In difesa del desiderio. La teologia di James Alison
Articolo di Christopher Ruddy tratto da Commonweal Magazine (USA), 30 gennaio 2009, liberamente tradotto da Silvia Lanzi
Si dice che ci siano due tipi di teologi: quelli che si occupano di teologia, e quello che si occupano di Dio. James Alison studia Dio. Meglio conosciuto come “teologo gay”, per i suoi estesi scritti sull’omosessualità, Alison è un sacerdote, non più dipendente da una diocesi o da un ordine religioso – per dirla con le sue parole, canonicamente è una “non persona”.
Nato in Inghilterra nel 1959, Alison è cresciuto evangelico ed è diventato cattolico a diciotto anni. È entrato nell’ordine domenicano nel 1981, è stato ordinato nel 1988 e, dopo i suoi studi a Oxford, ha completato la sua tesi di dottorato (sul peccato originale) alla facoltà gesuita di Belo Orizonte, in Brasile.
Alison ha lasciato l’ordine domenicano nel 1995 sotto pressione di parecchi dei suoi superiori sudamericani (nei suoi scritti non spiega completamente queste circostanze); dopo pochi mesi ha dovuto sopportare la morte per AIDS del suo compagno.
Se si escludono occasionali incarichi d’insegnamento in America Latina e negli Stati Uniti, da allora è stato un docente itinerante tornando, come ha ironicamente commentato egli stesso, alla vocazione mendicante di un domenicano originario: la predicazione itinerante e la questua.
Inevitabilmente, essendo un teologo gay, Alison è anche una figura controversa. Alcuni detrattori lo condannano come uno spin doctor all’acqua di rose che ha interpretato la prima enciclica di papa Benedetto XVI, Deus caritas est, come un messaggio di disponibilità nei confronti dell’omosessualità – “un invito ad elaborare una cultura cattolica dell’amore omosessuale”, come disse Alison nel 2006 in una conferenza all’università (gesuita) di San Francisco.
Ma molti ammiratori di Alison trovano in lui uno scrittore di teologia di potente freschezza e intuito. Il teologo Stanley Hauerwas definisce i suoi libri “spaventosamente profondi”.
Charles Hefling, docente di teologia al Boston College elogia l’”effervescenza” dei suoi scritti dove trova “un entusiasmo vivace che non si trova comunemente nei teologi seri”. I libri di Alison, commenta Rowan Williams, l’arcivescovo di Canterbury, “ci lasciano con la sensazione che forse è il momento di diventare cristiani”.
Questi libri, inclusi Raising Abel (1996), The Joy of Being Wrong (1998), and Undergoing God (2006) trattano temi che vanno dalla Creazione alla Resurrezione, offrendo quella che è meglio definire non come teologia gay, ma come una teologia cattolica da una prospettiva gay (ndr in italiano è stato pubblicato di James Alison, Fede oltre il risentimento, Transeuropa Libri, 2007, 226 pagine ).
Un tema personale e costante è il rifiuto di Alison di ripudiare la fede che in una certa misura lo ha ripudiato. (“Datemi la religione dei tempi antichi” ha detto a un seminarista che gli chiedeva, in una conferenza a Milwaukee nel 2006, il perché del suo approccio alla teologia, in quanto gay, non fosse aggressivamente revisionista).
Ed è vero che la teologia di Alison, che nasce dalla scoperta della generosità creativa di Dio nel bel mezzo della violenza umana e della morte, ha più da offrire al cattolicesimo e all’intera cristianità. Egli ha il dono di recuperare argomenti all’apparenza stantii e marginali – la concupiscenza, per esempio, o l’Assunzione – e mostrare la loro rilevanza e loro profondità.
Di più la sua influenza, si sta diffondendo ed è stata riconoscibile nei messaggi dell’arcivescovo William all’”the Anglican Communion’s Lambeth Conference” della scorsa estate (2009).
Alison è uno scrittore affascinante il cui stile è insieme discorsivo ed involuto, pieno di spirito e a volte anche prosaico. Prendiamo, per esempio, il suo racconto Taking the plunge (pubblicato in Christian Century, 20 febbraio 2007, Vol. 124, No. 4) della sua prima esperienza di uno studio teologico formale, nel quale ricorda l’enorme quantità di libri da leggere e la sua sensazione di “annegamento”:
“Giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, autore dopo autore, opinione dopo opinione, si versò su di me un mare di parole, da ogni punto di vista. Si aprirono nuovi orizzonti e l’impegno corrose boccone per boccone il mio stomaco, le sicurezze che avevo – finché il piccolo Inquisitore Generale sul suo trono nella parte più alta del mio cranio non poté più sopportarlo.
