In seminario con lo psicologo. Così il Vaticano dice “No ai preti gay”
Articolo di Bruno Bartoloni dal Corriere della Sera del 31 ottobre 2008
Dopo anni di pastorale tolleranza nei confronti dei suoi apostoli omosessuali e dopo averne pagate pesantissime spese soprattutto negli Stati Uniti dove lo scandalo dei preti pedofili ha alimentato processi con penalità milionarie, ora la Chiesa ha optato per il rigore ed ha chiuso l’accesso al sacerdozio non solo ai gay ma anche a chi solo dimostra radicate tendenze omosessuali.
Un documento della Congregazione per l’educazione cattolica lo sancisce in modo categorico, ammettendo l’assistenza di psicologi e psicoterapeuti per scovare ogni briciolo di sospetta omosessualità nel candidato al momento della verifica della solidità della vocazione.
«Razzismo», denunciano le associazioni gay. L’importante per un sacerdote è eventualmente la castità alla quale s’impegna con il celibato. Perché un eterosessuale casto sì ed un omosessuale casto no?, ha chiesto in sostanza, Franco Grillini, presidente di Gaynet . Ha risposto il cardinale polacco Zenon Grocholewski, prefetto della congregazione, presentando in Vaticano gli «Orientamenti per l’utilizzo delle competenze psicologiche nell’ammissione e nella formazione dei candidati al sacerdozio», (documento approvato dal papa lo scorso 29 giugno 2008) che sancisce quella «tolleranza zero» invocata dai molti vescovi statunitensi con le diocesi in bancarotta a causa degli indennizzi alle vittime dei preti pedofili.
«Un candidato al sacerdozio con una radicata tendenza omosessuale – ha dichiarato – non può entrare in seminario anche se non pratica l’omosessualità: non perché commette peccato, ma perché l’omosessualità è una deviazione, un’irregolarità, una ferita per poter esercitare il sacerdozio, che consiste nell’essere un padre spirituale e nel sapersi relazionare con gli altri».
E per individuare «l’irregolarità », la Chiesa ammette l’utilità di una consultazione psicologica in un passato non lontano energicamente respinta. «Non bisogna dimenticare – dice il documento – la possibile tendenza di alcuni candidati a minimizzare o a negare le proprie debolezze: essi non parlano ai formatori di alcune loro gravi difficoltà». Insomma è necessario un discernimento tempestivo dei problemi, «quali l’eccessiva dipendenza affettiva», oppure «l’identità sessuale confusa e non ancora ben definita».
E per stabilire se un candidato sarà capace di vivere bene il suo celibato «non basta accertarsi della capacità di astenersi dall’esercizio della genitalità, ma è necessario anche valutare l’orientamento sessuale: la castità per il Regno, infatti, è molto di più della semplice mancanza di relazioni sessuali».
La severità è invocata dal documento proprio per «evitare tanti drammi»: «gli errori di discernimento nelle vocazioni, sottolinea il documento, non sono rari e troppe inettitudini psichiche,
più o meno patologiche, si rendono manifeste soltanto dopo l’ordinazione sacerdotale ». Necessario quindi l’aiuto degli psicologi, ma tutti di formazione cattolica, chiamati si casus ferat e cioè nei casi eccezionali, «con il consenso dell’interessato e nel rispetto assoluto della privacy».