In Vaticano essere gay non preclude la carriera tranne se sei ambasciatore
Riflessioni di Lia Celi pubblicate sul sito Lettera43 l’11 Aprile 2015
Come mai il Vaticano ha negato l’accredito al nuovo ambasciatore proposto dalla Francia? Perché è gay, denunciano i media transalpini, accusando le autorità d’Oltretevere. Ma va’ là. Essere omosessuale non ha mai impedito a nessuno di far carriera in Vaticano, anche fino ai massimi livelli, dal Cinquecento a tempi recentissimi..
MANCANO ALTRI REQUISITI. Altri sono i requisiti che mancano a Laurent Stefanini, apprezzato capo del protocollo dell’Eliseo sotto Sarkozy e Hollande e, per di più, già vice-ambasciatore francese in Vaticano dal 2001 al 2005, per conquistare l’approvazione della Santa Sede.
Stefanini non porta la tonaca, anche se è scapolo, e, diciamolo, non è abbastanza caruccio. Un gay che vuole avere successo in Vaticano può essere sprovvisto di una delle due qualità, non di entrambe. Malignità? Può darsi. Ma dopo l’apertura di papa Francesco all’omosessualità -non uno sdoganamento, ma semplicemente il riconoscimento che nessuno può ergersi a giudice di una persona omosessuale – era logico aspettarsi qualche effetto concreto.
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PLACET ERA UN’OCCASIONE. Il placet a Stefanini, diplomatico assennato e prudente che non ha mai smentito il suo orientamento ma è sicuramente più praticante come cattolico che come gay, poteva rappresentare l’occasione perfetta.
Ora la domanda di papa Francesco, «chi sono io per giudicare un omosessuale?», sembra aver trovato una risposta.
Già: lui è solo un papa. Giudicare i gay ed eventualmente respingerli al mittente è compito di altri pezzi grossi, come l’arcivescovo per i Rapporti fra gli Stati, secondo i quale l’ambasciator non deve portare pene, ma soprattutto non deve apprezzarlo, almeno ufficialmente. D’altronde è curioso che al Vaticano Stefanini sia più sgradito ora che dieci anni fa, come numero due di villa Bonaparte, sede dell’ambasciata francese (ai tempi, si noti bene, di Karol Wojtyla, non certo noto per la sua gay-friendliness).
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IL PAPA CONOSCE STEFANINI. Con tutta probabilità era già omosessuale: difficile pensare a una conversione tardiva dell’alto diplomatico scoppiata solo al ritorno in Francia, magari ispirata dalle seccature che l’appassionata eterosessualità ha procurato a Hollande e al suo predecessore. Fra l’altro anche papa Francesco conosce bene Stefanini, che lo ha accompagnato durante la sua visita a Strasburgo.
Ma a Parigi qualcuno dice che ora il placet a un candidato sostenuto dall’attuale inquilino dell’Eliseo verrebbe interpretato come un’apertura della Chiesa alla politica hollandiana favorevole al matrimonio «per tutti», gay compresi, fieramente avversata dalle frange più tradizionaliste del clero francese.
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SCAPOLO INCALLITO. A farne le spese è l’incolpevole Stefanini, che non si è mai speso in favore delle nozze gay e che per ora non ha nessuna intenzione di avvalersene, essendo uno scapolo incallito e irreprensibile – a differenza di Jean-Loup Kuhn-Delforge, candidato (rifiutato) all’ambasciata vaticana in Francia ai tempi di papa Ratzinger, che non solo non faceva mistero della sua sessualità ma conviveva con il suo compagno (ci riferiamo a Kuhn-Delforge, non a Ratzinger, cos’avete capito).
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CHIUSURA ANCHE PER TILLINAC. Per par condicio, le sante porte restarono chiuse pure per Denis Tillinac, divorziato e risposato, anche se sempre con donne, e per di più scrittore. Può darsi che il mix «scrittore francese-ambasciatore» abbia evocato in qualche cardinale anziano lo spiacevole ricordo di Roger Peyrefitte, lui sì apertamente gay, autore negli Anni 50 dello scandaloso romanzo-pamphlet ambientato sotto il Cupolone, Le chiavi di San Pietro. Tillinac inoltre è membro della Lega nazionale francese di rugby, che in francese si chiama anche «jeu a treize». Che in Vaticano abbiano creduto si trattasse di un’associazione di fan delle orge?
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FRANCESI POCO ‘DIPLOMATICI’. Qualcuno potrebbe osservare che quando si tratta della Santa Sede, il Quai d’Orsay non è molto diplomatico nella scelta dei suoi diplomatici. Il vero problema è che nell’alta politica francese gli uomini tutti casa e famiglia sembrano essere veramente, ma veramente rari: l’ultimo presidente ad avere una casa e una famiglia sola è stato Charles De Gaulle, gli altri come minimo ne avevano due. Pretendere dalla Francia un ambasciatore casto e fedele, insomma, è come chiederne alla Norvegia uno di colore. Uno degli altri possibili candidati per villa Bonaparte è una gentildonna integerrima, sposata con figli, segretario presso il ministero degli Affari esteri, Emmanuelle d’Achon. Ma con quel nome di battesimo è difficile che gli diano il santo okay. Peccato, perché uno scenario come «Emmanuelle in Vaticano» sarebbe stato parecchio suggestivo.