Era ormai abituato a sedere lì, vagliando serenamente le piccole idee che la mie modeste letture e ascolti gli avevano dato gettandole sistematicamente ed elegantemente nella spazzatura, da una posizione che credevo di enorme superiorità… Era come se queste opinioni e idee fossero lì per raggiungere il mio povero unquisitore interiore.
Ma lui era completamente in alto mare tra la lettera e l’ampiezza di quel che spumeggiava su di lui (annegandolo). Non aveva la possibilità o il tempo di imparare a mettere da parte tutti questi libri orrendi o non aveva un dito da mettere nel buco della diga per arginarla. E così annegò”.
Alison può anche essere uno scrittore frustrante. In lui c’è della teologia che ci fa sobbalzare per l’eccitazione dalla sedia e ci fa inginocchiare a pregare – e ci fa anche sbattere la testa contro la sua esasperante incapacità di arrivare al punto. Alison è un maestro della circonlocuzione; si deve setacciare per trovare le pepite d’oro, che sono molte, tra i torrenti di parole e idee.
La sua teologia sgorga da due profonde sorgenti: l’Aquinate (Tommaso d’Aquino) e René Girard. Girard, membro dell’Académie Française e professore emerito di letteratura a Stanford è conosciuto principalmente per la sua teoria del deiderio mimetico o imitativo e del meccanismo del capro espiatorio.
Girard afferma che impariamo a desiderare vedendo ciò che desiderano gli altri; vogliamo avere ciò che hanno gli altri. Questo porta a rivalità e conflitti – si pensi, per esempio, ad un bambino cui siano indifferente un giocattolo prima che un altro inizi a giocarci. In definitiva, il conflitto si risolve usando un capro espiatorio, l’”altro” insultato, viene incolpato quindi espulso dalla comunità con l’esilio o la morte.
La chiave di questo meccanismo del capro espiatorio è una violenza sacrificale sanzionata divinamente: nel tempo, la violenza originale è dimenticata o nascosta, il capro espiatorio diventa un dio e il sacrificio è perpetrato così da rinnovare la pace creata dal sacrificio originale.
Il cristianesimo, secondo la visione di Girard, capovolge questa struttura violenta. La croce, la rivelazione definitiva della violenza umana, è anche la rivelazione definitiva dell’amore e della nonviolenza divina.
Rivela e in tal modo nega sia la violenza che le bugie che strutturano le comunità umane; pensiamo alla preghiera di Gesù, “Perdona loro perché non sanno quello che fanno” e al conseguente riconoscimento dell’innocenza di Gesù da parte del centurione romano e delle folle che guardavano la crocefissione.
Il vero sacrificio di Gesù – di se stesso – pone termine al sacrificio degli altri. La violenza è stata smascherata e resa impotente dall’amore compassionevole di una vittima innocente. La fonte più profonda del pensiero di Alison è l’Aquinate (Tommaso d’Aquino) e la sua dottrina della creazione, che Alison ha imparato dai suoi maestri domenicani Herbert McCabe e Fergus Kerr.
L’insegnamento dell’Aquinate è basato in ciò che il sacerdote-filosofo cattolico Robert Sokolowski chiama “la distinzione cristiana” tra Dio e la creazione. Creando ogni cosa dal nulla, Dio non è un essere, ma la fonte di tutti gli esseri. Questa “distinzione” afferma una relazione senza rivalità tra Dio e la creazione, dove le note dominanti sono abbondanza e freschezza non miseria e autoconservazione.
Al di là di ogni rivalità della sua perfezione e semplicità, Dio ci da la grazia della libertà di amare e di essere noi stessi, anziché marionette o schiavi.
Il monoteismo giudeo-cristiano così diventa una buona notizia piuttosto che qualcosa di estremamente caricaturale che porta intolleranza e violenza; da quando Dio non è più un rivale di altri dei o della creazione di Dio, la trama della realtà non la competizione; la pace, non il conflitto.
