Jesus e il suo dibattito su “omosessualità, tabù cattolico?”
Riflessioni di Mario G.
E’ decisamente positivo che ci si occupi di omosessualità sul mensile cattolico Jesus di giugno 2016, forse in modo (anzi, decisamente) più accurato e approfondito di quanto non sia stato fatto nel Sinodo e di quanto sia stato velocemente riassunto in Amoris Laetitia. Tuttavia, alcuni tagli degli interventi mi hanno lasciato perplesso.
Francesco D’Agostino, Presidente Unione Giuristi cattolici, mi ha sorpreso in positivo, mi sembra molto più aperto rispetto a qualche anno fa. Però, sul fatto che la Chiesa sia sempre stata omofona, ho i miei dubbi (pensiamo all’adelphopoiesis, Sergio e Bacco, Aleredo di Rievaulx, etc…) e non è vero che tutte le società lo sono sempre state.
Mi piace la sfida di Antonietta Potente, suora domenicana e teologa moralista, che invita a una pastorale per le persone LGBT. Inoltre, mi piace l’invito suo e di Fumagalli all’esegesi e allo studio della Bibbia.
E’ sufficiente pensare, parlando di Sodoma e Gomorra, che vi è un episodio speculare nel Libro dei Giudici, al capitolo 19: l’unica differenza è che il protagonista maschile riesce, a differenza di Lot, a salvare l’ospite dando agli stupratori la sua concubina, la quale viene violentata fino alla morte. Perché questo episodio non è una condanna del libero esercizio dell’eterosessualità? E perché Dio non condanna nessuno, in quell’episodio? Possibile che l’omicidio di una donna sia “meno grave”, agli occhi degli interpreti, di due persone dello stesso sesso che si amano?
Tra l’altro, Sodoma non è simbolo dell’amore omosessuale… in Ezechiele 16,49-50, i motivi della condanna della città sono molto diversi dalla lussuria. Quindi, com’è più plausibile, la condanna di Sodoma è dovuta al rifiuto dell’ospitalità e l’omosessualità non c’entra niente.
Per ciò che concerne il “compito profetico” io credo che chiunque ami, nel senso più ampio del termine, sia un profeta dell’amore e della comunione con Dio. La sua proposta di cercare forme alternative e non sacramentali per vivere l’amore omosessuale, inoltre, mi sembra troppo vicina alla differenziazione che lei dice di voler evitare… forse questa è solo una mia impressione, ma perché allora anche le famiglie eterosessuali cristiane non dovrebbero aprire i loro orizzonti a realtà meno istituzionalizzate?
La presenza di modelli forti e riconosciuti (e quindi istituzionalizzati) permette di avere degli orientamenti per la propria vita e se la realtà sta cambiando per tutti, perché allora solo gli omosessuali dovrebbero “andare oltre”?
Se penso ai santi Nearco e Poliuto, e ai loro “voti segreti” prima del martirio, al loro desiderio di restare insieme per l’eternità (sembra che Poliuto, pagano, si convertì per vivere per sempre con Nearco, accettando il martirio) mi domando perché bisognerebbe cercare qualcosa di diverso dal matrimonio.
Mi domando perché continuare a proporre alternative: più ci si concentra sull’identica bontà dell’amore etero e dell’amore omosessuale, più bisogna chiedersi perché ci si ostini a negarlo o a respingerlo, almeno dal punto di vista legislativo (il matrimonio civile non ha alcun fine procreativo, importa solo la volontà dei coniugi, per cui la funzione procreativa non può essere ritenuta uno scoglio efficace). Ma, anche, dal punto di vista religioso questo rifiuto ha ancora senso? Il cuore del matrimonio è la coppia ricca d’amore, o no?
