In Myanmar un soffio di libertà per le persone GLBT
Articolo di Carlos Sardina Galache pubblicato sul mensile Tetu (Francia), n.200 del giugno 2014, pp.41-43, libera traduzione di Marco Galvagno
Dopo la dissoluzione della giunta militare che ha regnato sul paese per cinquant’anni il Myanmar, l’ex Birmania, sta attraversando una transizione democratica.
La comunità LGBT birmana spera che il vento del cambiamento che soffia sul paese porti al riconoscimento dei suoi diritti. Un cammino che si annuncia lungo e faticoso. L’ex Birmania ha conosciuto il suo primo matrimonio gay il 2 marzo scorso. Si è trattato di un’unione simbolica organizzata dai militanti LGBT per chiedere l’uguaglianza dei diritti.
In Myammar soffia un vento di libertà
La scena si svolge a Mandalay, la seconda città più grande dell’ex Birmania davanti al palazzo imperiale, un luogo prediletto dalla comunità gay che ama ritrovarvisi. Il 6 luglio 2013 una dozzina di uomini si sono riuniti in una strada vicino ad un albergo di lusso. Un gruppo di poliziotti arriva e li porta al commissariato: il loro crimine è stato quello d aver mostrato in pubblico la loro omosessualità.
La parola si libera
Win Min (un nome fiittizio), 19 anni fa parte degli uomini arrestati. Quella notte è stato accusato di essersi travestito da donna, un comportamento vietato da una legge ereditata dalla colonizzazione britannica.
All’epoca era stata promulgata per contrastare le attività dei birmani anticolonialisti. Oggi è largamente utilizzata contro la comunità LGBT.
In un caffè l’uomo, magro e dai lunghi capelli neri, racconta il suo calvario con un tono calmo, e tradisce ancora la paura di nuove rappresaglie da parte delle forze dell’ordine. “I poliziotti ci hanno picchiati ed umiliati, volevano punirci”, ricorda il ragazzo che è stato liberato con i suoi compagni la notte stessa.
Questi arresti non sono isolati nel caso del Myanmar dove le retate antigay sono frequenti. L’omosessualità è sempre illegale, secondo il codice penale che vieta le relazioni tra persone dello stesso sesso. Nessun governo ha abolito le leggi antigay dopo che il paese ha ottenuto l’indipendenza nel 1948.
Ma dopo la dissoluzione della giunta militare un governo civile è stato creato nel 2011 e la Birmania ha intavolato una serie di riforme: autorizzazione di riunioni sindacali, diritto di manifestazione, indizione di elezioni legislative parziali con lo scopo di democratizzare il paese.
Incoraggiati da questa relativa liberalizzazione i compagni di Wu min rifiutano di restare in silenzio e denunciano la violenza e gli abusi dei poliziotti.
Dopo la prima conferenza stampa LGBT organizzata in Birmania, Aung Mo Min è diventato l’attivista gay più conosciuto in Birmania. Originario di Malmen, la capitale dello stato di Mon nel sud del paese, quest’uomo di 47 anni ne ha passati
ventiquattro in esilio in Tailandia per avere partecipato alla rivoluzione popolare contro la dittatura militare del generale Ne Win nel 1988. Al suo ritorno nel 2012 Aung Myo Min ha creato Equality Myanmar, la prima organizzazione per i diritti delle persone LGBT.
“In aprile abbiamo potuto creare il Myammar LGBT Rights Network, che raggruppa diverse piccole organizzazioni di tredici regioni del paese tutte militano per i diritti dell’uomo, spiega l’attivista.
Il fatto che Win Min e altri uomini arrestati in luglio osino denunciare ad alta voce la loro condizione è la prova che le cose stanno evolvendo per la comunità LGBT birmana.
“Vedo che la gente acquista sempre più fiducia in se stessa. Anche se perdiamo un’azione legale contro la polizia, questo tipo d’azione motiva ed incoraggia le persone a rivendicare i propri diritti”.
Il peso delle tradizioni
Poiché oltre ad essere regolarmente vittima di abusi delle forze dell’ordine e sottomessa alle leggi antigay, la comunità lgbt birmana si scontra con le credenze religiose e la mentalità conservatrice, dovuta a cinquant’anni di isolamento, imposto dal regime militare.
Molti birmani, afferma Aung Myo Min, considerano i gay, le lesbiche e i trans come creature strane, che secondo la credenza buddista verrebbero punite per crimini commessi nelle vite precedenti.
Zu Min Htun, 32 anni, preferisce essere chiamato con il suo pseudonimo femminile Ma Pwint. Questo artista, truccatore originario di Mandalay, ha sofferto a lungo per il suo orientamento sessuale.
“Avevo ventun anni quando ho deciso di fare coming out: era durante il festival di Nat, dedicato alla celebrazione degli spiriti.
Ho deciso di andarci vestito da spirito femminile. Quando mio padre mi ha visto, mi ha picchiato per tante ore e mi ha chiuso a chiave nella mia camera per una settimana”.
