Il ruolo delle donne nella Chiesa primitiva. Guardare al passato per il futuro
Articolo* di Hal Chorpenning** pubblicato sul suo blog Peregrinus (Stati Uniti) il 21 maggio 2013, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Forse a prima vista questo può apparire un articolo accademico, ma le immagini muliebri dei mosaici romani che vanno dal secondo al nono secolo e quelle sui sarcofagi cristiani primitivi suggeriscono come il ruolo delle donne nella Chiesa primitiva non fosse quello di cittadine di seconda classe.
L’apostolo Paolo scrive alla chiesa di Roma: “Vi raccomando Febe, nostra sorella, che è diaconessa della chiesa di Cencrea, perché la riceviate nel Signore, in modo degno dei santi, e le prestiate assistenza in qualunque cosa ella possa aver bisogno di voi; poiché ella pure ha prestato assistenza a molti e anche a me”. [Romani 16:1-2]
Alcune donne nella Chiesa primitiva non solo avevano potere (come la diaconessa Febe) ma anche ricchezze. Paolo sta descrivendo un rapporto tra patrono e cliente, comune all’epoca nel bacino mediterraneo. Paolo è il cliente e Febe la patrona (prostatis). Notiamo che l’odierna Chiesa di Roma non vuole ordinare le donne al sacerdozio o al diaconato… e poi si chiedono perché i pochi preti disponibili a servire le grandi parrocchie si ammazzano di lavoro. A un livello puramente tattico, se aprissero il diaconato e il sacerdozio alle donne raddoppierebbero gli effettivi del clero! Ma sto divagando.
Paolo continua la sua lettera alla chiesa di Roma: “Salutate Prisca [una donna] e Aquila, miei collaboratori in Cristo Gesù, i quali hanno rischiato la vita per me; a loro non io soltanto sono grato, ma anche tutte le chiese delle nazioni” [Romani 16:3-4]. Questi due erano probabilmente una coppia di sposi che esercitavano, con Paolo, un ministero insieme. Una coppia? Una donna ministro?
“Salutate Andronico e Giunia” scrive Paolo a proposito di un uomo e una donna che descrive come “miei parenti e compagni di prigionia, i quali si sono segnalati fra gli apostoli…” [Romani 16:7]. Aspetta un po’… Paolo sta dicendo che una donna si è segnalata fra gli apostoli? Certo che sì. Tutti questi passi si trovano alla fine della Lettera ai Romani. Nella “vecchia” traduzione inglese nota come Revised Standard Edition, i curatori hanno utilizzato la forma maschile di Giunia (Junias in inglese) perché ritenevano inconcepibile che il testo nominasse una donna come importante apostola. (Controllate il testo greco, dice proprio Giunia)
La prima cosa che ho notato delle quattro donne raffigurate nel mosaico del Sacello di san Zenone nella chiesa di Santa Prassede a Roma è che una di esse ha un nimbo rettangolare… il che significa che era ancora in vita quando il mosaico venne creato. Poi, che è l’unica identificata per nome: Teodora. Il suo titolo è Episcopa, femminile del greco Episcopos, che letteralmente significa “colui che guarda” (-scopos) “sopra” (-epi), “che sovrintende”, e che si traduce con “vescovo”. Era la madre del papa Pasquale I, che costruì la chiesa e commissionò i mosaici nel IX secolo. Nessun documento ci dice chi la consacrò vescova… ma se non era vescova, perché chiamarla episcopa… oltretutto raffigurandola nimbata? La pietà filiale arriva solo fino a un certo punto. Alcuni hanno tentato di sostenere che Teodora fosse onorata come moglie di un vescovo. Eh? Perché suo marito non è stato raffigurato con un nimbo accanto a Maria, Prassede e Prudenzia? E invece no, non c’è.
Pare che Prassede sia morta martire nel 165 (circa cento anni dopo il presunto martirio di Paolo a Roma). Si prese cura dei cristiani feriti nelle persecuzioni e venne sepolta nelle catacombe di santa Priscilla assieme a sua sorella Prudenzia.
Nel nono secolo i suoi resti vennero traslati nella cripta della chiesa che papa Pasquale I, a lei devoto, le dedicò. Nel mosaico del coro della stessa chiesa compare assieme a san Paolo come sua pari. L’apostolo le passa un braccio attorno alla spalla con atteggiamento cameratesco. La santa è raffigurata con la medesima statura di Paolo e in modo da suggerire pari dignità. È interessante come nel nono secolo si potesse fare questo. Avete visto per caso qualche donna nel recente conclave… 12 secoli dopo?
Nel Museo Pio Cristiano, che fa parte dei Musei Vaticani, le figure di donne in preghiera sono ricorrenti sui sarcofagi e in uno splendido mosaico che commemora una giovane donna. Tra le più antiche iscrizioni cristiane troviamo quella di una donna di nome Petronia, su un lato del suo sarcofago di marmo, che la mostra in posizione di preghiera, che nel mondo antico era simbolo di pietà e fedeltà. Come l’immagine dell’uomo che porta un ariete per il sacrificio, essa era usata nelle raffigurazioni cristiane e pagane della pietà.
Non possiamo sapere tutto sul ruolo delle donne nelle prime comunità cristiane, ma quello che sappiamo indica non solo che erano presenti, ma che erano leader. La Chiesa di oggi sciupa i doni che le donne possono utilizzare nel ministero ogni volta che diciamo o pensiamo che esse non possono essere uguali agli uomini nella conduzione della Chiesa stessa. Forse pensate che questo non costituisca più un problema… ma lo è per i cattolici, gli ortodossi, gli evangelici fondamentalisti e conservatori. Quello che posso suggerire è di guardare al nostro passato e al vostro futuro.
* I passi biblici sono tratti dalla Versione Nuova Riveduta.
** Hal Chorpenning è pastore della Chiesa Unita di Cristo di Fort Collins nel Colorado. Il blog Peregrinus racconta il suo pellegrinaggio sabbatico del 2013.
Testo originale: Theodora, Praxedes, and the Role of Christian Women in Ancient Rome