Non sono per niente d’accordo con la posizione di Giorgio Ponte, scrittore e insegnate di religione. Prima di tutto, perché non condivido il punto di vista di partenza, ossia che l’omosessualità sia un difetto: per me, è uno dei diversi orientamenti affettivi, che non compromette l’equilibrio dell’individuo e la qualità delle sue relazioni. Poi, non ritengo che sia un difetto di mascolinità (e, inoltre, perché non ha parlato delle donne, la cui omosessualità mette in difficoltà anche i “predicatori” come Gandolfini?), l’omosessualità non è certo il frutto di una “distorta” identità di genere. La prova è che vi sono omosessuali maschi perfettamente integrati con il genere maschile, e donne omosessuali perfettamente femminili.
Casomai, è difficile spiegare perché ci sono persone che desiderano e s’innamorano di persone dello stesso sesso, ma questo risente della volontà di sistematizzare tutto e inserirlo in una cornice.
Forse il dono di sé dovrebbe essere sufficiente, senza indagare qualcosa che ha origine dove nessun occhio umano può arrivare.
Per quanto riguarda la sessualità, devo dire che c’è differenza tra atto sessuale e atto che ha come scopo la procreazione… anche il sesso eterosessuale può essere fatto in più modi, e se ci sono diverse zone erogene, forse tante cose non sono “innaturali”.
La sua posizione sulla Legge Cirinnà… nell’articolo è un po’ ambiguo, e io lo interpreto, come un parere negativo. Però questa non è nata per discriminare le persone omosessuali, ma per ammorbidire la vera discriminazione, ossia l’impossibilità di vedere legittimato il loro legame di coppia, come hanno invece espressamente chiesto di fare la nostra Corte Costituzionale e la Corte Europea dei Diritti Umani (non importa se in forma di matrimonio o di unione civile, per cui lo slogan “i diritti individuali sono sufficienti” dev’essere scartato). Quelli che sono chiamati da lui “nuovi diritti” sono nati perché alle persone omosessuali è stata negata l’uguaglianza giuridica che il matrimonio avrebbe garantito, considerando appunto le persone non per il loro orientamento sessuale, ma come persone che amano.
Paradossalmente, quello che lui auspica è possibile solo con il matrimonio. Il tono di Ponte, mi dispiace dirlo, mi è sembrato molto “rassegnato” all’approccio che la parte conservatrice e cieca della Chiesa ha verso l’omosessualità, viziata da piccoli contentini e priva di una vera promessa di realizzazione. Inoltre, mi dispiace il dualismo con cui rischia di separare l’amore spirituale dal corpo che lo concretizza: siamo cristiani, non seguaci di Platone, e il nostro Dio si è fatto carne.
Come dice poi Eduardo Savarrese, già autore del libro “Lettera di un omosessuale alla chiesa di Roma”, non si possono distinguere la persona con le sue tendenze dagli atti. Non si può dire che una tendenza (meglio, orientamento) non è negativa, ma che lo sono gli atti che essa genera: come dire che un frutto è commestibile e saporito, ma che è preferibile non mangiarlo.
Mi sono trovato molto d’accordo con Savarrese e anche con Aristide Fumagalli, sacerdote e docente di teologia morale al seminario di Vengono. I loro interventi mi sono sembrati molto equilibrati, vicini alla realtà e meno concentrati su speculazioni che, invece di discendere da osservazioni sul mondo, le vogliono precedere – come purtroppo fanno quelli che vogliono far “guarire dall’omosessualità”-.
Di Fumagalli, poi, apprezzo l’invito alla gradualità nel riconoscimento (nella Chiesa cattolica funziona così, ci vogliono millenni per fare piccoli passi), ma spero che la gradualità sia comunque volta verso almeno la parificazione di valore, anche se il vero traguardo è l’identico sacramento. Qui, sono molto più d’accordo con Savarrese.
Per concludere sul problema della differenza sessuale, Lacan dice che “l’amore è sempre eterosessuale” (cito dall’articolo di Massimo Recalcati pubblicato il primo maggio 2016 in Repubblica), poichè l’identità di due persone non può essere ridotta al sesso biologico, perché ciò fa perdere l’individualità, due persone sono sempre diverse, siano esse due maschi o due femmine.
Spero di non essermi dilungato troppo e grazie per aver letto queste mie riflessioni.