utilizza i mocassini rossi di Ratzinger. Nessun dubbio, ma è per un motivo fisico: soffre di sciatica, zoppica un pochino e necessita di un sostegno più saldo. E la Chiesa povera è una cavolata: Gesù non era un morto di fame.
Qui viene giù tutto, Messori. Non raccontiamo bufale. Gesù aveva una disponibilità economica, persino un tesoriere che poi l’ha tradito, Giuda Iscariota. Quando fu crocifisso, le guardie notarono che aveva un abito cucito con un solo pezzo di stoffa, un lusso raro e se lo giocarono a dadi perché costava. Era di valore. Gesù vestiva Armani.
Sempre in quel colloquio con i latino-americani, Francesco ha ammesso di non poter promettere le riforme che in tanti invocano e in tanti soffrono. Ovvio, la Curia è il braccio del pontefice e regge equilibri complicati che non possono essere spazzati o modificati in fretta.
Benedetto XVI non riusciva a rassettare la Curia, a convertire i peccatori, si è dimesso anche per un senso di impotenza? Lo conosco da anni, ricordo la sua timidezza, ma non è un uomo pauroso. Ha dieci anni più di Bergoglio, è fisicamente debilitato, sapeva di non poter più svolgere i compiti a cui era chiamato: la Curia inquieta, certo e molto di più.