Io, Pierre Seel, deportato dai nazisti e dimenticato dalla mia patria perchè gay
Articolo pubblicato sul blog L’armari obert (II) (Spagna) il 1 giugno 2019, liberamente tradotto da Federica Porchera, terza parte
La persecuzione del regime nazista contro gli omosessuali venne perpetrata anche nei territori occupati. Pierre Seel non avrebbe mai potuto immaginare le conseguenze di denunciare il furto del suo orologio in una zona di cruising di Mulhouse. Aveva solo 16 anni, e la gendarmeria francese lo inserì in una lista di omosessuali, anche se in Francia l’omosessualità non era illegale.
Dopo l’invasione tedesca, la lista finì nelle mani della Gestapo, e tutte le sue speranze per il futuro svanirono. La polizia consegnò agli invasori la sua lista “rosa”. Lo stesso Pierre raccontò poi di come lui e altri omosessuali erano stati arrestati e colpiti. A coloro che avevano tentato di opporsi alle Schutzstaffeln (SS, squadre di protezione) furono strappate le unghie. Altri vennero sodomizzati con dei bastoni spezzati, che causarono lesioni ed emorragie intestinali.
Immediatamente dopo fu mandato nel campo di concentramento di Natzweiler-Struthof. Durante un appello mattutino, il comandante nazista annunciò un’esecuzione pubblica. L’uomo che sarebbe stato giustiziato di lì a poco fu portato all’aperto e Seel riconobbe il volto di colui che era stato suo amante a Mulhouse; aveva 18 anni.
Secondo la testimonianza di Seel, le guardie spogliarono il suo amante e gli misero un secchio di metallo sulla testa. Poi, liberarono dei pastori tedeschi addestrati e li aizzarono contro di lui, facendolo sbranare vivo. Nelle sue memorie racconta: “Da allora è accaduto spesso che mi sia svegliato urlando nel cuore della notte. Per cinquanta anni quella scena è passata e ripassata continuamente nella mia mente. Non dimenticherò mai il barbaro assassinio del mio amore – davanti ai miei occhi, davanti ai nostri occhi, perché lì c’erano centinaia di testimoni”.
Racconti come questo aiutano a comprendere perché il numero di omosessuali morti nei campi di sterminio sia più alto rispetto a quello dei morti di altri gruppi considerati “antisociali” dai nazisti. Uno studio riporta che morì il 60% degli omosessuali rinchiusi nei campi di concentramento, il 41% dei prigionieri politici e il 35% dei testimoni di Geova.
Gli omosessuali più giovani vennero liberati, venne loro data la nazionalità tedesca e vennero mandati in trincea. Fu il caso di Pierre, che era un Malgré-nous (Contro la nostra volontà, ovvero gli alsaziani e i mosellani costretti a combattere nell’esercito nazista, n.d.c.) e che si vide obbligato a lottare contro i propri connazionali e contro la Resistenza jugoslava. In seguito lavorò presso un centro di procreazione della razza ariana, e alla fine fu mandato sul fronte russo, dove disertò e si consegnò ai sovietici; questi ultimi lo mandarono davanti al plotone di fucilazione, ma lui si salvò perché conosceva il canto L’Internazionale.
Si vide costretto a cambiare nome per evitare ritorsioni, che sarebbero potute arrivare da tutte le fazioni, ed entrò a far parte di un gruppo della Croce Rossa che lo mandò in Francia. Il viaggio durò più di un anno e avvenne in condizioni che erano tutto meno che umane. Nel 1945 arrivò finalmente nel suo Paese.
Una volta terminata la guerra, l’omosessualità rimase proibita, perciò optò per il silenzio e l’invisibilità. Vennero eliminate le leggi antisemite, ma gli omosessuali continuarono ad essere perseguitati. La sua famiglia lo ripudiò e lo diseredò, i suoi amici gli voltarono le spalle, e vide con i suoi occhi il trattamento riservato nella sua città alle persone che manifestavano la propria omosessualità.
Per nascondere il proprio orientamento sessuale si sposò ed ebbe quattro figli, però il matrimonio fu un calvario. Fece tutto questo solo per nascondersi dagli occhi dei concittadini fortemente omofobi. Vergogna, confusione, senso di colpa… provò tutto questo fino al 1978, quando si separò da sua moglie.
Alcune dichiarazioni e azioni omofobe del vescovo di Strasburgo Léon Elchinger lo portarono a uscire alla luce del sole e a raccontare il proprio vissuto nel 1982. La sua storia fu accolta solamente da riviste gay, ed arrivò all’opinione pubblica solo nel 1994, dopo la pubblicazione del suo libro Moi, Pierre Seel, déporté homosexuel (titolo italiano: Io, Pierre Seel, deportato omosessuale).
Non gli venne riconosciuta la condizione di vittima dell’Olocausto fino al 2003, quando era l’ultimo omosessuale sopravvissuto alla barbarie. Dopo aver ricevuto il riconoscimento, la sua famiglia lo appoggiò e sua moglie ritirò la domanda di divorzio.
Nel Novembre del 2005 morì a Tolosa, il testimone dello stigma subito per 50 anni dagli omosessuali in Europa. Gli è stata dedicata una strada .
Testo originale: MEMORIA DEL HOLOCAUSTO