Io, gay, dico: “grazie Lucio”
Riflessioni di Tommaso Cerno tratte dal sito de L’Espresso, 6 marzo 2012
Da quell’aldilà in cui lui credeva, Lucio Dalla ha fatto coming out. Forse il più rivoluzionario di tutti i tempi. Ha parlato d’amore gay dentro una cattedrale simbolo della Chiesa più reazionaria d’Italia. E l’ha reso possibile di fronte a una folla di persone che sapeva benissimo di cosa si stava parlando. Dimostrando che forse, ancora una volta, la politica, la militanza e gli slogan di chi è pro o contro qualcosa, stanno un passo indietro rispetto alla società che vogliono rappresentare.
Proprio come la casta dei nostri parlamentari di fronte al ginepraio delle riforme fiscali che servono a non mandare alla deriva un Paese che odora di medioevo non solo quando si parla di gay, ma anche quando si parla di treni, di fisco, di opere pubbliche e di leggi elettorali.
Mentre sul web infuriava la polemica, con i gay militanti scatenati contro la Chiesa e i media che facevano finta di non sapere che Dalla fosse gay e che Marco Alemanno non fosse solo uno “stretto collaboratore”, ma il compagno di vita di Lucio, beh, a San Petronio andava in scena qualcosa di enorme, qualcosa che potrebbe cambiare il corso delle battaglie per i diritti civili più di tanti Gay Pride.
Dalla è riuscito probabilmente a fare in morte, quel che non ha mai avuto la voglia o il coraggio di fare in vita: testimoniare in prima persona la libertà del proprio amore e fare, dunque, il famoso “coming out”, cioè una testimonianza pubblica della propria sessualità che dovrebbe servire a tutti, a fare qualcosa perché tutti i gay italiani possano sperare di vivere un po’ meglio in quel famoso “anno che verrà”, dove lui teorizzava la libertà sessuale in un Paese moderno e nuovo. Paese che ancora non c’è.
E’ vero che c’è stata ipocrisia, come ha urlato Aldo Busi alla sua maniera sul sito Dagospia, o come più compostamente ha twitterato Franco Grillini, leader storico dei gay italiani e bolognese come Dalla, chiedendo che si usasse il termine “compagno” per riferirsi a Marco Alemanno e non quello di “stretto collaboratore”.
Ed è anche vero che il funerale religioso, che dovrebbe spettare a tutti i credenti battezzati, e Dalla lo era, è stato consentito solo in virtù della scelta di vivere l’omosessualità senza mai renderla pubblica.
Eppure la forza dell’amore di Marco e Lucio ha scardinato le regole, il catechismo e la prassi di Santa Romana Chiesa. O vogliamo credere davvero che, mentre Marco leggeva dal pulpito “La Rondine” qualcuno abbia pensato, anche solo per un istante, che quel ragazzo distrutto dal dolore fosse uno “stretto collaboratore” di Lucio Dalla? O che quel pianto derivasse dalla perdita di un datore di lavoro?
A sua eminenza il cardinale Carlo Caffarra, «trattenuto altrove da impegni precedentemente assunti» (ha fatto sapere la Curia bolognese), saranno fischiate le orecchie di fronte a quella che per i cattolici altro non era che la “vox populi, vox dei”, la cattedrale commossa che di fronte al tabernacolo di Cristo piangeva per la prima volta l’amore fra due uomini. E per di più in diretta televisiva. Milioni di persone si sono rese conto, in quel momento, di quanto ci sia ancora di ingiusto nella società italiana.
Anche solo per un istante avranno pensato che se addirittura Lucio Dalla, un genio, un artista, un uomo ricco e famoso, doveva convivere ogni giorno con ombre e ipocrisie, figuriamoci nella profonda provincia italiana che razza di vita possono sperare di avere migliaia di ragazzi e ragazze senza un soldo né un futuro in questo Paese.
Non la pensano così molti dirigenti dei movimenti gay. Nel dibattito di questi giorni, soprattutto sul web, sono volate critiche anche pesanti contro Lucio Dalla. S’è arrivati a definirlo una “velata”, termine con cui nel gergo gay si indicano gli omosessuali che fingono di non esserlo. Dalla non era affatto una “velata”.
Non ha mai fatto interviste o apparizioni tv discutendo della sua vita privata, come migliaia di altri vip, anche eterosessuali, ma non ha mai nascosto il suo orientamento, l’ha cantato per quarant’anni, né ha mai impedito a chi lo circondava, amici o fan, di guardare dentro la sua vita.