Dopo questo episodio il ragazzo ha deciso di lasciare la sua città natale. Per tre anni Ma Pwint ha cercato di ricostruirsi una vita da eterosessuale, lontano dalla propria famiglia.
Ma vivere nella menzogna era troppo difficile e l’artista ha deciso di tornare dai suoi, nel paesino. Ormai è un gay dichiarato e anche se è dovuto tornare a casa dai suoi non si è più nascosto e ora balla regolarmente nei festival Nat del paese.
Come lui TJ, un giovane gay di 19 anni che ha deciso di abbandonare il suo paesino nella regione di Magwe. Per sfuggire al peso delle tradizioni familiari si è trasferito nella città di Mandalay, dove studia inglese all’università. I suoi amici accettano il suo orientamento sessuale, ma la sua famiglia lo ignora ancora.
“Penso che i miei genitori capiranno quando lo verranno a sapere, dato che mi vogliono bene.
Ma glielo dirò solo se me lo chiederanno”, spiega con voce dolce. Dopo un primo insuccesso amoroso con un uomo, TJ ha finalmente conosciuto su internet un ragazzo che vive a Rangon, la più grande città del paese.
Quando ha bisogno di scaricarsi sale sulla cima della collina di Mandalay: un complesso di templi buddisti costruito su una collina che sovrasta la città e grida al proprio amante virtuale: “Chit tal, Chit tal (“ti amo”, in birmano).
Per Alex, 17 anni e attivista, le cose sono andate decisamente meglio: i suoi genitori dopo aver tentato di “guarirlo dall’omosessualità”, con erbe e medicine cinesi, hanno deciso di accettare il suo orientamento sessuale. “Quando hanno visto che ero bravo a scuola mi hanno accettato, ho dovuto provare loro di essere normale”, afferma.
Alex oggi è un fervente militante dei diritti gay. Per conto dell’organizzazione CAN tiene conferenze e sensibilizza i gay sui rischi connessi al virus Hiv.
“Ho capito che mi piacevano gli uomini a 12 anni, ma mi sono accettato quando ho incontrato il mio moroso, al pensionato 3 anni fa”. Come attivista spera che, grazie al suo lavoro, le generazioni future siano più tolleranti della propria.
Non è facile nemmeno essere una ragazza lesbica. “Harry” è una ragazza di 17 anni dai modi mascolini, originaria di Madalay. Vive con i genitori, il fratello e la nonna in una casetta in un quartiere operaio della città. Solo il padre lavora come tassista.
Da quando se ne ricorda Harry si è sempre sentita a disagio negli abiti femminili. Il suo aspetto maschile attira gli insulti dei passanti. “La gente che non mi conosce crede che io sia un maschio”, dice con un sorriso malizioso.
Reincarnazione
Oltre agli studi, è appassionata di calcio, uno sport riservato agli uomini in Birmania e lavora come volontaria al CAN, è l’unico posto dove si sente davvero a casa propria. “E’ come la mia seconda famiglia”. Come molti altri giovani omosessuali, Harry trova poco sostegno nei suoi familiari.
“Mio padre che è buddista non accetta la mia omosessualità, mia madre invece che è musulmana tenta di abituarsi all’idea, almeno sa che non resterò incinta.
Mia nonna invece pensa sia una fase passeggera”, racconta la ragazza, che non nutre alcun dubbio sul proprio orientamento sessuale.
Secondo lei le lesbiche in Birmania sono meno vittima di discriminazione degli uomini, perché molti uomini credono che le donne mascoline si reincarneranno come uomini la prossima vita.
Ovviamente non sono solo i gay a essere discriminati, i transgender attraversano le stesse difficoltà, anche se alcuni diventano famosi. E’ il caso di Pauk Pauk, una trangender 42 enne, che adora tutto ciò che è femminile e ne ha fatto il suo lavoro. Viene soprannominata “fata madrina”, da quelli che la circondano.
Pauk Pauk è riuscita ad elevarsi ai vertici della società birmana grazie al suo lavoro di stilista.
Oggi è una delle stiliste di moda più in voga nel suo paese. Pop star e classi dirigente birmana se la contendono. Anche per lei ci è voluto del tempo per accettarsi ed ha dovuto subire minacce e discriminazioni. Oggi ha trovato l’amore grazie ad un attore di Rangon che l’accetta così com è. “Mi sono sempre sentita donna, una donna in cerca di amore”.
La Birmania ha ancora molta strada da fare nel campo dei diritti gay, paragonata ai paesi suoi vicini, come la Tailandia. Gli incidenti, come la retata del 6 luglio dell’anno scorso a Mandalay, hanno avuto il merito di attirare l’attenzione dei mass media del paese su questo tema.
Questa “mediatizzazione” ha contribuito a far evolvere il dibattito sulla questione del matrimonio gay. Aung Myo Min si dice pronto a lanciare un dibattito sulla questione del matrimonio gay. “Non so gli altri, ma io sono pronto per questo dibattito che deve iniziare”, dice con tono ottimista e prudente.
Titolo originale articolo: Myanmar. Un soufflé de liberté