La “distinzione” genera anche una secolarità genuine, assicurando alla creazione la sua stessa integrità, stabilità e legittima autonomia. La creazione è veramente “altro” rispetto a Dio, non un’estensione panteistica o un giocattolo della volontà arbitraria di Dio.
Questa secolarità porta alla de-sacralizzazione del creato, che allontana l’umanità dall’idolatria, dalla superstizione e dal fatalismo. L’Aquinate così stabilisce la “natura” come una legittima categoria teologica, insieme al peccato e alla grazia. La salvezza rispetta l’integrità della natura umana invece di violarla. La grazia non solo guarisce la natura, mala perfeziona. Alison parla, in questo contesto tomistico, dell’essere nel “cuore” della creazione. In questo punto di vista, la domanda chiave dal punto di vista teologico non è: “Che c’entra Dio con il peccato?” ma “Come possiamo accettare l’invito di Dio di condividere l’atto della creazione?”.
L’umanità, suggerisce Alison, si trova “molto più in un parco dei divertimenti e molto meno in una zona di guerra di quanto sia incline a pensare”. La spaziosa e confortevole bontà della creazione di Dio ci invita a riposarci in Dio, lasciarci alle spalle il bisogno di definirci in opposizione agli altri e sentirci a casa con e in Dio.
Si può allora, in una frase di Alison, “cedere” a Dio, lasciando che ci dia la nostra identità, la nostra forma e i nostri desideri. Nell’opera della creazione, la ricettività porta all’azione.
Al centro della teologia di Alison c’è una cristologia in cui si combinano le visioni dell’Aquinate e di Girard. Alison vede Gesù come rivelatore della violenza umana e della nonviolenza divina. Svelando il capro espiatorio che caratterizza le società umane, Gesù toglie potere a questo meccanismo, come pure rivela, attraverso la resurrezione, un Dio della vita che non ha nulla a che fare con l’incoraggiamento della violenza e della morte.
È anche il sacerdote il cui sacrificio di se stesso capovolge la direzione del sacrificio, spalancando lo spazio ad una nuova creazione. Invece di essere qualcosa che noi offriamo a Dio nella speranza di placare la sua ira o per cercare il suo favore, il sacrificio cristiano è ciò che Dio ci regala.
Gesù si mette nelle nostre mani e assorbe la rabbia dei nostri peccati, mettendo a nudo e vincendo il ciclo della rivalità, del capro espiatorio e della morte. Noi puniamo Dio, e lui risponde perdonandoci. In ultimo, il Gesù di Alison è la vittima che osa perdonare i suoi aguzzini.
Apparendo dopo la sua resurrezione ai suoi compagni – immaginate il terrore che i suoi codardi discepoli devono aver provato vedendolo – egli offre non vendetta ma pace e risveglia in loro il riconoscimento della loro stessa violenza e delle loro bugie. Accettando il suo perdono, i discepoli trovano i loro cuori spezzati pronti – che è il vero significato della contrizione – a ricevere l’abbondanza di una nuova creazione. Questo Gesù è gentile, calmo, pacato, davanti al conflitto e al linciaggio della folla, rifiutando di dare esca alla violenza e di difendere se stesso.
È un Gesù che da una nuova profondità alla preghiera eucaristica: “Una morte accettata spontaneamente” e “la vittima che ci ha riconciliati con te (Dio)”.
Mentre questa cristologia struttura tutto il lavoro di Alison, tre aree in particolare – la liturgia, l’antropologia e l’omosessualità – caratterizzano le considerazioni, o le controversie, sui suoi scritti. La comprensione liturgica di Alison scaturisce dalla sua comprensione di Cristo. In “Worship in a Violent World” (“Venerare Dio in un mondo violento”), nel suo saggio intolato Undergoing God (Il Dio sofferente), egli contrappone l’autentica venerazione cristiana con quella falsa dei raduni di Norimberga.
Laddove questi hanno cercato di improvvisare un’uniformità estatica e frenetica sacrificando ad un capro espiatorio per la salvezza di un leader carismatico, l’adorazione cristiana fa proprio il contrario: una calma unità nella quale Dio sacrifica se stesso per la salvezza dei partecipanti. I falsi spettacoli di venerazione di massa di Norimberga divinizzano i leaders, demonizzano i capri espiatori e disumanizzano tutti.
