Io, parroco in piazza per i loro diritti
Articolo di Giacomo Galeazzi tratto da La Stampa del 18 giugno 2007
Don Enrico Casadio è un parroco sui generis, era sia tra le folle del Family Day e sia al Gay Pride 2007 perché dice “non dobbiamo aver paura di confrontarci sui problemi” perchè “il compito del sacerdote non è escludere qualcuno”, bensì “non rinunciare mai a un percorso da fare insieme”.
Io parroco in piazza per i loro diritti
Io a piazza San Giovanni c’ero sia al Family day che al Gay pride e sabato mi ha fatto male vedere chiuse le porte delle chiese. Sono andato per ascoltare. Il Vangelo va predicato in mezzo alla gente, la Chiesa non deve sentirsi una roccaforte assediata».
Ne ha discusso con i sui compagni di studio alla facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Lateranense, poi don Enrico Casadio, romagnolo 39enne, ha applicato lo stesso metodo per le due manifestazioni contrappeste: “Incontrare tutti, senza distinzioni”.
Al Family day accompagnava i fedeli della sua diocesi (Forti). Al Gay Pride era in avanscoperta alla kermesse «no Vat». Senza trasformare i Dico in un muro insormontabile: «Non sarà la fine del mondo se verrà approvata la legge.
Meglio non fare barricate: sono sempre un boomerang. Tocca al Parlamento stabilire le forme più adeguate di riconoscimento dei diritti – spiega l’unico sacerdote presente a piazza San Giovanni sia il 12 maggio che sabato scorso. I vescovi esprimono una posizione, ma i politici si assumano le loro responsabilità. La laicità resta fuori discussione».
A partire dalle manifestazioni: «Come prete ho il dovere di stare in mezzo alla gente e tutto ciò che è umano mi riguarda. Sono curioso di conoscere ogni aspetto della realtà – Sono stato anche al corteo per la visita di Bush e nella parrocchia in cui furono negati i funerali religiosi a Welby per capire le motivazioni – racconta don Enrico. Anche su una questione delicata come quella dell’omosessualità, dentro la Chiesa non dev’esserci la paura del confronto.
Bisogna sempre tenere presente le proporzioni. Una cosa è l’aborto e una cosa sono i Dico. Gesù ci insegna ad accogliere ogni persona per quello che è. Ciò non significa giustificarne tutte le scelte, però irrigidirsi è controproducente. Ascoltare è il primo riconoscimento della dignità dell’altro, che permette un incontro».
Porte aperte nelle chiese, dunque, anche per chi al Gay Pride manifestava contro l’ingerenza ecclesiastica. «La Chiesa è di tutti e per tutti. La predilezione di Cristo per gli ultimi include coloro che sono emarginati per ragioni religiose e morali – afferma – il Vangelo ci insegna a non temere nulla, neppure le persecuzioni.
E dovremmo avere paura del confronto sui Dico? Se la Chiesa si sente cittadella sott’assedio rischia di perdere contatto con la società e scatena reazioni laiciste, mettendo in difficoltà i cattolici impegnati in politica come Rosy Bindi e tanti altri».
Al Gay Pride c’erano «anime in cerca, storie complicate che meritano i-i- spetto» e quindi, «avrei voluto chiese aperte per annunciare il Vangelo. Non dobbiamo avere timore di uscire allo scoperto». Certo, «è più facile predicare dove si è ben accolti, ma è in mezzo alla gente di qualunque orientamento che noi preti dobbiamo svolgere la nostra missione».
E non tocca al clero fare battaglie politiche sui Dico e sulle altre questioni dell’agenda politica: «Del resto, la legge sull’aborto è stata firmata da Andreotti che era in piazza al Family day». Nessuno a priori «è fuori della Chiesa». Il compito del sacerdote non è escludere qualcuno», bensì «non rinunciare mai a un percorso da fare insieme».