Al contrario, l’autentica venerazione, secondo Alison, unamizza tutti i partecipanti trasformando pacificamente i loro desideri. Con il suo tipico buon umore, raccomanda anche una liturgia soporifera:
“Quando la gente mi racconta che trovano noiosa la messa, vorrei dire loro: si suppone che sia noiosa, o almeno seriamente scadente. Ma è un’educazione a lungo termine per attenuare l’eccitazione, perché solo allora potremo essere in grado di abitare in una beatitudine quieta, che non ci estranea dal nostro presente o da ciò che ci circonda e ci sta vicino, ma che acuisce la nostra attenzione, o presenza, e il nostro apprezzamento per ciò che ci circonda”.
Questa visione piuttosto monastica della liturgia sfida la concezione di Pelagio che enfatizza l’eccitazione, la spettacolarizzazione e l’esaltazione della comunità. Né Dio né l’umanità hanno bisogno di essere manipolati o corrotti. Dio è già presente e il sacrificio è già perfetto in Cristo, così l’autentica adorazione dovrebbe portare i credenti nella pace della vittima che ci ha perdonato.
La visione cristologica di Alison esplora anche l’identità umana attraverso la sua teologia della resurrezione e del peccato originale. Normalmente si narra la storia cristiana procedendo in avanti, iniziando dalla creazione, ma Alison vuole tornare indietro dalla resurrezione di Cristo – un evento, scrive, che ci da “occhi pasquali” per vedere “l’immortalità di Dio e la mortalità umana”.
Resa cieca dal peccato, l’umanità non può capire quanto profondamente sia intrappolata in un sistema chiuso di rivalità e morte; siamo arrivati a vedere la violenza e la morte come “naturali”, semplicemente il modo in cui sono le cose. La resurrezione, tuttavia, rivela che Dio non ha nulla a che fare con questo modo “mortifero” di vedere le cose; infatti noi non siamo fatti per la morte. O per il peccato.
Il peccato originale, come argomenta Alison in The Joy of Being Wrong (La gioia di essere sbagliato), non appartiene alla nostra natura. Si può leggere l’intera produzione di Alison come come una lunga conferma del Concilio di Trento (e dell’Aquinate), contro Lutero e gli altri riformatori, affermando la bontà della natura umana (anche dopo la caduta), contro quei riformatori che credevano nella totale corruzione della natura.
Comunque il desiderio umano distorto può derivare dal peccato originale e dalla concupiscenza, e ciò nonostante può portarci a Dio, e una parte dell’opera salvifica di Gesù è di modellare e rendere possibile un genere diverso, e vivificante, di desiderio.
In conclusione, la natura del desiderio porta Alison a parlare dell’omosessualità (una parola che non gli piace per la sua propensione a tagliar fuori gay e lesbiche, indicandoli come se fossero un “loro” piuttosto che una parte di “noi”). Il suo pensiero in proposito ha il merito di essere teologico piuttosto che politico, culturale o legale; non scrive di diritti e uguaglianza, ma di creazione, natura, desiderio, e di crescita umana.
Alison costruisce l’argomento della bontà dell’omosessualità, attingendo all’insegnamento cattolico sulla creazione, il peccato originale e la salvezza. Come insegnò (il Concilio di) Trento, la natura umana conserva la sua integrità, anche dopo la caduta.
Perciò nessuna dimensione del desiderio umano è intrinsecamente cattiva – cioè irredimibile – perché è suscettibile di essere ordinato e curato. La salvezza è la perfezione della natura umana, non il suo rifiuto.
Come Alison tratteggia nella sua argomentazione, il cattolicesimo ha a lungo pensato che le persone fossero, per natura, eterosessuali, e che, in quest’ottica l’omosessualità sia così innaturale. Ma questo insegnamento fa a pugni con l’evidenza che sempre più si fa spazio, che l’omosessualità è un modo di essere, e non semplicemente un modo di comportarsi; non scelta, appartiene alla natura, o essenza, di ognuno.
Rappresentato dall’assioma scolastico agere sequitur esse (l’agire nasce dall’essere), Alison sostiene non si può ritenere che l’inclinazione omosessuale sia naturale e involontaria e che gli atti omosessuali siano intrinsecamente cattivi. “O l’essere gay è un modo imperfetto di essere eterosessuale”, argomenta, “o è soltanto una cosa che è semplicemente così” – una realtà, come “la pioggia, o la marea, o l’essere mancini”, come afferma altrove.
Alison, afferma quest’ultima posizione, e di conseguenza ritiene che l’omosessualità è moralmente equivalente all’eterosessualità. Come la pioggia o le maree: esempi tratti dalla natura, usati per così tanto tempo per condannare l’omosessualità, adesso diventano il loro più grande sostegno.
“La legge naturale è nostra amica” scrive Alison, le persone omosessuali sono salvate nella perfezione – e non rigettate – dalla loro natura omosessuale.
Questo argomento teologico ha diversi corollari pratici. Il primo è l’insistenza sulla veridicità. L’unica domanda utile circa l’insegnamento della Chiesa, scrive Alison, è “È vero?”. In una chiesa piena di ipocrisia e falsità sugli argomenti di carattere sessuale, la verità è dolorosa ma potente e non ultimo ha la possibilità di creare un’atmosfera di pace.
Il contrario di tale pace – e di tale verità – è la violenza del fatto di doversi nascondere (ndt, letteralmente “la violenza dello sgabuzzino”) e gli appartenenti a questo gruppo pagano il prezzo della mutilazione di sé e l’espulsione di chi rifiuta questa mutilazione. Allison questi gay e lesbiche che non si nascondono a mettere da parte la rabbia e di vivere invece nel “lungo mentre” finché si arrivi ad una soluzione.
Solo una “fede oltre il risentimento” può rompere il circolo vizioso del capro espiatorio e dell’autodistruzione. Abbracciare questa fede, nel suo modo di vedere le cose, dà ai gay e alle lesbiche un posto privilegiato nella Chiesa. Chiamati, come Pietro nel Vangelo di Luca, a “confermare i fratelli”, e stando in una posizione di umiliazione, possono rinnovare la Chiesa, essendo essi stessi delle vittime che perdonano, superando le menzogne con la verità e la brutalità con la non violenza.
Non si ha bisogno di essere d’accordo con ogni punti di Alison – io metto in dubbio, per esempio, la relativa scarsità, nei suoi scritti, della riflessione sulla complementarietà maschio-femmina – per apprezzare la vitalità e la profondità della sua teologia.
Il suo pensiero invita alla discussione; ed accompagna con umiltà i ragionamenti di chi si è convertito al cattolicesimo perché ha trovato in esso “il dono di avermi dato la possibilità di sbagliare, e di non spaventarmene, di lasciare andare il fatto di essere nel giusto per far si di essere amato”.
Il modo di vedere di Alison è insieme inclusivo e semplice. È teologico nella sua confessione della supremazia di Dio su tutte le parole e i comportamenti degli uomini; cristocentrico nella sua lettura della storia attraverso le lenti della resurrezione di Cristo; contemplativo nella sua calma e ricettività; scritturale nella sua attenzione alle parole apparentemente insignificanti che hanno ramificazioni profonde; tradizionale nel suo citare secoli di saggezza conquistata a fatica; onesto nel riconoscimento dell’inganno e della rivalità che imbevono tutte le comunità umane; e cattolico nel suo abbraccio della bontà della creazione e dello scopo cosmico della redenzione.
I primi scritti di Alison, sotto l’influenza di Girard, tendevano occasionalmente al moralismo: Gesù salva l’umanità rivelando il meccanismo del “capro espiatorio” ed esemplificando un modo di vita non violento. Il suo lavoro più recente ha enfatizzato il ruolo sacerdotale di Gesù: nel mistero pasquale Gesù è, nella formulazione classica, “sacerdote, altare e vittima” il cui sacrificio innocente supera la violenza e apre nel suo corpo ferito e risorto un mondo di perdono.
In altre parole, mentre Alison ha sempre enfatizzato Gesù come la via e la verità, ora evidenzia più chiaramente che Gesù è anche la vita stessa. La visione cristocentrica, unendo contemplazione e azione, culto e testimonianza, creazione e salvezza, offre molte promesse per la vita e il pensiero cattolico, ricordandoci, come fece Tommaso d’Aquino che Dio è altro, ma non è lontano, perche come nostro creatore e più vicino a noi di quanto lo siamo noi stessi.
Testo originale: In Defense of Desire. The Theology of James Alison